FOOTBALL PORTRAITS - Bosman, il partigiano Jean


È diventato suo malgrado il simbolo della “resistenza” dei calciatori contro lo strapotere dei club. E del viceversa. Vinta la battaglia legale, il belga ha perso quella della vita: affetti, soldi, una casa e quel che più amava, il calcio. Ma rifarebbe tutto…

di Christian Giordano ©
Guerin Sportivo ©

Per i più giovani urge un distinguo. Il Bosman bravo si chiama Johnny ma era un altro: il possente ex nazionale olandese Anni 80, scuola Ajax, finalista di Coppa delle Coppe ’88 contro i belgi del Malines, un Europeo vinto lasciando il posto a van Basten.

Quello famoso invece è un ex modesto centrocampista belga, classe 1964, di nome Jean-Marc. Dieci anni fa, senza volerlo, ha cambiato il calcio per sempre e si è rovinato la vita. Ha vinto la battaglia legale, ma ha perso molto: la moglie Carol (che l’ha lasciato nel 2000 causa anche le difficoltà economiche familiari), una delle due case, denaro (1.050.000 sterline nei primi sei mesi di causa), il peso-forma e il calcio, la cosa che più amava (per la quale ha lasciato gli studi a 17 anni) e l’unica che sapesse fare. Il bello è che non ha rimpianti e, tornasse indietro, rifarebbe tutto. 

«Provengo da una famiglia di operai» dice «e vorrei si capisse che ho agito secondo coscienza. La gente dimentica che quando decisi di andare avanti, non avevo lavoro né reddito. Niente. Nessuno voleva assumermi, era come se pagassi l’aver osato sfidare il Sistema». Un sistema che, parole sue, «così non poteva continuare» ma nel quale vorrebbe rientrare come presidente di una squadra, magari fondata su quel vivaio che in tanti, per la famosa e per certi aspetti famigerata Sentenza che ha preso il suo nome, gli imputano di aver contribuito ad affossare. 

Dieci anni dopo, lo sguardo è malinconico, il viso troppo paffuto e il fumo più che un vizio. Vive vicino ai suoi in un sobborgo di Liegi, accanto ha una nuova compagna ma non la figlia, affidata all’ex moglie, e l’unico status-symbol che ne ricorda il passato da pro è una berlina tedesca presa con un mutuo che deve ancora estinguere. Dopo la Sentenza ci sono voluti quattro anni per passare alla cassa, e un terzo del risarcimento se n’è andato in avvocati. Oggi tira avanti con 1500 sterline al mese, frutto di inviti, sussidio, rare interviste a pagamento (500 pounds a botta la tariffa estera), e quelli delle tasse gli stanno alle calcagna. «Dovessi pagare quanto sostengono che gli devo, sarebbe la fine» lamenta. Trascorre le giornate a fare lavoretti in casa o in giardino, a guardare calcio in tv (allo stadio no, ha paura). Non vuole guardare al passato, ma è deluso dall’atteggiamento dei tanti colleghi che indirettamente ha reso milionari. «Mentirei se dicessi che non mi ha rattristato la reazione di tanti giocatori. Pochi, tra cui Gianluca Vialli quando lasciò la Juventus per il Chelsea, mi hanno ringraziato pubblicamente per avergli permesso di coronare i propri sogni di carriera. E ancora meno, tra cui alcuni nazionali olandesi dell’epoca, mi hanno aiutato finanziariamente. Non pensavo a far soldi, cercavo solo di guadagnarmi da vivere, ma senza quella sentenza club come Real Madrid e Chelsea non sarebbero quel che sono». Il riferimento ci sta, perché è così che i Merengues presero dal Liverpool Steve McManaman (e lo stesso fece l’Arsenal con Sol Campbell, che lasciò scadere il suo accordo col Tottenham, ndr).

Già nazionale giovanile, entra 19enne in prima squadra allo Standard Liegi e vi resta fino al 1988 quando si trasferisce in Seconda divisione, ai “cugini” del Royal Club Liegi. Il 30 giugno 1990 il contratto scade, da aprile la società gli propone il rinnovo ma con l’ingaggio decurtato del 75% rispetto ai 120 mila franchi belgi mensili sin lì percepiti dal giocatore, e cioè al minimo salariale previsto dalla Union Royale Belge des Sociétés de Football Association, la Federcalcio belga. Bosman nicchia, vorrebbe andare ai francesi dell’US Dunkerque che gliene offrono 100 mila al mese più 900.000 alla firma. Ma le società non si accordano sull’indennità di trasferimento, che le norme federali locali, in caso di nulla-osta negato dal vecchio club di appartenenza, fissano a 11.743.000 franchi belgi. Inoltre ci sono problemi sul numero di stranieri tesserabili dai club francesi. Il 27 luglio RC e Dunkerque si accordano sul prestito per un anno a 1.200.000 franchi belgi e l’opzione per la cessione definitiva in cambio di 4.800.000. Dubitando della solvibilità dell’US, l’RC non chiede alla URBSFA il certificato di trasferimento (che doveva arrivare alla federazione francese entro il 2 agosto) e anzi, il 31 luglio, sospende il suo ormai ex tesserato. Allora, in agosto Bosman intenta un’azione legale contro l’RC Liegi e successivamente contro la URBSFA e l’UEFA. Secondo i suoi legali, guidati dall’agguerrito Jean Luois Dupont, le norme sui trasferimenti (comprese quelle per gli stranieri) sono incompatibili con il Trattato di Roma (Articolo 48) che liberalizza la circolazione di lavoratori tra i Paesi dell’Unione Europea. 

Il 15 dicembre 1995, a Lussemburgo, la Corte Europea di Giustizia si pronuncia sulla causa C-415/93 emettendo una sentenza che farà epoca. Questi i punti fondamentali: 1) se il contratto tra un giocatore professionista e la società di appartenenza giunge a scadenza e se tale giocatore è un cittadino di uno degli Stati dell’Unione Europea, la società non può impedire al giocatore di stipulare un contratto con un’altra società calcistica di un altro Stato membro o chiederle un’indennità di trasferimento, formazione o promozione; 2) non sono consentite limitazioni sulla nazionalità dei giocatori professionisti cittadini di uno Stato dell’Unione Europea. 

Per un calcio figlio del vincolo (cioè, in Italia, della legge 91/1981) è l’anno (del parametro) zero. Di lì in poi una squadra può schierare anche tutti giocatori stranieri (e non più, come accadeva dal ’91, un massimo di 3 più eventualmente i due assimilati tesserati nello stesso Paese per cinque anni), ma la vera rivoluzione è racchiusa nel punto 1. A fine contratto, un giocatore è libero di accasarsi dove vuole e la sua ex società non ha diritto a indennizzi. I rapporti di forza sono stravolti. Il manico del coltello è (quasi) tutto dei giocatori, e le società, per cautelarsi, li blindano con contratti pluriennali, magari da stracciare dopo un battito di ciglia ma con almeno la garanzia (perlomeno nel caso di club non insolventi) che il calciatore non se ne andrà gratis. I giocatori, dal canto loro, sono in una doppia botte di ferro: e a ogni refolo di vento, chiedono l’aumento dell’ingaggio o l’estensione dell’accordo o entrambi. Mal che gli vada, alla scadenza dell’accordo diventano proprietari del cartellino e possono cercarsi un’altra squadra. 

Naturalmente le cose sono più complicate, esiste il meccanismo degli ammortamenti che consente alle società (perlomeno a quelle dal bilancio non taroccato) di assorbire la fine del rapporto contrattuale con il calciatore, ma la sostanza non cambia. Piaccia o no, e a parte il giudizio su certi comportamenti (di tutte le componenti, giocatori, club, procuratori, avvocati e maneggioni assortiti) figli del nuovo scenario, la realtà è questa. Lo dicono anche le cifre: in Serie A, dal 1996 al 2002 i professionisti “stranieri” sono aumentati del 306%. Bosman ha solo acceso la miccia, e si è pure bruciato.
Christian Giordano, Guerin Sportivo (2005)


BOSMANEIDE/Cronologia

Giugno 1990: Jean-Marc Bosman, centrocampista a fine contratto con i belgi dell’RC Liegi, entra in disputa con il club che gli propone un nuovo accordo ma con un ingaggio decurtato del 75%. Bosman non accetta e vuole trasferirsi al Dunkerque, Seconda divisione francese, ma le società non si accordano sull’indennizzo.

Agosto 1990: Bosman cita per danni l’RC Liegi e la Federcalcio belga (URBSFA).

Novembre 1990: un tribunale belga consente a Bosman il trasferimento a parametro zero. La Federcalcio del Belgio ricorre in appello.

Maggio 1991: la Corte d’Appello dà ragione a Bosman.

Gennaio 1992: Bosman rientra in Belgio, dove la sua domanda del sussidio di disoccupazione viene rigettata.

Marzo 1995: UEFA e RC Liegi perdono il ricorso in appello.

Giugno 1995: Bosman chiede un risarcimento danni per un milione di dollari al Tribunale UE del Lussemburgo.

Novembre 1995: l’UEFA sottoscrive una lettera di protesta in favore di Bosman. La FIFA sostiene l’iniziativa dell’UEFA.

15 dicembre 1995: Bosman vince la causa al tribunale Europeo. Non sono possibili altri appelli. La decisione, passata alla storia come Sentenza Bosman, rivoluziona le normative sulla libera circolazione dei giocatori (anche di altre discipline) nella Comunità Europea.

22 dicembre 1998: Per chiudere la contesa legale aperta da Bosman nel 1990, la Federcalcio belga accetta di versare all’ormai ex giocatore (ritiratosi nel 1996, ndr) 16 milioni di franchi (circa 760 milioni di lire). La Bosmaneide non è finita, ma il dopo-Bosman comincia qui.


Piccoli Bosman crescono

In principio fu l’inglese George Eastham, se non il primo, uno dei pionieri capaci di sfidare, nel 1960, lo strapotere dei club. Nel ’56 era stato ceduto dai nordirlandesi dell’Ards al Newcastle United e dopo tre anni voleva lasciare il nord-est ma la dirigenza gli negò il trasferimento. Eastham, per tutta risposta, si ritirò. L’anno dopo, la sua vecchia squadra si accordò per cederlo all’Arsenal ma Eastham portò il caso all’Alta Corte di Giustizia, e il giudice Wilberforce dispose che essendo quel sistema-trasferimenti «un’immotivata restrizione del mercato», o il club riassumeva Eastham o doveva lasciarlo libero senza pretendere indennizzi. 

Nel giugno ’98 la cestista polacca Lilia Malaja firma per lo Strasburgo, che ha già due giocatrici extra-comunitarie. La Federbasket locale annulla il tesseramento e il presidente del club alsaziano si appella all’accordo fra Polonia (più altri 23 Paesi) e UE del 16 dicembre 1991, relativo alla circolazione di lavoratori nell’ambito SEE (Spazio Economico Europeo). Il 3 febbraio 2000 la Corte di appello di Nancy dà ragione all’atleta il cui appello viene accolto, il 30 dicembre 2002, dal Consiglio di Stato, suprema istanza giurisdizionale francese. 

La stessa città transalpina e un altro club belga tornano alle cronache nel 2001. Il calciatore ungherese (quindi non comunitario) Tibor Balog, svincolato dall’RSC Charleroi, si vede negare il passaggio al Nancy per via dell’eccessivo indennizzo richiesto. Balog porta l’RSC in tribunale e il club si rivolge alla “solita” Corte Europea di Giustizia di Lussemburgo. In marzo si giunge a un compromesso amichevole e Balog finisce ai belgi del Mons. 

Il 13 aprile 2005 viene ratificato il parere, espresso l’11 gennaio dello stesso anno da Christine Stix-Hackl, procuratore generale del tribunale Europeo del Lussemburgo, in merito al caso Igor Simutenov. In seguito al ricorso presentato dall’ex Reggiana e Bologna (ma ai tempi al Deportivo Tenerife) contro il Ministero dell’Istruzione e della Cultura spagnolo, la Corte di Giustizia dell’UE stabilisce che, in virtù dell’accordo di partnerariato del 1994 (Articolo 23), i giocatori russi tesserati da club dell’Unione Europea vanno equiparati ad atleti comunitari e quindi non soggetti ai limiti di impiego applicati ai giocatori extra-UE. Dieci anni dopo la madre di tutte le sentenze di settore, un’altra decisione di portata rivoluzionaria e destinata a fare giurisprudenza. 
(ch.giord)


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