FINALI MONDIALI - Città del Messico 1986: il campionissimo


¡Genio! ¡Genio! ¡Genio! 
Maradona, en una corrida memorable, 
en la jugada de todos los tiempos... 
barrilete cósmico... 
¿De qué planeta viniste? 
¡Para dejar en el camino a tanto inglés! 
¡Para que el país sea un puño 
apretado, gritando por Argentina!...
   - Víctor Hugo Morales

di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
Rainbow Sports Books ©

Settembre 1985, a Città del Messico la terra trema. dall’altra parte dell’Atlantico, a Ginevra, la FIFA fa altrettanto. nel Paese centroamericano, in meno di tre minuti, crollano per il terremoto un migliaio di edifici. La cosa strana è che quelli più antichi resistono, quelli più nuovi, invece, vanno giù come privi delle fondamenta. 

La spiegazione dell’inspiegabile sta nel fatto che le fondamenta c’erano sì ma solo nei progetti. La speculazione edilizia, la corruzione diffusa in ogni settore avevano colpito ancora, e duro. Le prime statistiche ufficiali parlano di cinquemila morti; poi le fonti governative cessano gli aggiornamenti, tanto per non sollevare pericolosi polveroni sulla marea di macerie. 

Preoccupatissimo, intanto, il massimo organismo calcistico internazionale. L’organizzazione del Mondiale, in programma pochi mesi dopo, è in serio pericolo. Per la FIFA, una seconda rinuncia, dopo quella colombiana dovuta a un’identica catastrofe, sarebbe un bel guaio. ognuno, si sa, ha i suoi problemi.

Ma i Mondiali sono i Mondiali e con gli enormi interessi in gioco non si scherza: l’orgoglio locale, unito a un’ammirevole gara di solidarietà del resto del mondo e alle solite, ulteriori vessazioni fiscali sulle fasce sociali meno protette, fa sì che la manifestazione abbia luogo. il Messico è la prima nazione ad ospitare per la seconda volta la kermesse iridata; e sono proprio gli stadi realizzati per l’edizione di sedici anni prima, miracolosamente resistiti al sisma, a rappresentare la carta vincente della sua candidatura. non si sa come, ma si comincia. 

«Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è…». Fosse esistito anche per il calcio un Mario Ferretti – per eccellenza il cantore del ciclismo dell’epoca eroica –, per questa edizione dei Mondiali non avrebbe avuto dubbi: il Campionissimo del pallone, capace di vincere quasi da solo, era lui, Diego Armando Maradona. 

LA PARTITA 

Neanche il tempo di fischiare il via e Matthäus si attacca come un francobollo su una busta con su stampato il numero dieci di Maradona: lo seguirà anche in bagno. e per la Germania, anziché la salvezza, sarà la fine. immolandosi alla causa Lothar, per quanto possibile, limiterà Diego, ma sparirà dalla partita. La classe e la velocità sono quelle del Matthäus che avremmo imparato a conoscere nel campionato italiano, la personalità ancora no. Per quella dovremo aspettare quattro lunghi anni e la cura-Trap. 

Primo brivido al 5’. Batista, da solo di fronte a Schumacher, spreca tutto. Sull’altro versante Pumpido deve uscire un paio di volte per metterci una pezza. Poca roba. al 16’ invece si fa sul serio: Briegel lubrifica i cingoli e va via con una progressione inarrestabile, Batista lo mette giù. Punizione dal limite. Gli argentini non rispettano la barriera e uno in particolare, capitan “Diegol”, mostra una lingua troppo lunga, almeno per il metro dell’arbitro brasiliano Arppi Filho, che non può esimersi dal zittirlo col «giallo». Sei minuti dopo altra punizione e altro cartellino, stavolta sulla destra dell’attacco blanquiceleste: Maradona viene «massaggiato» da Matthäus, che finisce lui pure nella lista dei cattivi. Sul punto di battuta si reca Burruchaga, che fa partire uno spiovente in area dove si avventura un allegro Schumacher munito di retino. il portierone (quasi) ammazza-Battiston esce a farfalle, ma il pallone non è un lepidottero e il buon toni non lo afferra. Brown, che forse della natura ama altre manifestazioni, ne va ad incocciare la traiettoria colpendo col capoccione: 1-0, l’argentina è in vantaggio. Sugli spalti, un solo coro: «Vamos Ar-gen-ti-na!». 

Gli argentini per andare vanno, ma a cercare di frenarli c’è la veemente reazione tedesca. Maradona tenta di far trascorrere il tempo «nascondendo» la palla a colpi di magie, ma Matthaus lo bracca come un mastino e gli ringhia sul collo. Diego non sembra in giornata, viceversa Burruchaga pare disputare la partita della vita. È lui ad innescare l’altrimenti isolatissimo Valdano ed è lui, al 33’, dopo un tiro di Rummenigge finito alto, a servire di tacco Maradona. Schumacher per poco non la combina grossa, perché ribattendogli la conclusione fa sbattere il pallone proprio sul petto del Pibe de oro e per poco non ci scappa il patatrac. 

Il finale di tempo scorre via senza particolari sussulti, anche se la Germania Ovest fa capire che non ci sta. Berthold e Briegel sono due inesauribili stantuffi ma la manovra teutonica si limita a pericolosi traversoni sui quali fa un figurone el Cabezón Ruggeri, lo stopperone veterano di mille battaglie. All’appello del forcing tedesco manca però la lucidità di Magath, sul quale si immola un Giusti animato dal sacro fuoco agonistico. 

Secondo tempo. dell’undici in maglia verde non fa parte l’ala sinistra Allofs, cancellato da Cuciuffo e rimpiazzato dal più prolifico Völler. Un cambio azzeccato e anche se sulla scacchiera tattica apparentemente nulla cambia (un attaccante per un attaccante e marcature confermate, Ruggeri su Rummenigge e Cuciuffo sulla seconda punta), in campo la sostanza invece muta eccome perché adesso la Germania schiera un centravanti di ruolo con in appoggio un fuoriclasse, pur acciaccato, come “Kalle”. Altra musica. 

Terzo della ripresa, il nuovo entrato fa subito capire che «c’è». Brown s’impappina e Völler sta per approfittarne prima che lo stesso libero argentino, in disperato recupero, ci metta una pezza. Un minuto dopo, sul fronte opposto nuovo scambio Maradona-Burruchaga, 

El Burru si ritrova quasi in porta ma Förster salva alla disperata. Al 7’ si assiste ad una scena che la dice lunga sulle due scuole calcistiche che si sfidano all’azteca. Maradona crede di essere un calciatore ma all’improvviso, come in un brutto incubo, scopre di essere affrontato da un decatleta: Briegel. L’ex veronese gli sradica il pallone dai piedi e se ne va portandosi via letteralmente due argentini. Il risultato dell’azione è solo un corner ma la dimostrazione di potenza fisica del «panzer» è roba da applausi. Nel rugby. 

Al decimo tutti a scuola di contropiede, relatori Valdano ed Enrique. L’ala sinistra recupera palla all’angolo destro dell’area argentina e fila come un Eurostar lanciato in diagonale verso la parte opposta del campo. nel convergere al centro appoggia a el Negro che, con un irresistibile cambio di passo, non ci pensa due volte a puntare verso la porta. il motorino del River Plate scorge sul binario di sinistra l’Eurostar e gli restituisce il pallone. in piena coordinazione Valdano, con un movimento bellissimo, da manuale del calcio, ruota il piede destro e di piatto infila anticipando Schumacher: palla nell’angolo opposto e 2-0. La partita sembra chiusa. Ma fare i conti senza l’oste, soprattutto se tedesco, è cosa assai pericolosa. 

Sulle panchine si gioca una partita nella partita. Beckenbauer tenta la carta della disperazione e cede alla tentazione in cui cade quasi ogni allenatore con l’acqua alla gola: inserire un’altra punta credendo che la pericolosità di un attacco sia direttamente proporzionale al numero di attaccanti schierati. niente di più sbagliato, e Beckenbauer lo sa bene. almeno quanto di non avere scelta. al 61’ il Kaiser toglie uno spento Magath, al quale Giusti non ha concesso un attimo di respiro, e lo sostituisce con Dieter Hoeness. La mossa pare avere se non altro l’effetto di portafortuna. 

71’: nei pressi della bandierina di destra del fronte offensivo argentino valdano e Maradona s’intendono da par loro, Diego serve Enrique che a sua volta crossa al centro per Burruchaga. il numero 7 biancoceleste si butta verso la porta ma si vede anticipato in extremis dal ritorno della difesa teutonica a Schumacher virtualmente battuto. Scatta a questo punto la più implacabile delle leggi del calcio: dal possibile 3-0 argentino si passa all’1-2. due minuti dopo, dalla bandierina di destra Brehme batte un corner, Völler salta più in alto di tutti e di testa spizza un pallone sul quale il più lesto è Rummenigge che in scivolata accorcia le distanze e riapre la partita. Nulla possono l’esterrefatto portiere Pumpido e i due argentini immobili sui pali. 

L’assalto tedesco comincia a dare i suoi frutti e adesso i carrarmati teutonici fanno davvero paura. delle loro rimonte nei finali di gara è piena la storia del calcio, normale che a qualche argentino tremino le gambe. Per esempio a Pumpido, che otto minuti dopo pasticcia regalando agli avversari un calcio d’angolo. a battere il corner va di nuovo Brehme e qui si gira un classico del cinema tedesco: tre uomini schierati nei pressi della linea di porta, uno sul primo palo, uno sul secondo e uno sul portiere; appena battuto il corner i tre scattano verso il centro dell’area liberando gli spazi per l’inserimento dei saltatori «saliti» dalle retrovie. difensori argentini in bambola e per Völler, che di testa è un maestro, è un giochino da ragazzi infilare a sinistra in anticipo, quasi inchinandosi, il vanamente proteso a destra Pumpido. 2-2, la rimonta è completata e lo spettro-supplementari sembra ormai prossimo a materializzarsi. Non sarà così. 

39’: Maradona è bravissimo a far collassare su di sé mezza squadra tedesca, poi con un’intuizione delle sue «vede» un’autostrada laddove ogni comune mortale faticherebbe a scorgere una stradina di campagna e vi lancia il compare preferito, Burruchaga. El Burrito, il somarello, galoppa in piena solitudine nella vasta prateria e ormai dalle parti di Schumacher, mentre Briegel gli sferraglia dietro, gli ammolla un diagonale che lo lascia secco e con lui anche gli acciaccati resti delle Panzerdivisionen. Stavolta sì è davvero finita. 

I tedeschi dell’Ovest ci provano per dovere ma è Maradona, con un’azione personale e su punizione, a sfiorare due volte il gol nell’arco di un minuto (il 44’). al fischio finale Maradona viene issato in trionfo mentre alza al cielo la Coppa che ha vinto quasi da solo. in quanto all’ozioso quesito se sia stato più forte lui o Pelé o Di Stéfano, be’, è come discettare sul sesso degli angeli. 

LA TATTICA 

Parlare di tattiche, moduli e schemi con Maradona è, al contempo, croce e delizia di ogni allenatore. Per chi vede il bicchiere mezzo pieno, si parte già da 1-0: basta dargli la maglia, la fascia da capitano e il gioco è fatto. 

Per i maghetti della lavagna timorosi che la sua ingombrante figura li releghi in un cantuccio e gli faccia ombra, è un fuoriclasse ingestibile, bla-bla-bla. Seriamente: Bilardo, che a calcio ci ha giocato per davvero e ad alto livello, è ben conscio della pochezza tecnica del gruppo a sua disposizione e della fortuna di avere nella propria squadra un genio assoluto. Gli allenta le briglie, lo tira a lucido sul piano fisico e lo circonda con una batteria di picchiatori dotati di sette polmoni. in cambio ottiene il miglior Maradona di sempre, un fuoriclasse epocale capace di sfatare tutta una serie di triti luoghi comuni vecchi quanto il calcio, uno per tutti: un uomo solo non può vincere una partita. Balle. 

Criticato da pubblico e media che non gli perdonano il passaggio dal bel gioco fluido e ordinato di Menotti ad un pragmatismo tipicamente europeo, Bilardo rispolvera la marcatura a uomo e imbottisce il centrocampo di cursori. in mediana, il caudillo Batista rinverdisce (con meno classe) la tradizionale figura del volante, il mediano pensante inteso alla sudamericana, tutto geometrie e temperamento. 

Rinunciando (giustamente) al fumoso Claudio Borghi, pallino di Berlusconi e incubo di Sacchi, e soprattutto al 32-enne Ricardo Bochini (si pronuncia Bocìni), el Narigón, il nasone, celebra il trionfo della manovalanza. tanto, là davanti, con la classe e gli intelligenti recuperi di Valdano e la velocità dell’astuto Burruchaga, el Pibe de oro risolve ogni problema e se serve, in prima persona. 

Nel corso del torneo, inoltre, prezioso è l’apporto della punta di riserva Pedro Pablo Pasculli, indimenticato bomberino leccese, che ha risolto il match con l’Uruguay negli ottavi. 

Due-parole-due sugli sconfitti. in quanto a classe complessiva, è una Germania occidentale forse non all’altezza delle finaliste tedesche del passato, con la probabile eccezione di quella del 1954. Ma è una buona squadra, solida come il marmo. La scelta di Beckenbauer di destinare Matthäus su Maradona può far sollevare più di un sopracciglio, ma non va dimenticato che il futuro nerazzurro, e il discorso vale anche per il compagno d’avventure Brehme, ancora non è il campione affermato capace di trascinare la squadra con la forza dei suoi scatti rabbiosi (in tutti i sensi) e soprattutto dei suoi gol. e fra le attenuanti generiche non vanno dimenticati i numerosi infortuni che hanno falcidiato la rosa del “Kaiser” per tutto il torneo, a cominciare dal grande Rummenigge, sempre sfortunatissimo al mondiale. Certo, col senno di poi insistere sull’acciaccato capitano e sull’inconcludente Allofs – la controfigura dell’agile punta esterna che faceva impazzire i tifosi del Colonia –, anziché far partire Völler dall’inizio, è sembrato ai più un tantino masochistico. anche i grandi sbagliano e il Team-chef, figura appositamente inventata perché Beckenbauer all’epoca non ha nemmeno il patentino di allenatore, avrà modo di rifarsi. A Italia 90. 

Il resto del centrocampo, fallito l’esperimento Hansi Müller, poggia sul deludente Magath, ben lontano dagli standard di rendimento esibiti nella felice avventura nella Coppa dei Campioni del 1983, sulla copertura di Eder e sulle poderose progressioni di Briegel. La difesa, rigorosamente a uomo e imperniata sul vecchio Karl-Heinz Förster, è il miglior reparto della squadra. troppo poco, contro Diego. 

CHRISTIAN GIORDANO ©

IL TABELLINO 

Città del Messico (estadio Azteca), 29 giugno 1986 
Argentina-Germania Ovest 3-2 (1-0) 
Argentina: Pumpido; Cuciuffo, Olarticoechea; Batista, Ruggeri, Brown; Burruchaga (Trobbiani dall’89’), Giusti, Enrique, Maradona, valdano. Ct: Carlos Salvador Bilardo. 
Germania Ovest: Schumacher; Berthold, Briegel; Eder, K.H. Förster, Jakobs, Brehme; Matthäus, Rummenigge, Magath (Hoeness dal 61’), Allofs (Völler dal 46’). Team-chef: Franz Beckenbauer. 
Arbitro: Arppi Filho (Brasile) 
Marcatori: 22’ Brown (A), 55’ Valdano (A), 73’ Rummenigge (GO), 81’ Völler (GO), 84’ Burruchaga (A). 
Spettatori: 114 mila circa. 

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