E' Tour, ma sa di Vuelta


di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 18 luglio 2017

La tappa di Puy en Velay, vinta meritatamente da uno sgobbone, Bauke Mollema, chiude la seconda parte del Tour 2017.
Dal Massiccio Centrale, al di là della seminata di corridori stanchi, Nairo Quintana il più celebre, la Grande Boucle ci riconsegna una classifica ancora fluida.
Tra il faro giallo, Chris Froome, e il settimo, Simon Yates, ci sono solamente 2'02".
In mezzo, ognuno con i suoi sogni di gloria, Fabio Aru, Romain Bardet, Rigoberto Uran, Dan Martin e Mikel Landa.
La Festa di Luglio a disposizione di un mucchio selvaggio.
Probabile che l'arrivo sul leggendario Colle dell'Izoard, giovedì 20, delinei meglio il ruolo della cronometro attorno a Marsiglia, sabato prossimo: 22,5 chilometri di passerella trionfale o sfida all'ultimo secondo?
Per adesso, aspettando le Alpi, la Grande Boucle è vissuta - sul filo - meno di mille metri.
Su due rampe: trecento metri a Peyragudes, seicento metri in quel di Rodez e l'impressione che la corsa si possa ribaltare in un attimo.
Sui Pirenei, nella dodicesima tappa, al termine di una frazione maratona, la resa (improvvisa) di Froome e la festa inattesa di Bardet e Aru (il primo vincitore, il secondo nuovo leader).
Un paio di giorni e lo scenario, sullo strappo della Cote de Saint Pierre, si modifica: l'italiano rimane indietro e il britannico si riprende - di giustezza - il simbolo del primato.
Entrambe le immagini, Froome che zigzaga senza molte energie, Aru che perde quasi mezzo minuto in un amen, suggeriscono una competizione senza un vero padrone.
Di sicuro, missione compiuta per gli organizzatori: volevano un tracciato per assaltatori, favorendo l'eroe di casa Bardet e l'incertezza tra i migliori. 

LA VUELTA DE FRANCIA
La teoria del caos innesta quella di una Generale corta, roba da corsa a tappe di una settimana.
Questo mercoledì, un dato incredibile dopo diciassette giornate, il Tour assalirà le prime vette oltre i duemila metri di quota (la Croix de Fer e il Galibier).
ASO ha (de) costruito questo percorso, tecnicamente aberrante, per impedire il dominio di Chris Froome e del Team Sky: al terzo tentativo, l'esperimento è riuscito.
La beffa, abbastanza comica osservando i wattaggi dei protagonisti, è che un disegno classico, ovvero con più frazioni di alta montagna, Froome (il cattivo, nella vulgata ridicola di alcuni media) sarebbe stato messo maggiormente in difficoltà dal Bardet di turno.
Procede dunque, la trasformazione del Tour de France in una Vuelta qualunque, altresì ipertrofica per carrozzone pubblicitario e partecipazione agonistica. 
Arrivi in discesa, a tomba aperta, traguardi o passaggi stile rampa di garage, chilometraggi da gare under 23.
Si fa tutto per la tivù e internet, poco per il ciclismo.
Uno sguardo al prossimo Giro di Spagna, messo assieme dall'ASO a mò di cavia da laboratorio, lascia perplessi.
3298 chilometri di lunghezza, 2974 di trasferimento (una stima a spanne: 800 km in una botta sola), cinquanta gran premi della montagna, nove arrivi in salita. 

LANDA, IL TEAM SKY E LA CONCORRENZA
Mikel Landa è il migliore scalatore del mondo?
Grimpeur purissimo, un camoscio che è a disagio altrove; pianura e cronometro, soprattutto.
Fa un pò José Manuel Fuente, un paragone ingombrante: però le lune, la follia, il cambio di passo sulle pendenze sono simili.
Separato in casa ma non troppo, in tasca un contrattone con la Movistar per il 2018, è la pedina tattica più importante di questa Grande Boucle bonsai.
Froome, siccome è Froome, rimane - per i meriti conseguiti sulla strada - il capitano del Team Sky: il basco, a disposizione, è comunque nella zona grigia della classifica.
La squadra di Brailsford è, al solito, la migliore del lotto: Mikel Nieve sarebbe il capintesta nella metà delle equipe presenti, Michal Kwiatkowski esibisce una gamba clamorosa.
Il polacco è un fuoriclasse che pare divertirsi a far il luogotenente, aspettando il suo momento: il bis mondiale, in Norvegia, non sembra un'utopia.
L'Ag2r rappresenta l'alternativa migliore agli ex uomini in nero: una riedizione chic dei regionali anni Cinquanta, che supporta benissimo le esigenze (di agguato costante..) del buon Romain Bardet.
Situazione opposta per Fabio Aru nell'Astana: il sardo, che in giallo appariva a disagio, corre da isolato o quasi.
Gli incidenti a Jakob Fuglsang, l'altra punta dei kazaki, e Dario Cataldo hanno privato il campione italiano di due aiuti indispensabili.
Il resto sta nelle pieghe del ciclomercato: l'UAE Emirates, idea araba di Giuseppe Saronni e Mauro Gianetti, sta corteggiando Aru da qualche mese.
Non pensiamo che la cosa faccia piacere ad Aleksandr Vinokurov, il boss di Astana...
Delle contingenze degli altri ras sottolineiamo quelle di Dan Martin e Rigoberto Uran.
L'irlandese è la vera mina vagante dell'ultima settimana: non fosse rimasto coinvolto nella caduta con Richie Porte, scendendo il Mont du Chat, sarebbe ancor più vicino a Froome nella Generale.
Il colombiano pedala benissimo e ha già esperienze di podio (al Giro d'Italia): la crono del penultimo dì si adatta alle sue caratteristiche. 

BLING, IL NUOVO RE DELL'ACIDO LATTICO
Sabadì, sulla salitella sopra Rodez, la vittoria di Michael Matthews è parsa a molti come un annuncio.
Ventisei anni, un palmares quantitativamente già sontuoso, l'aussie ha domato, su uno strappo, due fenomeni del livello di Greg Van Avermaet (secondo) e Philippe Gilbert (quarto).
Bling, soprannome adolescenziale nato dalla sua passione per le catenelle e i braccialetti, è un velocista resistente a suo agio sugli strappi brevi.
Vanta successi parziali nei tre Grandi Giri, al Tour de Suisse e alla Parigi-Nizza. 
A questa Grande Boucle sta sbalordendo per la facilità di azione, anche in salita: il nuovo re dell'acido lattico, degli arrivi col cuore in gola, nell'oroscopo vede una Liegi-Bastogne-Liegi o una Milano-Sanremo.
Abbiamo trovato l'antiSagan delle prossime sfide. 

LA SACRALITA' DELL'IZOARD
Giovedì 20, la classica Briancon-Col de l'Izoard presenta un unicum: la prima volta dell'Izoard come traguardo di tappa.
Il versante sud della montagna, proprio quello che affronteranno i corridori nella diciottesima frazione, da sempre idealizza un Aleph, un luogo magico, della storia dello sport.
Lassù ci passò, inaugurandolo, il grande Philippe Thys nel 1922; l'anno seguente, Henri Pélissier - il primo Campionissimo francese - spodestò il gregario Ottavio Bottecchia, verso il suo unico trionfo a Parigi.
Fu il teatro privilegiato della rivalità tra Fausto Coppi e Gino Bartali: nel 1949, sia al Giro che al Tour.
O di un regolamento di conti tra patron, nell'era più controversa di sempre: era il 2000 e Marco Pantani infastidì, coi suoi scatti, il despota Lance Armstrong.
Nell'89, solo svizzero a transitare al comando (pure al Giro..), Pascal Richard si impose con una fuga a lunga gittata.
Dietro, nel duello tra mammasantissima, Greg Lemond staccò un paio di volte Laurent Fignon: il Professore rientrò in discesa, ma scontò quindici secondi sull'erta finale che portava a Briancon.
Avrebbe perso quel Tour per otto secondi...
L'Izoard, salendo da Arvieux, ha la pienezza assoluta del monte: l'approccio con un falsopiano traditore, faticoso, l'entrata nel bosco dove si tocca il dieci per cento di pendenza.
E poi lo spettacolo della Casse Déserte, dove la vegetazione sparisce e la terra diventa luna.
Guglie di pietra, stalattiti rovesciate, e polvere di roccia ovunque: dalle parti delle targhe dedicate a Coppi e a Bobet, il paesaggio, la luce di quel pertugio rivolto al cielo, sembra un'allucinazione visiva.
Si giunge ai 2360 metri di altitudine ma lo sguardo si perde oltre.
Se lo sport è anche viaggio, conoscenza e cultura, l'Izoard ha qualcosa di mistico, di inatteso e ineguagliabile: è la Salita del Monte Carmelo su una bicicletta. 
SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 18 luglio 2017

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