Giuseppe Martinelli, il maestro che non alza la voce

Tuttobici, n. 11/2006

di Gino Sala

Ho conosciuto Giuseppe Martinelli tanti anni fa, quando la mia attività di cronista ciclistico cominciava in febbraio e terminava ai primi di novembre. Bei tempi per vari motivi anche perché l'ambiente era diverso da quello di oggi. I paragoni sono sempre discutibili, però i personaggi di allora, dai corridori ai dirigenti, avevano un'altra "faccia", altri sistemi, altri modi di operare. Erano tutti (o quasi tutti) muniti di una "sacra" passione, era un ciclismo povero se confrontato con quello dei nostri giorni, governato dalla semplicità che è una gran bella dote. Poi, via via lo sport della bicicletta si è "modernizzato", generando i mali che sappiamo e mi fermo qui per non ripetermi.

Martinelli, dicevo, un bresciano nato a Lodetto, frazione di Rovato, l'11 marzo 1955, professionista dal 1977 al 1985, velocista, 10 vittorie tra le quali figurano tre tappe del Giro d'Italia e una Milano-Torino, un bel numero di piazzamenti, argento olimpico a Montreal '76 nella gara vinta dallo svedese Johansson. Una carriera dignitosa, ma che poteva essere più ricca di successi se Martinelli fosse stato meno arrendevole nell'accettare i ruoli che gli affidavano, meno disponibile nei giochi di squadra, per intenderci. Già, a volte un filo di cattiveria non guasta, anzi serve per conquistare valutazioni maggiori, ma Beppe era l'esatto contrario del tipo capace di ribellarsi, di trasgredire gli ordini ricevuti. Un buono per eccellenza, insomma, non un sottomesso, diciamo un pedalatore con una parola d'ordine: obbedisco e basta. E poi?

Poi dalla bici all'ammiraglia. L'esordio all'Alfa Lum come aiutante di Primo Franchini e a seguire una decina d'anni alla Carrera orchestrata da quel santone che si chiama Davide Boifava, una compagine forte di Roche, Visentini, Bontempi, Chiappucci e Pantani. Impara l'arte e mettila da parte, è il motto di Martinelli che passerà alla guida della Mercatone Uno di Marco Pantani. Cinque stagioni con l'indimenticabile "pirata" e successivamente il comando nella Saeco di Simoni, Cunego e Di Luca. Una lunga e paziente conoscenza del mestiere, un Martinelli scopritore di talenti che nel '98 entra nella casa di Damiano Cunego con la sicurezza di aver stabilito un prezioso legame. Così sarà, così la storia continua sull'ammiraglia della Lampre Fondital dove l'obiettivo è quello di rinverdire gli allori di un recente passato. Sapete: dopo il "boom" del 2004, Cunego si è affievolito pur dando segnali di riprese come è stato nella prima apparizione sulle strade del Tour de France. Aggiustare, ricostruire sono le parole d'ordine per il ragazzo che dalla sua ha l'età giusta per riprendere il bastone del comando come dimostra una carta d'identità che porta la data del 19 settembre 1981. 

Il punto debole di Cunego si riscontra nelle prove a cronometro, specialità dove il veronese deve applicarsi perché fondamentale nelle gare a tappe. Cosa che è ben presente nel suo istruttore, in un tecnico che insegna senza alzare la voce. Sì, continuo a pensare che Damiano sia in buone mani e mi aspetto un 2007 con l'allievo di Martinelli sulla cresta dell'onda.

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