GUILLAUME MARTIN - Nietzsche sale in bici: «Ma quando pedalo non faccio filosofia»
Da 28° a 4° in classifica, Guillaume scrive libri e si ispira ai grandi pensatori: «Bisogna amare il dolore della vita»
di ALESSANDRA GIARDINI
Gazzetta dello Sport - domenica 15 maggio 2022
Lo chiamano tutti filosofo, ma Guillaume Martin ci tiene a lasciare separati i suoi due mondi. «Quando pedalo, non faccio filosofia. Penso a correre, a vincere. Anche se le corse mi influenzano: le delusioni per esempio mi ispirano, mi fanno scrivere». Eppure, quando pedala, non smette mai di pensare. Guillaume ha una singolare propensione a entrare nella fuga giusta: è così che si è riportato in classifica al Tour dell’anno scorso e poi alla Vuelta, concludendo rispettivamente all’ottavo e al nono posto. Nel Giro del debutto il giorno del golpe è stato ieri, sul circuito di Napoli. «Guillaume segue molto l’istinto - racconta Roberto Damiani, dall’ammiraglia della Cofidis -. Quando ce lo siamo trovati in fuga ci siamo detti: adesso ce la giochiamo». Prima del via era 28° a 4’06” da Lopez; uscendo allo scoperto ha recuperato esattamente 3 minuti: adesso in classifica è quarto, a 1’06” dalla maglia rosa. «Non lo avevo programmato di essere in fuga, non ci pensavo proprio. Ci siamo trovati davanti un po’ per caso, e il distacco dai favoriti è addirittura cresciuto nel finale. Una buona giornata», ha spiegato Martin.
Disciplina Originario di Sainte-Honorine-la-Chardonne, in Normandia, Guillaume è venuto su in una famiglia in cui la disciplina è sacra. Il padre insegna aikido, la madre teatro. Dopo la maturità si è laureato in filosofia. È meticoloso, attento al peso, all’alimentazione, alla meccanica della bicicletta. In corsa, però, segue l’estro del momento. «La mia intenzione era quella di passare una giornata senza stress, al sicuro, ma in fondo si fa la stessa fatica davanti o dietro. Non ho pensato alla maglia rosa. Ho guadagnato un po’ di tempo, bene, ora devo recuperare, il Blockhaus è complicato».
Paradosso I minuti di ritardo li aveva accumulati nella tappa dell’Etna. Un paradosso per lui che si era preparato al primo Giro andando in ritiro tre settimane di aprile sul vulcano più alto
d’Europa. Si era stabilito ai 1.950 metri del rifugio Sapienza, si allenava, e poi andava a fare il turista nelle città della Sicilia con la sua compagna, Emilie. L’Italia fa parte del mito. «So un po’ di storie. Bartali, Coppi, il suo massaggiatore cieco, Cavanna. Me le ha raccontate mio padre: era tifoso di Anquetil, ma le storie di Coppi le conosce tutte». Costante, senza grandi picchi, Guillaume ha vinto poco da professionista: un Giro di Toscana, un Circuit de la Sarthe, una tappa del Giro di Sicilia nel 2019. «Purtroppo la costanza non fa parte della cultura francese, non è molto apprezzata. Noi in famiglia però siamo sempre stati molto competitivi. Quando c’era il RolandGarros, io e mio fratello mettevamo due sedie, un bastone di legno e giocavamo a tennis. Quando guardavamo le Olimpiadi, il lancio del martello, andavamo nel nostro giardino, legavamo il martello con un filo e lanciavamo. Sempre così».
No al ritiro Martin ha scritto tre libri: l’opera teatrale «Platone vs Platoche», e due saggi in cui cerca di rendere accessibile la filosofia. In «Socrate in bicicletta» fa ragionare i grandi filosofi sul senso del ciclismo, in «La Société du peloton» analizza il comportamento dell’individuo in gruppo. Con la filosofia cerca di spiegare il suo modo di correre. «Non mi piace lasciare una corsa a metà, non ha proprio senso. Puoi stare male ma il dolore è parte integrante dello sport, come della vita. Uno dei miei filosofi preferiti è Nietzsche: bisogna imparare ad amare il dolore della vita. Mi parla, e lo ascolto».
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