Franco Cribiori, intenditore di ciclismo


Tuttobici Numero: 6 Anno: 2001

di Gino Sala

È stato uno dei corridori più intelligenti che ho conosciuto, leggerino nel fisico, ma di una sottigliezza tattica che lo portava a misurare perfettamente le possibilità degli avversari, ciò che avevano nelle gambe e nella testa. Sto parlando di Franco Cribiori, nato a Corsico il 29 settembre del 1939, professionista dal '60 al '68, appassionato di quadri d'arte, oggi benestante e residente in una villa del Varesotto. A Bologna, se non sbaglio, il figlio continua il mestiere del padre acquistando e vendendo opere pregiate. Una famiglia, direi, simpatica, con un proprio stile, disponibile verso gli interlocutori con un'affabilità che è di pochi.

Un intenditore di ciclismo ad ogni livello, visto che è stato anche un buon direttore sportivo. Con un cruccio, penso. Il cruccio di non aver plasmato a sufficienza Gianni Bugno, il Bugno prima maniera, l'atleta che ha ottenuto fior di successi, ma in misura inferiore alle sue possibilità, come tutti sappiamo. Sull'ammiraglia, Franchino Cribiori non era un sergente di ferro, un comandante che alzava la voce. Era un maestro gentile, persuasivo a suon di discorsi, vuoi con Pierino Gavazzi che ascoltando i consigli del tecnico nel mattino della Milano-Sanremo 1980 andò sul podio di via Roma anticipando due velocisti notoriamente più brucianti e cioè Beppe Saronni e Jan Raas. «Se il tutto terminerà con un volatone il tuo punto d'appoggio dovrà essere la ruota di Moser», aveva raccomandato Cribiori e proprio rimanendo nella scia del trentino fino a pochi metri dal traguardo Gavazzi ebbe la meglio sprigionando una potenza decisiva. E chi meglio di Franchino sapeva valorizzare i gregari? Vedere per credere il Podenzana del Giro d'Italia 1988, il Podenzana in maglia rosa per tre giornate.

Nelle vesti di pedalatore Cribiori ha ottenuto undici vittorie tra le quali figurano una Milano-Torino e un Giro dell'Appennino. Ben venti i piazzamenti, dodici secondi posti e otto terzi. Quattro volte in maglia azzurra a dimostrazione del suo valore. Loquace con giornalisti nelle informazioni del dopocorsa, preciso nelle chiaccherate che fornivano particolari interessanti, emotivo quando gli capitava di gareggiare sulle strade di casa. In un Gran Premio di Corsico l'intero paese lo aspettava vincitore e tanto clamore fu una mazzata che lo indusse al ritiro.

Con me aveva una rispettosa confidenza che via via si è tramutata in amicizia. Ricordo una sua battuta nel giorno in cui vinse il Giro del Ticino. «Dulza l'uga», dolce l'uva ebbe a dirmi mentre ero intento alla stesura del servizio. Parole pronunciate con un sorrisetto sulle labbra, com'era e come è ancora nei suoi modi di esprimersi. Mai l'ho sentito alzare la voce e a proposito di quella osservazione e della mia risposta senza peli sulla lingua ("Ragazzi, in maniera diversa anche noi a fine corsa siamo stanchi") alcuni anni dopo Cribiori mi confessò: «Quando pedalavo, appena a letto mi addormentavo subito. Adesso la squadra mi dà cento, mille pensieri...».

Si direbbe che colgo l'occasione per difendere la mia categoria, ma il mestiere è quello che è, più di dodici ore d'impegno giornaliero, per esempio, quando sei nella carovana del Giro e del Tour. E se oggi il computer si guasta ingoiando lo scritto, la situazione è uguale a quella di ieri, quando si bloccavano le telescriventi e c'era il rischio di non trasmettere il prodotto in tempo utile per la prima edizione. Anche per questo ed altri motivi molti dei giovani colleghi preferiscono abbracciare il mondo calcistico. Essendomi occupato di diverse discipline, dirò chiaro e tondo che le sensazioni provate nel ciclismo sono decisamente superiori a tutte le altre. Più sofferte, più umane, più avvincenti. E credo proprio che il sessantenne Cribiori sia del mio parere. 

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