Mario Cipollini: «Io velocista campione, non un campione» (2018)


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per Rainbow Sports Books ©

Lucca, venerdì 20 aprile 2018 

- Mario Cipollini, che cosa ha significato per te quella maglia coi colori dell’arcobaleno? Prima, per arrivarci, durante e dopo? 

«Mah, l’avventura del mondiale, per quello che mi riguarda, nel mio caso, è stata – penso – una grande fortuna che sia capitata in un periodo della mia vita in cui avevo la maturità per poter gestire questa cosa. Io ero sicuramente a fine carriera, perché ho vinto il mondiale che avevo 36 anni, per cui l’approccio…». 

- Per un velocista son tanti. Per uno "normale"… 

“A parte che per un velocista sono tantissimi, però il mio approccio mentale nei confronti di un evento così importante come un mondiale, è avvenuto nel periodo migliore che potesse capitarmi nella vita. Nel senso che, sai, vincere un mondiale a 21-22 anni o puntare a vincere un mondiale credo che sia abbastanza “incosciente” come realtà. Nel mio caso, piena maturità, con dei compagni di squadra straordinari, con un commissario tecnico… con [Franco] Ballerini, con un uomo come [Alfredo] Martini, tu vai a un mondiale che, voglio dire, hai tutta la “attrezzatura” idonea per poter essere protagonista. In più, la maturità che avevo raggiunto come atleta e come uomo, perché, insomma, avevo già due figlie, sposato da tempo, a 35 anni, quasi 36, sei nel pieno della capacità di “gestire” emozionalmente tutte le cose”. 

- Anche la pressione... 

«Ma assolutamente sì. Anche quello. Soprattutto quello. Perché nel mio caso io quel mondiale potevo soltanto perderlo. Vincerlo è stata… Era, come dire, la cosa più normale. Perché siamo andati a quel mondiale che avevo vinto tutte le volate della stagione, la Sanremo, la Gand-Wevelgem, le tappe al Giro, alla Vuelta stavo andando fortissimo, è normale che tutte le nazionali, tutti i corridori corrono contro di te, per cui tu in quel momento hai… voglio dire, se ancora oggi riguardi degli articoli, sembrava che io andassi a vincere il circuito cittadino, invece di vincere un mondiale. Era già come…». 

- Ti dava un po’ fastidio questa cosa o no? O ti caricava ancora di più, paradossalmente? 

«Mi dava fastidio… [sbuffa, nda] Ma caricare nemmeno perché ero carico per i fatti miei. Però capisci quanto è ignorante anche il giornalismo, no? In quel momento lì quanto è becero…». 

- Ma, sai, forse anche incompetente, no?, più che becero… 

«Ma no, secondo me invece è un atteggiamento di alcuni giornalisti che vogliono dare una nota diversa all’atteggiamento, all’approccio di una cosa importante. Come se…». 

- Come forma di snobismo, intendi? 

«Sì, come andassero a “sminuire” una cosa che invece stava catalizzando tanta attenzione. Io mi ricordo gli articoli di [Cristiano] Gatti “piuttosto che” di [Pier Augusto] Stagi, e sembrava che, sì, Cipollini va a vincere, sicuramente il mondiale lo vince Cipollini, corsa controllata dalla nazionale, Cipollini con Petacchi che gli tira la volata, e vince. Sembrava si raccontasse una partita a briscola, no? E per cui io sono andato laggiù avendo anche già “litigato” con alcuni giornalisti, no? Perché davano, come dire, per scontato, una cosa che invece era di una difficoltà, era una difficoltà atroce. Perché, sai, vincere un mondiale come li vince Sagan, stai a ruota, e se ti va bene ti portano in volata, vinci la volata, “bello”. Bellissimo. Ma un discorso invece è andare a vincere un mondiale con dieci uomini che sanno che al primo a centocinquanta metri dall’arrivo bisogna controllare, e non commettere un errore». 

- Non solo: tu hai detto “senso di responsabilità” anche perché c’erano almeno due tuoi compagni che avrebbero potuto giocarsela per i fatti loro. 

«C’erano corridori come Bettini e Petacchi che naturalmente erano lì in grado di vincere, tanto è vero…. Tanto è vero, credo, che da quell’evento è nata una nazionale più solida, più chiara, più pulita». 

- Con le gerarchie… 

“Perché, voglio dire, il mondiale di Lanfranchi e di Simoni la dice chiara, okay? Da lì in poi è nato un mondiale…sono nati i mondiali di Bettini, l’olimpiade. Voglio dire, l’ultima… giornata confusa e che dio me lo permetta, è stata Madrid [2005]. Perché se quel giorno, invece di puntare per Petacchi, capire che quel percorso lì per Petacchi non è, Bettini arriva con Vinokourov e vince il mondiale. Secondo me, okay? Invece hanno voluto…”. 

- Non c’è la controprova ma diciamo che era probabile. Più che probabile. 

“Ma, guarda… Ma certo. Voglio dire, se Bettini ha strada libera per andare quando è fuori con Vinokourov, chi li riprende quei due là?! Eh. Invece han dovuto traccheggiare sperando che rientrasse, son rientrati, sì, ma è rientrato Boonen…». 

- La storia dei mondiali italiani è piena di questi episodi, quindi… 

«Sì, però quel giorno lì invece… probabilmente è arrivato uno con le palle che se qualcuno faceva qualcosa di storto, poi doveva… sapeva che aveva… Eh, sai, aver a che fare con Cipollini che gli gira i coglioni, anche se ho vinto il campionato del mondo, devo andare a dormire io poi eh. E il giorno dopo devo andare a casa, cosa succede? E questa cosa conta, sai? Eh, capisci? C’è una… Voglio dire, io ho un unico mondiale in diciassette anni di professionismo perché è l’unica volta che fanno un mondiale per velocisti». 

- C’è un altro aspetto che è stato sottovalutato: a correre a casa di quelli là, non è facile… 

«Ma sì, fortunatamente io, sai…». 

- Forse non era una grande generazione, per loro… 

«Bravissimo. C’era un Museeuw a fine carriera e non era un percorso per Museeuw. E poi c’era un Tom Steels, che forse un quattro cinque anni prima poteva essere pericoloso. Steels, questo Steels qui non diceva niente, non si sapeva neanche cosa succedesse. Per cui in realtà le vere, i veri spettri erano [Robbie] McEwan e [Erik] Zabel, era quello poi fondamentalmente. Però retroscena tecnico della corsa è “meno importante” per me, è stato più complicata la gestione, l’avvicinamento alla corsa». 

- Dal punto di vista mediatico, dici? 

«Dal punto di vista mediatico, da un punto di vista generazionale, da un punto di vista di gerarchie perché insomma avevamo a che fare con giovani, per dire uno come Petacchi che poi da lì è esploso. Avrebbe potuto pretendere…». 

- Forse non aveva ancora quella personalità, no? 

«Assolutamente no, non aveva la personalità e poi, ti ripeto, aveva… Gli scontri [diretti] li aveva persi tutti, con me». 

- Ferron m’ha raccontato che non l’aveva preso come velocista se lo è ritrovato fra le mani… 

«Sì. Sì, sì. Ma in realtà Alessandro non era “passato” come velocista, era passato come corridore che era – anche – veloce. Però era più adatto a certi tipi di percorsi, quando era veloce, quando arrivavano in gruppetto ristretto, in realtà poi ha maturato… delle… dei suoi atteggiamenti nei confronti del ciclismo». 

- Mi raccontava il buon Carube [Roberto Lencioni, nda], che avete fatto un lavoro pazzesco per arrivare… 

«Ma sì, io ho fatto mesi di… di stacanovismo proprio fondamentalmente, mi ero programmato, avevo fatto delle tabelle di lavoro estenuanti e io…». 

- Le hai rispettate alla lettera? 

«Un giorno che pioveva, io quel giorno dovevo far la distanza, mi ricordo. E la mia distanza era su sei ore e mezzo-sette, mediamente. E per cui scandivo i giorni con la distanza, richiami di forza, agilità, e quant’altro. E poi tutto tam-tam-tam, e un giorno pioveva, diluviava, sai quei temporali estivi allucinanti, cazzo, un freddo… una pioggia di quelle… faccio: no, non si può andar con l’acqua così… Non si può andar con l’acqua così, all’una e mezzo alle due sembra comincia a caler, così, mi ricordo siam partiti alle tre del pomeriggio». 

- Ma dove, sempre qua in zona? 

«Qua a Lucca, e abbiamo fatto... perché la distanza era esattamente Un giro che ormai mi ero organizzato, no? Prima parte in pianura, poi il vallonato, poi una salita poi un’altra, tutto preciso per poter fare… E il giro era quello, le sei ore e mezza. Per cui sono partito alle tre, mi ricordo sono tornato alle nove e mezza. Carube, se glielo chiedi te lo [può confermare]…». 

- Quindi col buio ormai? 

«Sì, alle nove e mezza siamo arrivati. Con i fanali accesi, ormai lo faccio. Per dire, questa era una… come poterla definire… una responsabilità, no, che ti porti dietro e per cui sai quel giorno che sei alla partenza di non poter recriminare niente. Io quel che ho fatto…». 

- Dici quello che potevo fare l’ho fatto. 

«Di più non potevo. Una virgola in più non potevo. E per cui sono qua pronto a giocarmela. Se c’è qualcuno che è stato più bravo, è più forte di me, è giusto che vinca lui. Però io ho fatto tutto il possibile». 

- Invece dal punto di vista emozionale, con tutto quel che poteva dire per te, per tuo papà anche… 

«Ma sai, ti ripeto, l’emozione poi… Ma con mio padre era più legato alla Milano-Sanremo, perché io quando mi ha portato a vederla con mio fratello gli promisi di vincere per cui era un legame… diciamo la Sanremo definiamolo un po’ più “casalingo”, okay? Come il Giro d’Italia poi fondamentalmente è come una bella festa a casa, okay? Tu a casa fai la tua bella festa e stai lì da dio perché sei a casa. E poi invece è come andare a fare festa a Saint-Tropez, vai a Saint-Tropez alla “Les Caves du Roy” e fai festa: sì, bello, piacevole perché ci son le fighe internazionali eh, però ti manca l’amico con cui sei andato alle elementari, preferisci magari il panino alla salsiccia invece che le ostriche, okay? Capisci? Il Tour de France è la festa, il Mondiale è quella festa là, okay? Che è tua, che è eccezionalmente tua però non vedi l’ora di tornare a casa e godertela a casa. Vinci una tappa a Marina di Pietrasanta “piuttosto che” a Treviso, ti senti a casa, capisci cosa ti voglio dire? Come la cena a casa, quello è il concetto, per cui noi eravamo andati nel posto più “in”, avevamo dominato tutto e stavamo ritornando a casa, per cui a livello emozionale son più collegato ad alcuni momenti dopo la corsa piuttosto che prima, per dire, è più divertente pensare il momento in cui rientri in albergo te la godi con i tuoi compagni che l’emozione quasi del podio, capito? Perché è talmente lontana quella cosa là, è talmente… tu sei una figura… in quel momento lì sei un figurante di un’organizzazione, che non è tua. Hai capito? Tu monti sul palco, al Giro d’Italia prendi lo champagne e schizzi il meccanico che passa lì di sotto, o giochi con Pantani, ti dà… quando vinsi a Fiorenzuola [forse Lumezzane, nda] mi sembra, e c’era Marco sotto il palco perché doveva mettere la maglia rosa e c’è la foto in cui io lo schizzo, sotto il palco. Al mondiale non lo puoi fare, no? Per cui tu sei il burattino messo lì, una roba eclatante in mondovisione che sì bello però…». 

- Però una roba – bella – che hai detto è: Non ho fatto il Cipollini sul podio mondiale, perché mi sembrava... 

«…irriverente». 

- Sì, di portare più rispetto per… Confermi? 

«Assolutamente sì. Ma io ho la sacralità nei confronti della maglia iridata, no? Per cui voglio dire critico Sagan quando arriva coi peli lunghi alla partenza della stagione perché non se li taglia quando ha vinto il mondiale, quando vince la prima corsa. Sì, mi va bene però mi sento come dire troppo responsabile nei confronti di una cosa che non è mia, ma ha una storia. È stata di altri, no? È stata di altri veri campioni per cui è stata, sono… come dire contento e felice di poterne far parte, però devo rispettare, non è che… voglio dire, siccome c’ho la bomboletta spray posso, su un monumento, ci metto una roba mia, no? Guardo il monumento e dico: che straordinarietà chi l’ha fatto, e me ne vado via. Capisci cosa ti voglio dire, per cui… Non accetto un’idea di semi-vandalismo nei confronti di quell’oggetto, capito? Voglio dire… io la maglia di campione del mondo io da quando l’ho vinta non sono mai andato ad allenarmici una volta. Mai. Okay? Sempre quella della squadra…». 

- La tieni incorniciata? 

«Incorniciata, naturalmente, però voglio dire, è una…». 

- È un simbolo. 

«Eh. È una cosa lì a distanza, io non mi allenavo con la maglia di campione del mondo. Ingiusto probabilmente, non lo so perché…». 

- Non c’è un giusto o sbagliato, ognuno fa quello che sente… 

«Io non me la sentivo, io non me la sono mai messa. Vinto il mondiale, non me la sono neanche mai ricreata, me la sono rimessa alla Tirreno-Adriatico, quando sono andato… la prima corsa che ho rifatto, per cui… è stata per me un gesto per me importante, no?». 

- E invece la prima vittoria con quella maglia che hai detto che è una foto che ci tenevi particolarmente… 

«Assolutamente sì. Certo. È un’ulteriore soddisfazione perché nel momento in cui vesti la maglia iridata la prima cosa che pensi è cosa posso fare di grande per cui l’idea per me era di vincere la Sanremo con la maglia di campione del mondo, no? Quello che… tra l’altro poi quell’anno lì [2003] fu un anno particolare ma andai talmente forte che avrei potuto… non vincerla sarebbe stato soltanto per errore, per un’interpretazione sbagliata». 

- Come t’è cambiata la vita, se t’è cambiata, con quella maglia lì? T’è cambiata tanto? 

«Ma a me non è cambiata la vita, sai?». 

- A differenza di molti altri, eri già personaggio, in senso positivo… 

«Sììì, anzi direi, nel momento in cui ho vinto il campionato del mondo dentro di me è scattata veramente quella molla del film finito, basta, no, nel senso che…». 

- Si chiudeva una specie di cerchio? 

«Bravissimo: interiore. Okay, io ti ripeto, avevo 36 anni, l’anno dopo, iniziava la stagione quasi 37, per cui dove vai? Per me l’obiettivo è stato la Sanremo 2003, con la Sanremo 2003 che se n’è volatilizzata per colpa della mancata possibilità di gestir le cose in maniera troppo affrettata, è nata quella che è stata la fine della carriera. Infatti io poi per me era finita. Ho continuato ancora per una sorta di situazioni che c’erano in piedi, squadra e quant’altro». 

- Ma tu con la testa avevi già mollato o no? 

«Io avevo già mollato, sì. Con la testa avevo chiuso». 

- Perlomeno quella dei vecchi tempi… 

«Bravissimo, bravissimo». 

- E invece in corsa cambia qualcosa o sono le solite balle giornalistiche? Perché comunque sei più marcato. 

«A me non ha cambiato tanto». 

- Ma forse perché eri un velocista? 

«Forse perché ero un velocista che in realtà è un po’ come dire è un po’ “strozzata”, la maglia di campione del mondo, addosso a un velocista, no?». 

- Perché tanto tu saresti stato battezzato comunque nelle tue tappe o nelle tue corse. 

«Sì, assolutamente sì. Assolutamente sì. Infatti credo che in realtà io mi considero un campione tra i velocisti ma non mi considero un campione. Son due cose diverse. I campioni sono diversi, okay? E non vorrei far rimanere male nessuno ma neanche Sagan è campione, capisci cosa ti voglio dire? I campioni so’ altri. Poi ci sono dei buoni corridori che vincono delle corse. Ma i veri campioni sono altra roba, son quelli che han fatto la storia. E ce ne son pochi, per me, okay?». 

- Cinque, dai… 

«Sì. Cioè: se io da corridore sono di fronte a Indurain, siamo due mondi completamente diversi. Io non mi ci avvicino neanche, mentalmente, a pensare». 

- Però lui non può vincere le tue corse… 

«Ma lui non può vincere le mie corse perché non le “vuol” vincere. Ma lasciamo perder però è un mio modo di pensare, okay? Io quando incontro Eddy Merckx, o incontro Gimondi, incontro delle persone…». 

- Ma chi ci metti in quella fascia lì: Hinault, Merck, Gimondi poi? 

«Coppi. Ci metti…». 

- Quelli che proprio dici: stanno lassù nell’olimpo, i monumenti di cui parlavi prima… 

«Ci metto Indurain, paradossalmente magari qualcuno sbavando però ci metto Armstrong. Ci metto quella roba lì, capito? Cioè quelle macchine straordinarie che madre natura ci ha regalato, e non siamo noi. Non è neanche Sagan. Tu basta che tu lo veda., lo guardi e poi fai una foto di quei campioni là e mettila affianco. Metti Sagan in azione emetti quei campioni in azione». 

- Ti rendo conto non c’è in questa generazione uno da mettere in quell’olimpo. 

«E questo mica nessuno che lo [nega]… [Nessuno] dice niente». 

- L’importante è che pesiamo… 

«Pesiamo. Perché a [Sonny] Colbrelli gli fanno la copertina, di quei 13 in vista del mondiale, io ho pensato dopo sei anni avevo vinto ottanta corse, dopo sei anni, forse. Okay? No, ma al di là di quello. È un mio modo di vedere il ciclismo. Allora, questi sono in campioni attuali, di questa generazione sono campioni. Ma tu lo vedresti Froome partire nei confronti di Indurain? Tu hai presente Indurain a cronometro?». 

- Eh sì. Non aveva bisogno di metter giù la testa per far arrivare più sangue al cervello… 

«Quando si metteva giù, o Hinault quando faceva a cronometro, quando scattava in salita, o Merckx quando partiva, o Coppi. Ecco, tu hai presente quelli là? E poi prendiamo Froome. Sono due sport diversi. Ora c’abbiamo Froome, prendiamoci Froome. Okay, sono d’accordo. Però è come mangiare al McDonald’s o…». 

- Ho capito: sono menù molto diversi. Però per farmi capire bene o far capire magari anche a chi è meno dentro, tu mi hai fatto l’esempio di Armstrong, e se io ti faccio due esempi di specialisti di corse: per esempio Cancellara, Boonen, anche per quelli vale questo discorso? 

«Sì, assolutamente sì». 

- Perché li vedi troppo… 

«…settoriali. È diventato un ciclismo “settoriale”. Erano campioni per quella roba là, okay. Boonen era un campione delle pietre. Come è stato Cancellara campione delle pietre. E delle cronometro. Cipollini è stato il campione delle volate. Ma i campioni a tutto tondo sono un’altra roba. E ce ne sono stati pochi. Secondo me, anche fra questi qua io ci metterei anche uno come Moser. Io lo vedo campione Moser, okay?». 

- Sì, pensa solo alla longevità e alla “cattiveria” che aveva… 

«Bravissimo. Uno che vince un Giro d’Italia e ti vince la Roubaix, e che ti vince i campionati italiani, che ti vince le cronometro, che ti vince i prologhi. Comincia la carriera andando a rompere i coglioni a uno che si chiama Eddy Merckx al Tour de France…». 

- E la finisce con Hinault e compagnia… 

«Eh. Poi, era un ciclismo diverso. Allora: Nibali vince la Sanremo. Bello. Fa bene a noi, fa bene a lui, fa bene a tutti. Ma chi cazzo di Sanremo ha vinto? E ti spiego qual è il mio… Se Nibali avesse vinto una Sanremo in cui si prende la Cipressa a duemila, rimangono dodici corridori, otto corridori, si prende il Poggio a manetta, uno contro l’altro, parte Van Avermaet, secco, pum!, e gli va dietro Sagan, parte Sagan, tun!, poi prova lui e… [batte le mani, nda] Nibali va via. Bello. Ma tu scatti e nessuno si alza per venirti dietro, e tu vinci la Sanremo, ma la Sanremo… La Roubaix di Sagan, a voi v’è piaciuta, ma l’avete guardata, la Roubaix di Sagan? Sagan ha vinto una Roubaix perché in un momento in cui decide di attaccare, Van Avermaet – Van Avermaet che è il diretto avversario – si sposta a sinistra e Sagan va a destra. Non è che ha staccato nessuno e ha fatto sessanta chilometri da solo. Se Sagan non trova [Silvan] Dillier davanti, arriva all’arrivo? Capisci che non è la Roubaix di Moser, che prende e stacca De Vlaeminck, stacca pinco… e va via. Non è Cancellara, non è Boonen che prende… Non è Museeuw che prende e decide di fare una “cronometro” di cinquanta chilometri contro se stesso». 

- Però non è più quel ciclismo lì e non succede per quel motivo lì. 

«Non succede perché non ci sono i motori più di una volta, perché ci accontentiamo. Perché arrivare al ciclismo, ora, è molto più facile. Una vota per arrivare professionista dovevi fare un tot di punteggi in certe corse, e sennò tu professionista non passavi. Ora arrivano orde di gente che non sai chi è. Poi fortunatamente, cosa succede? Le squadre non sono più quelle di una volta che il campione portava qualcosa di aggiunto agli altri. Ora tu diventi campione se entri in quel sistema. E prima non era così, eh. Ora sono le squadre che “fanno” i campioni. Una volta era diverso. Il campione faceva la squadra. E il campione trascinava con sé, il gregario di lusso uno, due e tre». 

- Tu sei stato uno degli ultimi di quella scuola lì? 

«Bravissimo. Ora se tu vuoi diventar corridore devi andare o alla Bora, o devi andare alla Sky o devi andare alla Movistar, o devi andare alla QuickStep. Se sei fuori da queste squadre qui, tu le corse non le vinci più perché c’è un’organizzazione, perché c’è alimentazione, perché t’insegnano a “vivere”, perché… è tutto fatto dagli altri. E una volta te lo dovevi far da solo. È diverso. È un latro mondo. Tu sei una macchina discreta, prendi, ti costruiscono. Froome, sono convinto che guadagna un terzo di Sagan perché Froome è una creazione Sky». 

- Be’, insomma l’ultimo contrattone non è male però, no? Non so se tu poi mi metti dentro l’indotto, allora qui hai ragione perché l’altro non è un personaggio, quindi mi rendo conto che la differenza c’è, extra-ingaggio sto parlando, eh… 

«Sì, sì, ma voglio dire: Sagan è un campione per i fatti suoi, okay? Da subito ha fatto vedere che aveva delle cose, anzi forse più prima che adesso. Se ci pensi bene. E quell’altro è esploso con Sky quando l’han messo a fare il gregario di Wiggins. Io prima Froome non sapevo che esistesse, Froome. Tu lo conoscevi Froome?». 

- Io me lo ricordavo per l’episodio di quando… 

«…fu mandato a casa”. 

…fu mandato a casa. E per le cadute, tipo quella ai Giochi olimpici, poi perché s’era pagato la trasferta con la nazionale, perché la federazione non poteva pagargli neanche le spese. Poi, così, conoscendo la storia di Claudio Corti, gli esordi alla Barloworld eccetera. 

«Ma io non è che voglio criticare Froome o criticare Sagan o dire che… o era meglio prima o è meglio adesso. Assolutamente no, ci si deve adeguare, non si può dire che ora si vive meglio e una volta si viveva peggio. Non lo so. Loro son vissuti qua, e non te lo so dire. Però che sono due approcci completamente diversi secondo me sì. A mio avviso, il mondiale di Bergen l’anno scorso è stato di una noia mostruosa». 

- Si sapeva che finiva così. Ma anche quello in Qatar: si sapeva che finiva così. 

«Ma sì. Sono…». 

Anche lì vedi la differenza l’ha fatta coi ventagli, perché se lo perde un attimo… era prevedibile che finisse così, dai. Due su tre forse Richmond non era così scontato. Non era un mondiale, quello del Qatar… 

«Poi il mondiale di Qatar, voglio dire, secondo me se non si muovono i belgi lo vince Terpstra il mondiale. Non so se ti tricordi, Boonen mise i belgi a tirare perché Terpstra aveva fregato la Roubaix a Boonen, okay? Uno olandese, quell’altro belga, per cui… E chi ha tratto vantaggio è stato Sagan perché sennò Terpstra fa due chilometri e non lo prendi più, arriva solo. Sai queste sono letture che hanno…». 

…gli addetti ai lavori… 

«Eh, ma neanche tutti, eh. Io appena l’ho visto ho detto: cazzo, gli rende quello della Roubaix. Eh. L’ha anticipato e gliel’ha portato via. Al di là di questo, c’è un Bugno nel ciclismo attuale? C’è un talento come lui nel ciclismo attuale?». 

- Il bello è che neanche lui lo sapeva. 

«Questo gliel’abbiamo sempre detto. E il suo vantaggio è che non è in grado nemmeno ancora adesso di capirlo, perché sennò avrebbe dei rimorsi enormi, no?». 

- Non lo so, sai. Perché dopo lì ognuno ha il suo carattere, lui non ha il tuo e tu non hai il suo., quindi lui credo che sia sereno… 

«Io ogni tanto lo chiamo, gli rompo le palle e gli dico: guarda…». 

- Una domanda che mi aspettavo che mi facessi è: cosa fa uno con quel carattere lì nell’Associazione corridori? 

«Nooo, questo è un altro discorso, lasciamo perdere. Però quello che voglio dire è: ogni tanto lo chiamo e dico, cazzo, se col tuo motore c’avessimo avuto la mia testa, lo sai quello che si poteva fare?». [ride, nda] 

- Eh, ma i "Frankenstein" non esistono… Vale anche per il Chiappa… 

«No, ma il Chiappa non era ’sta roba qua». 

- No, come testa intendevo… 

«Sì, ma… Mondi diversi. Come col talento…». 

Non parlavo di talento, ma di uno che si immolava e che ha vinto una Sanremo che non doveva vincere, no? Per dire… In teoria. 

«Però, se l’è inventata. Perché lui c’ha creduto da subito, nel momento che ha… Ma lui se l’è inventata, e l’ha voluta. Perché uno che attacca a scendere dal Turchino è perché ha un’idea». 

Folle, però un’idea. 

«Non è che sei folle, c’ha un’idea e se l’è portata. Se l’è portata. Ha staccato corridori, ha staccato Sörensen, non è che ha staccato Simeoni, eh. Ha staccato Sörensen, a salire su per il Poggio, per cui sai, insomma, Sörensen ha vinto Liegi, ha vinto Fiandre, insomma. Corridori…». 

- Un bel corridorino… 

«Eh, capito? Per cui niente da dire». 

- Chiudiamo il discorso mondiali. Mi hai detto che non t’ha cambiato più di tanto in corsa… 

«No, ma neanche la vita». 

- E neanche i tanti impegni che devi rispettare extra-ciclismo? O eri abituato e hai tagliato via tutto? 

«No, ma io sai sono uno che… Ho tagliato molto, sì». 

Questo perché [di anni] ne avevi 36? 

«Bravo». 

- E te lo potevi permettere, diciamo? 

«Carattere. Sinceramente ancora desso se io volessi sarei in giro dalla mattina alla sera, no? Per queste cazzate». 

- A fare rappresentanza… 

«A me, non me ne frega niente. Io ho scelto…». 

- Una cosa che mi piacerebbe raccontare è che tutti: ah, Cipollini di qua, bello, di qua, di là… Però tu sei sempre stato innamorato della bici… 

«Assolutamente sì». 

- E hai fatto fior di vita d’atleta… 

«Ma ancora oggi». 

- E siccome t’hanno attaccato ’sto personaggio… Sembra quasi sminuire la statura del personaggio. E invece sarebbe bello raccontare… 

«Sììì, ma questo fa parte del… Il primo detrattore è stato [Angelo] Zomegnan, no? Perché essendo della Gazzetta…». 

- Ma pur di andar contro, da bastian contrario? 

«No, è che lui in realtà, in qualche modo cosa ha fatto? Vincevo sedici diciassette corse al Tour de France e poi io andavo in ferie. Fondamentalmente. Ma perché andavo in ferie? Pensate perché andavo in ferie. Le corse all’epoca eran 250-260-270 km, okay? Non c’era più niente per velocisti. E le corse importanti per velocisti finivano col Tour de France, dopo c0ernao la Parigi-Tours e la Parigi-Bruxelles che mai una volta arrivavano in volata, dicevano per velocisti ma non arrivavano mai una volta in volata con quel ciclismo». 

- Invece adesso per dirti Matteo Trentin ne ha vinte quattro in fila. A proposito di cambiamenti, no? 

«Capisci cosa ti voglio dire? Noi si arrivava su quegli ultimi tre strappi che voglio dire partiva [Laurent] Fignon, non è che partiva Pinco Pallino… E per cui era un ciclismo in cui io avrei dovuto fare cinque mesi a tutta per non ottenere niente. Allora che facevo? Arrivavo fino alla fine del Tour de France, recuperavo, io a ottobre-novembre già ricominciavo ad allenarmi”. 

- Parlavo prima con Carube e mi diceva: Ma 'sto ragazzo qua, dopo il Lombardia, cominciava a preparare la stagione successiva quando gli altri iniziavano a gennaio… 

«Bravissimo». 

Avrà avuto il diritto di farsi, dopo dieci mesi, una settimana al mare? Qui forse avete peccato voi di comunicazione. Perché se tu dici… 

«Ma no, la comunicazione, la scia perdere ora, ora fate presto a comunicare, no? Ma una volta chi ce l’aveva l’addetto stampa negli anni Novanta. E per cui…». 

- E quindi ti mettevan l’etichetta... 

«Sì, mettevan l’etichetta. Ora però ci son giornalisti che… [Ciro] Scognamiglio. E una volta c’avevi Zomegnan: capito? Fargli cambiare l’idea a Zomegnan, non era mica facile eh, in quell’epoca là. Era il padrone del ciclismo. Capisci? Per cui diceva Cipollini se si ritira va in vacanza, va a fare il playboy in Versilia. E sminuisci…». 

- Te lo dico perché poi con Leblanc, il patron del Tour, hai pagato quello poi alla fine, no? 

«Ma con Leblanc secondo me più che quello è stata un po’ come dire la…». 

- Tu alla fine se ci fai caso, uno quando diventa troppo grande, il Tour gli abbassa la testa. 

«E certo. Come con Armstrong». 

Sennò non mandavano a casa che il buon Sagan, no? 

«Sì, sì… Il Tour è il Tour». 

- Questo però col senno del poi lo dico, all’epoca non lo avrei detto. 

«Noi lo sapevamo, eh. Noi fondamentalmente lo sapevamo. Poi Cipollini era collegato a pantani. Pantani… per cui… a casa tutti e due». 

- Tutto torna. 

«E allora loro il Tour de France lo farebbero… all’epoca c’era quella squadra che si chiamava La Boulangère e qualcosa [Broche La Boulangère Vendée, nda], dice: Noi il Tour de France lo facciamo con tutte squadre come la La Boulangère perché il Tour è il Tour. In una riunione che fecero fra direttori sportivi. Dice. Ma come portiamo Pantani? Dice: noi il tour de France lo facciamo con la Boulangère. E questo ti fa capire il loro concetto. Ma hanno ragione». 

- Sì, però dopo lo scanbalo Festina al Tour ’98, quel discorso lì non lo facevano più perché rischiavano davvero di… Ecco perché poi avevan bisogno dell’Americano. 

«Rischiavano però noi… Nel 2002 ci han lasciato a casa. Però insomma voglio dire perché son bravi loro, perché sette Tour de France, due Contador e uno… come si chiama l’altro americano della Phonak che l’han mandato a casa?». 

Floyd Landis. Ma son bravi loro perché loro sono i veri americani del mondo. Bisogna togliersi il cappello… 

«Allora, praticamente ci sono dieci anni di Tour de France…». 

- Cancellati, spazzati via. 

«Spazzati via. Lo facesse il Giro d’Italia, t’ammezzerebbero i francesi, no? Però i francesi son francesi, sciovinismo…». 

Torniamo indietro di trent’anni, l’anno scorso il Giro tornava a Sappada trent’anni dopo Visentini Roche. Quest’anno torna e come trentun anni fa è arrivo di tappa. Sabato 28 aprile [2018] a Sappada presenteremo la tappa del Giro 2018. Volevo chiederti… 

«Me lo ricordo, quel giorno». 

- Te lo ricordi? Che ricordi hai di quel giorno, se ti dico Sappada che cosa ti viene in mente? 

«Eh, mi ricordo la crisi di Visentini. Con quel momento in cui l’unico che gli sta vicino è [Antonio] Santaromita che non è della sua squadra…». 

- Riccardo Magrini, suo direttore sportivo, lo richiama dall’ammiraglia della Magniflex: Antonio vieni qua, stai vicino alla maglia rosa che almeno ci inquadrano… 

«Eh, per cui quella cosa incredibile causata soprattutto secondo me da una crisi di nervi, no? Fondamentalmente, più che fisica, lui s’è sentito tradito. E credo che si sia sentito più tradito dalla squadra che non da Roche. Okay? Perché fondamentalmente un po’ è successo anche al sottoscritto». 

Raccontami se hai vissuto qualcosa di simile. 

«Sì, nel momento in cui io sono a voglio dire per me il mondiale eccezionale come ricordi ma è un ricordo brutto perché vissuto con Masciarelli e Santoni, no? In cui non avevano soldi. Loro avevano già messo le mani avanti per non pagare il premio di 500 milioni, perché c’era da mettere i milioni all’epoca, quello che vince mette 500 milioni, no? Per cui loro, per non pagare il premio, alla Vuelta io…». 

- Queste cose rimangono tra me e te? 

«No, no, le possiamo anche dire. Io sono alla Vuelta di Spagna e, praticamente, era divisa in due: Masciarelli e Santoni avevan fatto la società per la squadra Acqua e Sapone. Io vado a correre ma il mio referente è Santoni però nella società c’è… figura Masciarelli, che è poi il deus ex machina di tutto. Perché Acqua & Sapone "è" Masciarelli. In quale momento lì credo che cerca di assorbire la cosa Santoni, okay? Ed è il mio referente, è lui che mi convince ad andare all’Acqua & Sapone. Siamo alla Vuelta, io sono là e praticamente dice: Guarda, la squadra l’anno prossimo non si farà, non ci saranno soldi per far la squadra, e per cui siamo, tra virgolette, in braghe di tela. Vinci il mondiale e non c’hai la squadra. Poi arrivò [la] Domina, okay? Per cui… Tutta la storia conseguente. Cosa succede? Succede che si creano delle tensioni all’interno di un sistema che creerebbe dei problemi. Ecco che lì che torna fuori l’esperienza e la maturità di quel momento lì di poter gestire. Dico: Okay, allora: se non lo dà la squadra il premio-partita, lo do io. Metto io. Cosa che tra l’altro feci». 

- E che cinque sei sette anni prima non avresti potuto fare, anche volendo, no? 

«Ma no, io fortunatamente…». 

- No, intendo le spalle larghe per gestire, non di grana… 

«Ah, sììì. No, naturalmente ti creerebbero molti più problemi, però quel momento lì l’obiettivo è quello di vincere la corsa per cui vinco il mondiale me lo tengo io e vaffanculo tutto il resto. Però si creavano delle situazioni che in realtà si dividono in due e dividi… [il gruppo] e vedi quali sono gli amici, vedi quali sono quelli falsi, vedi quelli che sono quelli veri, poi capisci che comunque sia capisci che anche quello che sembra che ti tradisca in realtà lo fa perché deve lavorare perché c’ha una famiglia, per cui… Son tante cose che succedono no? Per dire, Lombardi che ti tira la volata poi l’anno dopo Lombardi vuol far la squadra con la Specialized con Pantani, okay? Però Lombardi nella squadra il contatto con la Specialized glielo crei te perché Lombardi è a piedi dalla Telekom e lo prendi tu ma quando fa lo zingaro che… capito? Allora li crei e li costruisci e dopo… e questo è il mondo. E capisci…». 

- Ma ti vedo molto sereno su questo, non è che ti ferisce… 

«Ma nooo, no-no. Io non sono... Ti ripeto, ho avuto il tempo per metabolizzare, per analizzare e capire. Che poi fondamentalmente ognuno di noi segue la sua storia, ognuno di noi ha la sua strada. e dopo cinquant’anni hai fatto diciassett’anni di carriera, ho fatto guadagnare un sacco di soldi a un sacco di gente. E se devo pensare a quanti amici mi sono rimasti in quell’ambiente, una mano è troppo grande. Capisci?». 

- Ma quando cii sempre io non ho il carattere per, cioè: in che senso? Che non sei abbastanza diplomatico, quindi diciamo che tutto ciò che è politico non fa per te, no? E se c’è qualcosa da dire, non la mandi a dire. Ma anche la gestione-Cassani della nazionale, o… 

«Ma tutto. Ma anche la relazione con una donna, la fidanzata o la moglie: ma se tu le dici veramente ciò che pensi, ti ama?». [ride, nda] 

- Ti voglio fare una domanda più precisa: allora, adesso tu hai un’azienda di biciclette di un certo livello, no? 

«Sì. Sì…». 

- E quando produci, qualsiasi industria, ma anche rimaniamo nello specifico tuo, a un certo livello, si c’è anche una componente politica, commerciale, chiamala come ti pare, cioè perfino uno come Merckx ha dovuto scendere a qualche compromesso. Ecco, lì nella realtà industriale che Cipollini troviamo? 

«Ma guarda la fortuna del marchio Cipollini, è che è una cosa fatta a quattro mani con [Federico] Zecchetto, okay? Io ho avuto quest’idea di creare questo marchio, di fare queste cose e lui l’ha appoggiata appieno. Immediatamente. Per cui noi ci dividiamo le due passioni. Lui ha la passione per l’industrializzazione della cosa, per rendere fattibile, rendere reale un oggetto, farlo diventare di livello e distribuirlo. È il suo mondo, l’industrializzazione. Tanto è vero è un industriale perché ha non so quante migliaia di dipendenti… abbia. Io l’idea di entrare in un’industria, o far funzionare o avere a che fare con gli operai o con…». 

- Non ci pensi neanche lontanamente… 

«Non ho voglia. Però sono quello che magari vedendo un mobile, una macchina, una moto o un aeroplano, mi viene in mente il disegno di una bici. Okay? Per cui me la creo…». 

- Da lì è nato il logo, da una di queste tue intuizioni? 

«Da lì è nata la bicicletta. Da lì è nata la bicicletta, fondamentalmente, per cui io do l’input su come mi piacerebbe, secondo me, la bicicletta, la figura della bicicletta, la lunghezza, la bassezza, questo e quell’altro. La portiamo su un disegno, la modifico, la creiamo e la provo. Quando l’ho provata ti dico: va bene, o bisogna sistemare questo. Io prendo, vado da Zecchetto e dice: ti mando, è pronto il telaio, provalo. Me lo manda e… Due giorni dopo provo la bicicletta, vado su e dobbiam fare questo e questo. Capito? Si sono trovati… e come uno suonasse il basso e quell’altro il pianoforte, e siamo perfetti». 

- Carube m’ha detto: paradossalmente Mario col suo carattere è uno con cui è più facile lavorare, perché non c’è mai da discutere, ma se c’è da discutere alla fine ha ragione lui magari per un millimetro, per la bici. Invece, perché Cipollini è uno dei marchi italiani su Procycling magazine? Quell’intuizione lì ce l’ha il tuo socio? O sei tu che vuoi andare… 

«No, l’intuizione… L’intuizione poi cosa avviene? Lui è bravo a fare questo… Io sono bravo a fare questo. Insieme abbiamo creato questo qui, ora bisognerà trovare uno bravo a fare altro». 

- A farlo conoscere. È la cosa più difficile. 

«Ecco. Bravissimo. È quello che ci stiamo rivolgendo perché c’è da entrare nei mercati. E far capire perché ad esempio il mercato americano è un mercato complicatissimo. Perché prima di avere la fiducia dell’americano, tu che vieni dall’Italia, devi far vedere che tu proponi la Ferrari, non la “napoletanata”. Okay? Allora, il fatto di avere il nome, il fatto di averci un’industria dietro, ci permette di essere già rispettati e ascoltati. Però c’è da entrare in quel sistema e soprattutto è un mercato talmente ampio che la cosa più complicata è che tu le biciclette le devi vendere nel negozio di biciclette. Okay? Qual è il problema? Che tu vai in un mercato che è Specialized e Trek da sempre. Tu vai in un negozio che è sponsorizzato da Specialized da sempre. Okay?». 

- Quindi devi rompere quel muro di tradizione, no? 

«Quindi io ho già fatto una mia filosofia. Se noi come Cipollini avessimo uno store a New York, uno a Los Angeles, uno a San Francisco, un altro da un’altra parte, in mezzo a prodotto di lusso, io credo che chi ha il jet personale, chi ha la Rolls-Royce e gioca a golf e vede la bicicletta appoggiata lì a un muro, io la voglio. Anche se non vado in bicicletta, mi piaceva averla in casa». 

Ho visto il negozio Pinarello a Londra. Per dirti… 

«Ma io sono anni che lo dico. Perché da quando noi stiamo cercando di entrare nel mercato americano, secondo me l’industriale ricco americano non ha problemi a spendere 15 mila euro o 20 mila dollari per una bicicletta se gli piace. È difficile venderla nel negozio di biciclette perché…». 

- Perché non ci va quel miliardario lì… 

«No, perché ci va quel ciclista appassionato che compra la bicicletta, è normale che il venditore gli vendono la Trek o la Specialized o un’altra bicicletta perché [il marchio] Specialized probabilmente è quello che l’ha fatto rimanere in piedi da trent’anni. E io è quello che sto cercando». 

- E ho parlato con Battaglin di questo, del mercato americano: lui si sta scavando una nicchia nel settore dell’acciaio. Volevo chiederti perché: perché gli americani son fissati con l’acciaio? 

«Ma gli americani son 350 milioni…». 

- Però sai anche lui si scontra con quei giganti che dici tu, no? Perché l’acciaio ti consente di…? 

«Eh, perché ti devi diversificare». 

- Volevo chiederti se c’è un legame, la fissa degli americani per l’acciaio: perché? 

«Ma perché secondo me è un discorso del vintage. Perché l’Eroica, le maglie di lana, l’hipster in bicicletta…». 

- Quindi non è il materiale in sé. 

«Mah, l’acciaio, tra virgolette, rispetto al carbonio fa cagare. Se monti su una bicicletta…». 

- Infatti non capivo perché… 

«Ma se tu monti su una bicicletta d’acciaio, ti sembra di scendere da un’Audi R8 e montare su una Giulia…». 

…degli anni Settanta… 

«È uguale. Io son convinto che se… Va bè, io... Lasciamo stare le biciclette d’acciaio. Son due mondi completamente diverse. Andiamo avanti. Siccome ci son quelli che vogliono tornare indietro, tornano indietro, per cui…». 

- Forse è una strada che gli permette di campare, in senso commerciale. Non lo so… 

«Assolutamente sì, [gli americani] son 350 milioni. Se tu fai dei vari spicchi delle persone a cui possono piacere alcune cose. Io per dire vestito di cuoio con le Harley Davidson non ci andrei in giro per il mondo, però rispetto quelli che…”. 

- Però ci sono quelli che lo fanno. 

«Io, il motocross non mi piacerebbe. Però c’è chi fa motocross, okay? C’è tutto, no? Voglio dire, se tu vuoi proporre una bicicletta di carbonio eccezionale, probabilmente Battaglin non ha neanche né le energie né le risorse per andare a imporsi in quel settore in cui c’è una ricerca e c’è una capacità di innovazione che lui forse non può avere. E arrivi sempre secondo anche se il prodotto… arrivi secondo perché Pinarello sponsorizza chi vince il Tour de France, per cui perdi. E invece di farti una nicchia, ti fai una nicchietta e sai che sei lì. Credo». 

- E come ti è venuta l’idea, invece? Perché quando correvi cercavi sempre… 

«No, mi è venuta l’idea perché io quando ho smesso di correre in bicicletta, mi son fatto dare tutte le biciclette. Di tutti i marchi. E non me ne piaceva una. Dico: perché non mi va bene una bicicletta? Se io fossi uno che vuol comprare una bicicletta, non me ne piace una e come se è uno costruisce [fabbrica] le scarpe: perché? Perché nelle Nike ci sto male, le adidas fanno cagare, perché le Puma mi fanno schifo e le Saucony mi sudano i piedi. Voglio fare una scarpa io che ci sto bene, è leggera, mi piace…». 

- …e magari costa… 

«...meno». 

- ..il giusto... 

«Okay. Questo. Ho fatto questo, io. Sono andato da Zecchetto e ho detto: Guarda io ho una mia idea delle biciclette. Perché gli altri le fanno le biciclette le fanno corte e alte, in modo che a livello di morfologia fai quattro telai e becchi tutte le razze». 

Tu invece? 

«Io invece l’ho fatta allungata e abbassata: da corsa. Concetto di una bicicletta che è fatta veramente per chi ha quell’ [impostazione]… se tu hai il pancione, la mia bicicletta non ti va bene, ti devi prender l’altra. Però la mia, che è la The One, è fatta per andare da corsa. Perché se io sono uno sciatore, mi piace sciare, voglio scendere, mi vado a comprare i 191 come ce l’hanno quelli che fanno la gara. È uguale. Poi se io non ci so sciare, è un altro discorso. Ma lo voglio uguale. Stessa cosa è quello. Non posso pensare che Boonen “scia”, e vince la Roubaix con la stessa bicicletta che posso comprare nel supermercato di… Magari, loro, è il concetto americano, ma non è il mio concetto. Okay? Anche gli spaghetti li mangi in area di servizio, no? Mangi gli spaghetti al pomodoro, però se te li fa Cannavacciuolo gli spaghetti al pomodoro, è diverso. E son tutte biciclette ma… Un cazzo son tutte biciclette! Eh, capito?». 

- Mi dai invece un tuo ricordo di Roberto Visentini, al di là di Sappada, visto che in gruppo te lo sei ritrovato che lui era ormai a fine carriera, e Roche. Di tutti e due, cosa ti ricordi? 

«Ma io, di Roche, assolutamente niente. Non so neanche in che anno ha smesso, Roche». 

Era tornato in Carrera nel ’92 e ’93, però era un lontano parente di quel Roche là, quello dell’87, e s’era messo al servizio del Chiappa

«Lui era andato alla Fagor, dove cazzo era andato… Io di Roche non ho ricordi. Di Visentini ho i ricordi che lui era un corridore solitario. Aveva soltanto una comunicazione che era fatta di freddure». 

- In dialetto bresciano. 

«Lui comunicava con freddure. Per cui ti fa capire che era rimasto violentato da quell’episodio là…». 

Anche se era così pure prima. Almeno così me l’hanno descritto tutti. C’è una cosa che ti volevo chiedere perché anche lui come te magari pagava certe etichette. Anche lui ricco, Ferrari, magari tu eri di famiglia più modesta rispetto a lui come soldi, no? Perciò anche lui piaceva alle donne, biondo, capito lunghi, sta roba qua., parliamo comunque di un’Italia abbastanza bacchettona, gli anni Ottanta ancora, che sembra un secolo fa, ma forse erano due secoli fa. 

«Sì, sì. Io credo che Roberto avesse invece un talento, un motore straordinario. E questo nessuno lo mette in dubbio, lo sanno tutti e soprattutto i suoi avversari». 

- Bastava vederlo. 

«Voglio dire, bastava vederlo quel Giro d’Italia con il braccio ingessato. Ha vinto un Giro d’Italia con un braccio ingessato, cazzo, no? E aveva una facilità nel pedalare, nel cambiare ritmo soprattutto in salita, bon. Cronometro si sapeva che… io Roberto me lo ricordo quel Giro d’Italia a Verona dove non lo fecero partire con quella cazzo di bicicletta inventata da [Giovanni] Arrigoni [della FIR]…». 

La Piranha… 

«La Piranha». 

- Sai che gliel’hanno rubate tutte e due a Battaglin? Ne aveva due esemplari, gliel’hanno rubate. Non era omologata, te lo ricordi? 

«Io mi ricordo che arrivai a Verona, non so di che anno si parla [era il Giro d’Italia del 1985, nda] forse andai a vedere mio fratello [Cesare] e c’era questa…». [Cesare Cipollini, allora alla Fanini, chiuse 85° in classifica generale, nda] 

- Con le ruote panciute. 

«Con la ruota panciuta, che era un’idea geniale». 

- Geniale ma folle, per l’epoca, no? 

«Sì, ma geniale. Ancora oggi è geniale se ci pensi bene no? Perché poi fondamentalmente se tu riuscissi a interrompere l’aerodinamica che crea il contrasto che viene creato dal movimento delle gambe tu potessi mettere per dire uno spoiler dal portaborracce che copre le gambe, noi, secondo me, si fa sessanta di media, ora. Assolutamente. E per cui questa era un’idea geniale. E mi ricordo che lui nel gruppo stava sempre in disparte del gruppo, lui era a un metro da tutti al vento. Una fatica che non si sa come potesse fare. Però io non ho mai corso in squadra con lui. Non ho avuto un modo per conoscerlo intimamente. L’ho conosciuto come personaggio, no? E mi ricordo veramente le freddure di una simpatia devastante. Voglio dire, lui era uno che nel momento…». 

- Era uno che diceva a Torriani, vista l’attività di famiglia, per te ho un modello speciale… oppure a Salve di Val Gardena, dà un cazzotto sulla macchina di Torriani. Sai ’ste cose qua probabilmente le ha anche un po’ pagate poi alla fine. O con Moser eccetera. 

«Ma sì, era un momento in cui quando si faceva il Giro d’Italia, Moser, in Trentino, si doveva far vincere il Giro d’Italia a Francesco, no?». 

- Sì, era scritto. 

«Eh sì». 

- Ultima cosa. ci sono dei corridori ai quali sei rimasto più o meno legato? Però al di là delle vittorie. Prima hai detto sono cinque, alla fine… 

«Non possiamo metterci qua a fare…». 

- Però alla fine ti è rimasto anche dal punto di vista umano. 

«Assolutamente sì. Io… ma anche con delle persone con cui ho avuto dei contrasti, che ho dei pensieri diversi da loro che magari abbiamo anche discusso o litigato, e anche se forse non ci avviciniamo più, ma dentro io ho un ricordo positivo, non negativo. Ma veramente». 

- Non te lo chiedo neanche se il ciclismo di oggi ti diverte ancora. Perché mi pare che me l’hai “abbastanza” massacrato… 

«No, ma io il ciclismo lo guardo, lo segue, cazzo…». 

- Ma ti diverti? 

«Divertire è un’altra cosa, perché sai cos’è? Mi dà l’impressione di essere sempre in attesa di qualcosa che non arriva mai». 

- Godot a due ruote. Aspettando Godot che non arriva mai. 

«È una cosa per dire: sì, aspetti, perché il nostro ciclismo era “eclatante”, no? Dallo scatto di Pantani piuttosto che la lotta vera fatta gli ultimi chilometri. Ora tu, la tappa può essere dura, difficile quanto ti pare, fino a due chilometri e mezzo sono lì, i leader son tutti lì, e nessuno è ancora andato in difficoltà». 

- Ma quando ti usano come cognome importante per queste battaglie per ritrovare un certo tipo di ciclismo italiano, magari avere una squadra World Tour che non abbiamo più, poi alla fine non ti chiama più nessuno però. No? Si parte: ah, ti… è vero o no? O hai smesso di credere a questi personaggi? 

«No, ho deposto assolutamente la mia… Io, guarda, ho fatto… Ma nemmeno un tentativo, non è stato un tentativo, è stata quasi una “confessione” più che altro. Una confessione a Berlusconi. Gli dissi: “Ma perché lei non ha mai creduto nel ciclismo come veicolo popolare? E secondo me ha sbagliato perché nessuno gliel’ha mai raccontato e nessuno è stato in grado di farle capire cosa potesse essere il ciclismo”. Io gliel’ho detto due anni fa. “Facciamo un’ipotesi. Adesso lei crea una squadra e riporta in Italia Aru, Nibali; fa una squadra che si chiama Milan, Milano, Milan-Roma o quello che le pare e riporta tutti i campioni italiani e crea una squadra italiana nel mondo del ciclismo. Sono convinto che se lei viene alla partenza del Giro d’Italia con la sua squadra, riportando Nibali, ricreando tutta una squadra, io sono convinto – e lo giuro qui – che ci sono persone, pensionati che vanno in giro per il mondo con la bicicletta che non hanno mai votato per lei, sono convinto che la voterebbero”. Mi disse: “Magari è anche così, non lo so. E forse hai anche ragione però io non ho più né le energie né la capacità di fare una cosa del genere”. Disse così». 

- Ma se io ti faccio l’obiezione che lui quando lo fece, ti ricordi, con Milano hockey, il rugby [Amatori], la pallavolo [Gonzaga], il baseball [Milano] – tutti con la polisportiva Mediolanum – le macerie che ha lasciato? Questa non è un’obiezione valida, secondo te? 

«Io non lo so che macerie abbia lasciato». 

- Il Milan stesso, se non vuoi andar troppo lontano... 

«Okay. Stiamo parlando di costi allucinanti. Perché il Milan stiamo parlando di cinquecento milioni di euro, no?». 

- Eh sì, ma nel calcio. Ma perché [nel ciclismo] c’è qualcuno in gradi di metterne 35 l’anno come il Team Sky [l’attuale Team Ineos, nda], in Italia? Non credo, io. No? 

«Ho capito, ma lui avrebbe potuto farlo». 

- Sì, però bisogna sempre vedere… probabilmente vale anche per il Team Sky, magari quando si stufano, lasciano lì anche loro le macerie. 

«Secondo me, il Team Sky ha già chiuso. Secondo me». 

- Nel senso che hanno completato quello che volevano fare? 

«Sì. Secondo me sono già…». 

- Hanno già svoltato? 

«Sì. È la mia sensazione. Magari sbaglio, dico delle cazzate». 

- Ma è una sensazione suffragata da che cosa? Dalla scelta di corridori, per dirti... 

«Da come si muovono, da come sono le informazioni, da cosa… Poi, credo che questa cosa di Froome abbia…». 

- ...dato un colpo definitivo? 

«Secondo me sì, loro…». 

- Perché, sai, Brailsford in Inghilterra deve aver pestato qualche callo importante, perché è uno che sposta tanti soldi e magari gliela fan pagare. Sai, quando hai troppo successo. 

«Sì, il discorso è il movimento del ciclismo che vuole l’Inghilterra, inteso come bicicletta il movimento. E un discorso invece è vincere le corse e vincere delle corse come le hanno vinte loro. E probabilmente, non so quanto Murdoch quanto veramente sappia di quello che è il ciclismo e più che altro di cosa serve per vincere». 

- Più che altro è James Murdoch, il figlio di Rupert, che è quello appassionato di ciclismo. 

«Sì. E per cui credo che loro si siano trovati a dover gestire una cosa che non immaginavano fosse un problema». 

- Perché è troppo grossa per certe cose, da un punto di vista mediatico? 

«Perché è problematica. Magari sono abituati a gestire cose molto più grosse, ma che questo qui fosse – tra virgolette – parte divertimento. Andar là divertirsi, tornare a casa e aver goduto. Okay? Si sono resi conto che non è così. È molto più complicata, gli si stan complicando le cose. E allora non vorrei che loro stessero già pensando a qualcosa di meno complicato». 

- Un ridimensionamento che faccia parlare meno, magari. 

«Bravo».

CHRISTIAN GIORDANO

Commenti

Post popolari in questo blog

PATRIZIA, OTTO ANNI, SEQUESTRATA

Allen "Skip" Wise - The greatest who never made it

Chi sono Augusto e Giorgio Perfetti, i fratelli nella Top 10 dei più ricchi d’Italia?