FINALI MONDIALI - Stoccolma 1958: Pelé, il re bambino


«Dir-se-ia um rei, nao sei se Lear,
se imperador Jones, se etiope.
Racialmente perfeito, è un rei: o rei»
– Nelson Rodrigues

di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
Rainbow Sports Books ©


Finalmente. il Brasile ce l’ha fatta. otto anni dopo la tragedia popolare vissuta dai duecentomila del Maracanã, il calcio brasiliano grida al mondo la propria forza. Lo fa mutando pelle ma senza snaturarsi. Per non scoprirsi deve vestire più all’«europea», certo, ma tecnica e mentalità sono quelle di sempre. ed è così che il football diventa arte, musica, poesia. Il futébol bailado è tutto in quegli apelidos scanditi a filastrocca, Didi-Vavá-Pelé.

LA PARTITA

Partenza-sprint dei padroni di casa, che, dopo appena 3’, sono già in vantaggio. tre-quarti destra dell’attacco svedese, combinazione Börjesson-Simonsson e da questi a Liedholm, posizionato a una ventina di metri dalla porta. nonno “Liddas” (quasi 36 enne), con una rasatura alla Full Metal Jacket pegno per una scommessa persa durante il torneo, avanza seminando la coppia centrale, formata da Bellini e Orlando, e di destro lascia partire un diagonale non proprio al fulmicotone ma dalla precisione beffarda, che s’infila nell’angolino alla destra di Gilmar. 1-0 per gli svedesi: il calcio è davvero imprevedibile. Fino ad un certo punto.

Come tante volte nella storia delle finali Mondiali, anche in questo caso entra in gioco una particolare «maledizione» che colpisce chi segna per primo: è capitato alla Cecoslovacchia nel ’34, al Brasile nel ’50 e all’Ungheria nel ’54 e capiterà alla Cecoslovacchia nel ’62, alla Germania Ovest nel ’66 e all’Olanda nel ’74. La reazione dei brasiliani che, vista la omocromia con la divisa svedese, sfoderano una sgargiante (ma bellissima) maglia azzurra, è veemente. e immediata. ripreso il gioco, Garrincha si fionda sull’out destro e sferra un terrificante «shoot» che si spegne sull’esterno della rete. L’illusione ottica fa gridare al gol ed è subito chiaro che per gli svedesi la gara è tutt’altro che in discesa.

Tempo sei minuti e dalle dichiarazioni programmatiche si passa ai fatti. La manovra di avvicinamento alla porta avversaria è lunga ed elaborata, nitida istantanea del modo di attaccare di quella grandissima squadra. Zagallo conquista e batte un corner, lo fa toccando corto per Didi, da questi a Vavá che sembra voler tirare. Vistosi chiuso, controlla la posizione dei suoi, vede e serve Zito, che innesca Garrincha, posizionato come al solito largo sulla destra. L’ala scatta alla sua maniera, si fa beffe del povero Bergmark e centra rasoterra a tagliare l’area. Il liberissimo Vavá, tecnica approssimativa e istinto del gol senza pari, non perdona: 1-1. da qui in poi, in campo ci sarà solo una squadra.

Un minuto dopo un imberbe ragazzino, Edson Arantes do Nascimento che al suo Paese tutti chiamano “Pelé”, si presenta al mondo: appena entra in area scocca una stilettata che lascia di sale Svensson, ormai battuto. Ma la palla sbatte contro il palo. Tra qualche leziosità di troppo e un pizzico di malasorte, il raddoppio brasiliano non arriva e così gli svedesi provano a uscire dal guscio, riuscendo anche a rendersi pericolosi, con Gren, fermato da un provvidenziale recupero di Zagallo.

Ma al 32’ non ci sono santi che tengano, e il Brasile fa il bis. In tutti i sensi. da Pelé a Zito a Garrincha: l’ala brucia Axbom e mette in mezzo un pallone teso. L’azione è la copia in carta carbone del pareggio e il puntuale Vavá non manca all’appuntamento. Brasile due, Svezia uno.

La formazione di casa prova a reagire ma colleziona soltanto calci d’angolo: a fine primo tempo saranno 5, contro i 4 dei verdeoro. Nessuno quindi si fa illusioni. non era successo dopo una bella iniziativa di Liedholm, preceduta da una gran parata di Svensson su Garrincha, e tanto meno succede dopo dieci minuti della ripresa, quando quel marziano di 17 anni e mezzo aggiusta la mira. Domato un cross di Nilton Santos proveniente dalla sinistra, il satanasso col numero dieci compie una magia che fa stropicciare gli occhi ai 50 mila del "Rasunda" e ai milioni di telespettatori sparsi nel globo terracqueo: pallonetto su Parling, finta a destra e, con un movimento perfino quasi sgraziato, tocco a sinistra. Un capolavoro.

Ormai il Brasile fa accademia. E nel «futébol», la sua autorevolezza vale quella della Crusca. Al 68’, l’ennesimo sfoggio di «letteratura» calcistica: sugli sviluppi di un calcio d’angolo, un pasticcio di Bergmark fa giungere la palla dalle parti di Zagallo che, a tre metri dalla porta, fulmina Svensson per il 4-1.

A quel punto gli uomini di Feola cercano la gloria personale e a turno vanno a caccia del quinto gol. Che non arriva su rigore – Garrincha viene sbattuto giù appena messo piede in area – solo perché l’arbitro non se la sente di infierire, ma su azione, proprio al 90’ e ancora con Pelé. Prima però la Svezia trova modo di consolarsi segnando il secondo gol.

Lo fa al 35’ con Simonsson, uno degli ultimi ad arrendersi, che, pescato da un sapiente lancio di Liedholm, riesce ad anticipare Gilmar. dieci minuti dopo, tacco di Pelé per Zagallo, cross di ritorno e colpo di testa del futuro “o Rei”: sul tabellone si legge 5-2.

Il signor Guigue, secondo francese a dirigere la finale dopo Capdeville nel ’38, dice che può bastare. È un peccato, ma è l’unico modo di fermare un Brasile che s’illumina d’immenso.

Curioso il siparietto finale che vede coinvolto proprio il direttore di gara. dopo la rete di Pelé, non fa nemmeno battere la palla al centro e fischia subito la fine. il motivo? Presto detto: vuole assicurarsi il pallone della gara, evidentemente presagendo che quell’incontro salterà a piè pari la Storia entrando direttamente nella Leggenda. La sua pantomima, letta con gli occhi di oggi, è esilarante e al tempo stesso rivelatrice. Prima finge di depositare il pallone sul dischetto al centro del campo, poi furtivamente lo protegge con il braccio e comincia a correre verso gli spogliatoi.

I giocatori brasiliani insorgono ma lui li semina saltandoli come birilli fino a che… Fino a che si imbatte contro Mario Américo, storico massaggiatore al seguito della Seleção, che lo placca in perfetto stile rugby e si impossessa del prezioso cimelio. e così i giocatori possono dare libero sfogo alla propria, irrefrenabile, gioia. Pelé piange come un neonato, Zagallo idem. il Brasile ha lavato l’onta del Maracanã e è finalmente, oltre che strameritatamente, Campione del mondo. Giustizia è fatta.

LA TATTICA

Mettiamo subito le cose in chiaro: contro quel Brasile non c’era niente da fare. Per nessuno. nonostante l’incolmabile gap tecnico però, la formazione degli anziani Liedholm e Gren, i perni del gioco svedese, sa farsi onore, ricevendo alla fine la giustificata ovazione del pubblico di casa.

Accanto ai due del celeberrimo trio milanista «Gre-no-Li», il Ct (inglese) George raynor schiera una vasta legione «italiana»: l’atalantino Bengt “Julle” Gustavsson in difesa e i grandissimi Kurt Hamrin (ai tempi alla Fiorentina, poi al Milan e al Napoli) e il genio del dribbling Lennart “Nacka” Skoglund (inter) in attacco.

In porta gioca il leggendario Karl Svensson che rinuncerà al professionismo (e alle sirene dei club inglesi) preferendo restare vicino alla famiglia. Questi i giocatori svedesi di maggior spicco. Gli altri sono discreti comprimari, con una nota di merito per il terzino Orvar Bergmark (visto per un paio di mesi alla roma nel 1961) e il veloce centravanti Agne Simonsson, di buona tecnica e abile sotto porta.

Il secondo posto finale è un grande traguardo per una squadra che ha saputo andare forse un filo più in là del suo effettivo valore e questo ne costituisce il merito più grande.

Sotto il profilo tattico, Raynor fa le cose semplici. il suo gioco è arioso e volto a cercare le ali (Hamrin e Skoglund), che a differenza di quelle brasiliane (più Zagallo, a sinistra, che Garrincha) sono pure e non «tornanti» e passa, inevitabilmente, per i due califfi Gren e Liedholm.

Un discorso ben diverso va fatto invece per i verdeoro. il rotondetto oriundo napoletano Vicente Feola, scontatamente ribattezzato “o Gordo”, il grasso, è un direitor tecnico general illuminato. Non ha la pretesa di anteporsi alle sue innumerevoli stelle, anzi trova il modo di schierarle tutte assieme. E vince.

Quel «modo» ha tre nomi e un cognome e sarà una figura centrale nella storia del calcio brasiliano e, è il caso di dirlo, mondiale: Mario Jórge Lobo Zagallo, entrato in squadra un mese prima del torneo al posto dell’infortunato Pepê. Grazie ai suoi continui ripiegamenti e sganciamenti, il modulo predisposto da Feola può diventare un più prudente 4-3-3 o un più offensivo 4-2-4.

Zagallo farà la fortuna anche di Moreira quattro anni dopo, in Cile, e la propria, prima come selezionatore a Messico ’70, poi come secondo del Ct Parreira a Usa ’94 e infine come dirigente della CBD, la Federcalcio brasiliana, ai Mondiali nippocoreani del 2002. Per la serie: un uomo, una Coppa. del Mondo. L’ha vinta in tutte le salse, due volte da giocatore, una da allenatore, una da preparatore atletico e una da dirigente. Come non bastasse, mentre scriviamo gestisce ad interim la Seleção del dopo-Scolari.

Torniamo al 1958. Benvoluto da tutti per il suo carattere accomodante, Feola compie la sua vera impresa prima ancora di cominciare il torneo iridato riuscendo a scremare lo sconfinato talento a sua disposizione fino a ricavarne 22 giocatori.

Dall’undici iniziale i tagli più dolorosi sono riservati agli stanchi Joel e “Mazola”, che altri non è che José Altafini, biondo centravanti del Palmeiras così chiamato in patria per via di un’improbabile somiglianza col grandissimo Valentino. La «z» mancante si deve al fatto che, in Brasile, molte doppie non si pronunciano.

In difesa, in linea e «a zona» (anche se allora nessuno la chiama così né se ne fa vanto di aver inventato chissà che), giostrano Djalma Santos, Bellini, Orlando, Nilton Santos. Una menzione d’onore va ai due Santos, Djalma a destra e Nilton a sinistra, entrati di diritto nella storia del calcio come perfetti prototipi del terzino/ala.

Per dovere di cronaca però, non va dimenticato che nel corso del torneo il declinante Djalma lascia il posto a Nilton de Sordi, riconquistandolo per la finale solo a causa di un banale infortunio occorso al titolare durante la semifinale contro la Francia.

Dalla cintola in su, si ha un riadattamento del modulo reso celebre quattro anni prima dalla leggendaria Aranycsapat ungherese. Solo che in questo caso non c’è il rombo ruotato di 90° rispetto al quadrilatero di centrocampo tradizionalmente schierato nel WM classico. La "Grande Ungheria" teneva arretrato il centravanti tattico Hidegkuti come rampa di lancio per gli inserimenti degli interni Sándor Kocsis e Ferenc Puskás, che quindi diventavano le punte più pericolose.

Feola invece mantiene il centravanti, l’opportunista Vavá, al suo ruolo naturale di uomo d’area, lo affianca con un giovane fuoriclasse come seconda punta e gli fa piovere suggerimenti dalle fasce sulle quali schiera ali autentiche. Semplice a dirsi e, con quei campioni, anche a farsi. dal punto di vista spettacolare, una gioia per gli occhi. 

Ma attenzione: quello del 1958 è un Brasile moderno e tremendamente europeo. Ingoiato l’amarissimo boccone della sconfitta con l’Uruguay di otto anni prima, gli auriverdes si sono fatti furbi.

Eliminati gli orpelli, non è raro vedere veloci sovrapposizioni, sulla corsia di sinistra, tra nilton Santos che scende sul fondo a fare il cross mentre Zagallo rientra a coprire. Oppure, se Garrincha affonda sulla destra, dall’altra parte lo stesso Zagallo scala al centro. Tutti all’attacco sì, ma con giudizio. E più di tanti discorsi vale la considerazione che, come sempre, la miglior tattica è quella che si modella sugli uomini a disposizione.

Con il genio di Pelé ogni tecnico assurge a mago. e con i lanci, le «foglie morte» di Didi e le giocate di Garrincha ogni schema d’attacco diventa geniale. Prima, però, bisogna convocarli. Poi si deve trovare il coraggio (e il modo) di farli giocare. insieme.

CHRISTIAN GIORDANO ©

IL TABELLINO

Stoccolma (stadio Rasunda), 29 giugno 1958
Brasile-Svezia 5-2 (2-1)
Brasile (4-2-4): Gilmar; Djalma Santos, Bellini, Orlando, Nilton Santos; Zito, Didi; Garrincha, Vavá, Pelé, Zagallo. Ct: Vicente Feola.
Svezia: Svensson; Bergmark, Axbom; Börjesson, Gustavsson, Parling; Hamrin, Gren, Simonsson, Liedholm, Skoglund. Ct: George Raynor.
Arbitro: Maurice Guigue (Francia).
Marcatori: 3’ Liedholm (C), 9’ vavá (B), 55’ Pelé (B), 68’ Zagallo (B), 80’ Simonsson (S), 90’ Pelé (B).
Spettatori: 49.737 paganti.

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