Aubisque, l’eterno secondo che non si dimentica


di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©

Nessuno si ricorda del secondo. Vale per i corridori come per le montagne, anche quelle tempio del ciclismo.

L’Aubisque, “Oasi dei Pirenei”, ha la sventura di trovarsi con un vicino tanto famoso quanto scomodo. 

Fu su quelle rampe per lui maledette che il 21 luglio 1910 Octave Lapize inveì contro gli organizzatori del Tour il suo immortale «Vous étes des assassins!», ma non è lì che la sua statua campeggia: è invece sul Tourmalet. Il vicino tanto scomodo quanto famoso. 

Era la prima volta che la Grande Boucle s’arrampicava sull’Aubisque, ma i corridori l’affrontarono dopo il Tourmalet. Ancora oggi l’Aubisque è la seconda ascesa più scalata al Tour, sempre dopo il Tourmalet. E nessuno si ricorda mai del secondo. 

Sarà stato un capriccio della Storia o magari una semplice casualità, ma fu vincendo lì, sull’Aubisque, nella prima semitappa – oltre che per il terzo posto finale – che Stephen Roche si sarebbe fatto ricordare. Perlomeno in casa Carrera. 

Erano Tour duretti, quelli. E per il 17 luglio il mercoledì da leoni della 18-esima frazione prevedeva una duplice abbuffata di Pirenei: prima i 52,5 km da Luz-Saint-Sauveur al Col d’Aubisque, poi gli 83,5 km da Laruns alla classicissima Pau, dove si impose il francese Régis Simon. 

Sempre con lo stesso signore in giallo, Bernard Hinault. E che tale sarebbe rimasto fino al podio conclusivo di Parigi, sul quale sarebbero saliti anche Greg LeMond, suo compagno alla La Vie Claire (a 1’42”) e, appunto, Stephen Roche de La Redoute (a 4’29”). Non per caso, nell’ordine, i due prossimi vincitori della Festa di Luglio. 

A dirla tutta, se è vero che fu il non disinteressato aiuto di Luis “Lucho” Herrera, lasciato vincere ad Avoriaz all’11-esima tappa, che Bernard blindò la maglia gialla, fu proprio annaspando verso l’Aubisque che il Tasso – condizionato da una bronchite, figlia illegittima della microfrattura al naso che dalla caduta nella volata di Saint-Étienne lo costringeva a respirare con la bocca – non perse quel Tour che l’Amerikano forse non doveva vincere.

Paul Köchli, il loro diesse, diede infatti ordine a LeMond di non collaborare con Roche. L’atmosfera, pesantina, si respirava anche alla radio, quella statunitense cui Greg sfogò la propria amarezza per la grande occasione sfumata: “Köchli mi ha fatto perdere il Tour il giorno in cui avrei potuto vincerlo”. 

Infatti, Hinault in due giorni fra Tourmalet e Aubisque perse 3’40” sull’irlandese, lontano comunque ancora tre minuti e mezzo, ma soprattutto mantenne intatto il vantaggio sullo scalpitante compagno. 

E anche se poi, il penultimo giorno, fu LeMond a vincere la crono intorno al Lac de Vassivière, primo americano a imporsi in una tappa del Tour, i soli cinque secondi guadagnati dall’americano non impedirono al bretone di centrare, a trent’anni e dopo la complicata operazione ai tendini di un ginocchio, la seconda doppietta Giro-Tour. E di eguagliare, a quota cinque Tour, gli immortali Jacques Anquetil e Eddy Merckx. 

Il passaggio di testimone era ormai pronto, e di quel secondo nessuno si sarebbe più scordato. 

Forse fu davvero lì, sull’Aubisque, che Davide Boifava si innamorò del Roche corridore. In realtà però il suo primo amore “da Tour” era stato, e in tempi non sospetti, LeMond. All’americano gli stessi soldoni propostigli da Bernard Tapie, patron de La Vie Claire, glieli avrebbe più o meno volentieri offerti pure la Carrera, ma poi la storia – anche del ciclismo, e non solo italiano – avrebbe preso altre strade. 

La Carrera non vinceva una grande corsa all’estero dalla Gand-Wevelgem ’84 di Guido Bontempi, che poi si sarebbe regalato il bis nel 1986. Oltre al disperato bisogno d’amore caro agli Stadio aveva quindi anche l’assoluta necessità di un corridore-brand vincente a livello internazionale. Meglio se in un grande giro.

Il povero Gianfranco Belleri, il manager che nel ciclismo dell’epoca però non solo non si chiamava ancora così ma che come figura neppure esisteva, aveva già incassato dei no da ogni parte del globo, dall’australiano Phil Anderson agli irlandesi Kelly e Roche e persino dai colombiani. «È preoccupante questo rifiuto straniero a venire in Italia – confidò a Ermanno Mioli su Bicisport di quell’agosto – Non è questione di soldi: fanno capire che in Italia le corse non sono corse…». 

Trentatré anni dopo, nella sua casa bresciana di Ome e dopo un lunghissimo inseguimento, me la racconterà un po’diversa, quella trattativa che invece, per il 1986, avrebbe convinto Roche a firmare. E come Belleri, ne daranno versioni non proprio collimanti tanti altri più o meno personaggi coinvolti: il diesse Boifava, Valerio “Pacho” Lualdi, l’ex Inoxpran che sostiene di aver fatto da intermediario in gruppo per avvicinare Roche e persino Beppe Conti, che in uno scenario lì per lì ancora lontano si sarebbe preso una bella rivincita per gli sfottò dell’amicone Moser. 

La sua colpa? Aver caldeggiato al futuro consuocero Boifava l’ingaggio di quel promettente talento irlandese primo sull’Aubisque al Tour ’85. 

Un vicino magari scomodo per il suo prossimo capitano Roberto Visentini che proprio nell’86 finalmente vincerà il Giro, ma certo non uno nato per fare secondo. E tantomeno uno di cui ci si dimentica. 

CHRISTIAN GIORDANO ©

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