“E POI LA VITA SI FA MORTE”


Addio allo scrittore, poeta e regista

In ricordo di Paul Auster, il geniale scrittore americano morto martedì a New York, pubblichiamo uno stralcio de “L’invenzione della solitudine”, suo primo memoir del 1982.

3 May 2024 - Il Fatto Quotidiano
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"Ero convinto che il lutto mi avrebbe paralizzato-
E invece non versai una lacrima"
   - PAUL AUSTER,  “In memoria di mio padre”

Un giorno c’è la vita. Per esempio, un uomo sano, neanche vecchio, senza trascorsi di malattie. Tutto è com’era prima e come sarà sempre. Passa da un giorno all’altro pensando ai fatti suoi, sognando solo il tempo che ancora gli si prepara. Poi, d’improvviso, capita la morte. Un uomo esala un leggero sospiro, si abbandona sulla sedia, ed è la morte. La sua subitaneità non lascia spazio al pensiero, non dà occasione allo spirito di cercare una parola che possa consolarlo. Restiamo soli con la morte, col dato inoppugnabile della nostra mortalità. La morte dopo lunga malattia possiamo accettarla con rassegnazione. Anche la morte accidentale si può attribuire al destino. Ma che un uomo muoia senza causa apparente, che muoia solamente perché è uomo, ci spinge così vicino all’invisibile confine tra la vita e la morte da farci domandare su che lato di esso ci troviamo. La vita si fa morte, ed è come se quella morte avesse posseduto questa vita da sempre. Morire senza preavviso. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque momento.

La notizia della morte di mio padre mi ha raggiunto tre settimane fa. Era una domenica mattina, e stavo in cucina a preparare la colazione per il piccolo Daniel, mio figlio. Di sopra, mia moglie era ancora a letto che si godeva qualche ora di sonno supplementare al caldo delle coperte. Inverno in campagna: un mondo di silenzio, legna fumante, bianco. Rimuginavo il pezzo che avevo scritto la sera precedente nella trepida attesa del pomeriggio, quando mi sarei rimesso al lavoro. Poi squillò il telefono. Capii subito che era successo qualcosa. Nessuno ti chiama alle otto di domenica mattina se non per darti una notizia che non può aspettare; e a non poter aspettare sono sempre le brutte notizie.

Non riuscii a formulare neanche un pensiero elevato.

Ancor prima di fare i bagagli e partire per le tre ore d’auto che ci separavano dal New Jersey, sapevo che avrei dovuto scrivere di lui. Non avevo un progetto, né una precisa idea di che cosa questo volesse dire. Non ricordo nemmeno di averlo stabilito. Semplicemente era lì, come una certezza, un comandamento che cominciò a imporre la sua legge nel momento in cui appresi la notizia. Pensai: mio padre non c’è più. Se non faccio in fretta, tutta la sua vita scomparirà con lui.

Riflettendoci adesso, anche da un tempo breve come tre settimane, quella reazione mi pare molto strana. Da sempre ero convinto che la morte mi avrebbe stordito, paralizzato di dolore; ma adesso che era accaduto, non versai una lacrima, non mi sentii come se il mondo attorno a me fosse crollato. Chissà come, mi scoprii preparato ad accettare la sua morte, per inaspettata che fosse. A turbarmi era un altro pensiero, staccato dalla morte di mio padre e dalla reazione che mi suscitava: il constatare che non aveva lasciato tracce.

Non aveva moglie, né una famiglia che dipendesse da lui, nessuna vita sarebbe stata modificata dalla sua assenza. Forse per un attimo avrebbe spaventato un gruppetto di amici, scossi non meno dall’idea dei capricci della morte che dalla perdita subita; ma sarebbe stato solo un breve cordoglio, poi più nulla. Come se non fosse mai vissuto.

Era assente già prima di morire, e le persone più vicine a lui avevano imparato da un pezzo ad accettarne l’assenza, considerandola il tratto più essenziale del suo essere. Adesso che se n’era andato, non sarebbe stato difficile per il mondo assimilarne la scomparsa definitiva: la natura della sua vita – una specie di morte anticipata – aveva preparato il mondo circostante alla sua morte, e se e quando lo avessero ricordato, sarebbe stato una memoria vaga, niente più che vaga.

Digiuno di passioni per le cose, le persone o le idee, incapace o avverso a svelarsi in qualsiasi circostanza, era riuscito a mantenersi staccato dalla vita evitando di tuffarsi nel vivo delle cose. Mangiava, andava al lavoro, aveva amici, giocava a tennis, eppure non era presente. Era un uomo invisibile nel senso più profondo e più concreto: invisibile agli altri, e molto probabilmente anche a se stesso. Se da vivo continuavo a sondarlo cercando in lui il padre che non c’era, sento ancora il bisogno di cercarlo da morto. La sua morte non ha cambiato nulla. L’unica differenza è che mi manca il tempo.

Paul Auster © 1982 Paul Auster/ © 1997, 2015 Giulio Einaudi editore
Pubblicato in accordo con Carol Mann Agency e The Italian Literary Agency

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