Champions League, colpa dei Campioni


Nel 1953 i Wolves battono al Molineux la grande Honvéd di Puskás e la stampa inglese li incorona «campioni del mondo». Ne nasce un putiferio che, quarant’anni dopo, chiameremo Champions League...

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo ©

La più prestigiosa coppa europea, oggi pomposamente ribattezzata Champions League, nasce il 2 aprile 1955, quando su invito del quotidiano sportivo francese L'Équipe i maggiori club d’Europa si riuniscono presso l’Hotel Ambassador di Parigi (dove oggi è apposta una lapide commemorativa dello storico incontro) per dare vita a un torneo continentale denominato Coppa d’Europa. FIFA e UEFA – che ne vengono a conoscenza dai giornali – arricciano il naso, ma di fronte al fatto compiuto fanno buon viso a cattivo gioco, riuscendo almeno a cambiargli nome: “Coppa d’Europa” faceva pensare più a un torneo per nazionali che non a una competizione per club, via libera allora a “Coppa dei Campioni d’Europa”, denominazione che meglio specificava la natura della manifestazione e a chi fosse riservata, cioè alle vincitrici dei campionati delle federazioni affiliate. Ma questo è l’ABC, il perché della smania di competizione tra i grandi club europei è facilmente intuibile e stranoto. Quel che in pochi sanno riguarda invece il come-dove-quando-chi scoccò la scintilla che cambiò la Storia. 

Le origini, al solito, vanno ricercate in Inghilterra, stavolta al Molineux Ground di Wolverhampton e il timer della macchina del tempo va impostato al 1954, precisamente il 13 dicembre. Un lunedì. Prima però un passo indietro. Di un annetto o poco più.

Wembley, 25 novembre 1953. Mentre i Wolves viaggiano sicuri verso il loro primo titolo, l’Ungheria affronta l’insidiosa trasferta londinese per disputare un’amichevole con la nazionale padrona di casa. Quale che fosse il risultato che il pubblico si aspettava, certo non era quello che si ebbe in quel nebbioso pomeriggio a nord di Londra. Il 3-6 in favore dei magiari fece onde nel mare magno del calcio albionico, gettando l’intero movimento in un profondo stato di prostrazione. Ogni speranza di tremenda vendetta da consumarsi nella gara di ritorno, fissata per il 23 maggio 1954 al Nepstadion di Budapest, fu spazzata via insieme alla squadra coi tre leoni sul petto, che gli ungheresi umiliarono ancora, stavolta per 7-1. Il calcio inglese non era mai sprofondato così in basso. 

Sul fronte interno, archiviato il successo in Campionato, i Wolves sfidavano formazioni di rango in una serie di amichevoli in notturna per raggiungere la fama mondiale. A inaugurare l’impianto di illuminazione del Molineux, il 30 settembre 1953, fu chiamata la nazionale sudafricana, poi sconfitta 3-1. Altri avversari furono il Celtic di Glasgow, il Racing Club di Buenos Aires, il First Vienna, il Maccabi di Tel Aviv e lo Spartak Mosca. Tutti battuti (i russi strabattuti: 4-0) tranne i viennesi che costrinsero i Wolves al pareggio senza reti. Quando fu annunciato che la prossima squadra a tentare di espugnare il Molineux sarebbe stata la grandissima Honvéd, l’attesa, non solo a Wolverhampton e dintorni, ma in tutto il Paese, fu immensa. I Maestri sfidavano i più forti d’Europa.

Per il football d’oltremanica era l’occasione per una piccola rivincita e per recuperare una fetta dell’orgoglio perduto. Ma il compito dei Wolves era proibitivo, dovevano affrontare una formazione per cinque undicesimi (Bozsik, Lorant, Kocsis, Puskás e Czibor) identica alla squadra che a Budapest, la primavera precedente, aveva impartito all’Inghilterra un’autentica lezione di calcio, nonostante l’assenza dell’infortunato Budai, presente nel 3-6 di Wembley e regolarmente in campo al Molineux: e sei. Era anche una chance per Billy Wright di mettere a posto un paio di cosette. Capitano nel club e in nazionale, era stato l’unico dei Wolves presente a Wembley e al Nepstadion e ora doveva vedersela di nuovo con la sua controparte ungherese, il Colonnello Ferenc Puskás.

Nella gelida aria dicembrina, in 55.000 osservano i Wolves scendere in campo sfoggiando le nuove casacche satinate, scelte perché risaltassero di più sotto la luce dei nuovissimi riflettori. All’inizio della stagione la società aveva cambiato i colori sociali dal tradizionale giallo oro a un giallo più chiaro. La Honvéd si presenta in tenuta bianca con due strisce orizzontali rosse sulla maglia. I primi dieci minuti trascorrono in sterili batti e ribatti a centrocampo con le squadre che si affannano per controllare il pallone nel fango, mentre la zona centrale del terreno assomiglia sempre più a un campo arato. 

L’atmosfera è quella delle grandi occasioni, ma lo stadio ammutolisce quando, al decimo minuto, da una fortunosa punizione di Puskás dal limite, concessa dopo che la palla era rimbalzata su una mano di Flowers, Kocsis mette dentro di testa. Wolves 0, Honvéd 1. Nel giro di un minuto, il centravanti inglese Swinbourne ha l’occasione per pareggiare ma Farago è attento e blocca. Gol mancato-gol subìto, un classico già allora in programmazione al cinematografo Molineux: brillante contrattacco ungherese e servizio in camera per Machos che al 14’ infila il secondo pallone alle spalle di Williams. Sotto due a zero in meno di un quarto d’ora i Wanderers, e se è per questo anche i tifosi, rifiutano la resa e ricacciano la Honvéd nella sua metà campo, concedendole al massimo qualche sporadico contropiede. Per due volte Smith, schierato all’ala sinistra al posto dell’infortunato Mullen, ha sui piedi una buona occasione per ridurre lo svantaggio e Hancocks, Wilshaw e Swinbourne chiamano più volte in causa Farago, autore di una prestazione di livello mondiale. Ma intanto arriva l’intervallo e i Wolves non hanno ancora fatto breccia nella retroguardia magiara. 

Nella pausa, il manager dei Lupi Stan Cullis rivolge ai suoi queste memorabili parole: «Siete troppo nervosi. Tornate in campo e giocate come fate sempre». Parole che sembrano sortire l’effetto sperato, se nel giro di quattro minuti i Wolves riducono le distanze. Appena entrato in area, Hancocks viene messo giù da Kovacs. L’arbitro concede il penalty fra le proteste degli ungheresi. Il minuscolo numero sette si rialza e dal dischetto calcia secco in gol: 1-2. è il segnale per l’assalto in massa alla porta della Honvéd. Puskás e compagni ormai sono pericolosi solo di rimessa, ma la difesa dei padroni di casa disputa una prova maiuscola. Broadbent regna sulla trequarti, il giovane Flowers e Slater danno grande sostegno a Wright, mentre il sudafricano Stuart, l’unico non-inglese dei Wolves, e Shorthouse sono insuperabili in terza linea. L’importanza della gara è tale che viene trasmessa in diretta per radio e (nel secondo tempo) alla tv, dalla BBC. Mentre i Wolves continuano ad attaccare, i commentatori radiofonici, presi dall’eccitazione, seguitano a chiamare la squadra magiara Ungheria anziché Honvéd. E come il resto del pubblico impazziscono di gioia quando, a quattordici minuti dalla fine, Swinbourne ottiene il meritato pareggio. I Wolves avevano infilato una serie di corner che però non avevano portato a nulla. La porta ungherese sembrava stregata. Poi il traversone di Wilshaw pescava la testa di Swinbourne e, nell’assordante boato della folla, la palla finiva nel sacco. Un minuto dopo, Smith vola sulla sinistra, supera due difensori e centra per lo stesso Swinbourne che uncina a rete: 3-2. 

L’indomani, i Wolves campeggiano sui titoli della stampa nazionale. «Adesso i Wolves possono dirsi campioni del mondo» scrive il “Daily Mail”. La cosa non va giù all’inviato de «L’équipe» Gabriel Hanot che ribatte: «L’idea di un campionato del mondo, o almeno d’Europa, per club, più estesa, più significativa e meno episodica della Mitropa Cup e più originale di un Campionato d’Europa per squadre nazionali, merita di essere lanciata». L'Équipe prende a cuore l’idea e trova un formidabile alleato in Santiago Bernabéu, gran mogol del Real Madrid. Pochi mesi dopo, la Coppa Campioni è realtà.
CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo ©

I TABELLINI

Londra (Wembley), Inghilterra, 25 novembre 1953
Inghilterra-Ungheria 3-6
Inghilterra: Merrick - Ramsey, Eckersley - Wright, Johnston, Dickinson - Matthews, Taylor, Mortensen, Sewell, Robb. Ct: Winterbottom.
Ungheria: Grosics - Buzansky, Lantos - Bozsik, Lorant, Zakarias - Budai, Kocsis, Hidegkuti, Puskás, Czibor. Ct: Sebes.
Arbitro: Leo Horn (Paesi Bassi)
Reti: Hidegkuti (U) 3, Puskás (U) 2, Bozsik (U), Ramsey (I) su rigore, Mortensen (I), Sewell (I).
Spettatori: 105.000 circa.

Budapest (Nepstadion), Ungheria, 23 maggio 1954
Ungheria-Inghilterra 7-1
Ungheria: Grosics - Buzansky, Lantos - Bozsik, Lorant, Zakarias - Toth, Kocsis, Hidegkuti, Puskás, Czibor. Ct: Sebes.
Inghilterra: Merrick - Staniforth, Byrne - Wright, Owen, Dickinson - Finney, Broadis, Harris, Jezzard, Sewell. Ct: Winterbottom.
Arbitro: Giorgio Bernardi (Italia)
Reti: Puskás (U) 2, Kocsis (U) 2, Lantos (U), Hidegkuti (U), Toth (U), Broadis (I).
Spettatori: 92.000 circa.

Wolverhampton (Molineux), Inghilterra, 13 dicembre 1954
Wolverhampton Wanderers-Honvéd 3-2
Wolverhampton Wanderers: Williams - Stuart, Shorthouse - Slater, Wright, Flowers - Hancocks, Broadbent, Swinbourne, Wilshaw, Smith. All. Cullis.
Honvéd: Farago - Palicsko, Kovaks - Bozsik, Lorant, Banyai - Budai, Kocsis, Machos, Puskás, Czibor. All. Marosi.
Arbitro: Griffiths.
Reti: Kocsis (H), Machos (H), Hancocks (W) su rigore, Swinbourne (W) 2.
Spettatori: 55.000 circa.

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