Visentini: «I miei Giri d'Italia fra trionfi, rabbia e imprese epiche»


di Angiolino Massolini
Brescia Oggi, 27 maggio 2010

Vincitore del Giro d'Italia 1986; ventisette giorni in maglia rosa dal 1980 al 1987; maglia bianca nel 1978; sei vittorie di tappa; tredici partecipazioni. È il palmarès di Roberto Visentini, nato a Gardone Riviera il 2 giugno 1957, residente a Salò con la moglie Elisabetta e i figli Matteo e Alice. Un rapporto straordinario tra il gardonese e la corsa rosa che l'ha eletto campione fin dal suo esordio nel 1978. Vero fuoriclasse, Roby è stato tra i più eclettici interpreti del ciclismo degli anni '70 e '80. Bravo nelle crono e in salita, ha costruito la sua vittoria al Giro 1986 con un acuto nell'ascesa di Foppolo togliendo il primato a Beppe Saronni. Una vittoria attesa e meritatissima quella del 1986. «Credo proprio di sì. Con l'aiuto dei compagni di squadra, tra i quali i bresciani Bruno Leali, Fabio Bordonali e Guido Bontempi, riuscii a coronare il sogno nella corsa più importante per un italiano. L'ho corteggiata a lungo ma ho avuto la soddisfazione di vincerla il 2 giugno, giorno del mio 29esimo compleanno. Un evento memorabile costruito con pazienza perché nella cronosquadre il mio team accusò un ritardo importante dalla formazione di Saronni. Riuscii a recuperare parte del terreno perso andando all'attacco nelle tappe di Cosenza e Potenza. Quando vinsi la tappa di Potenza capii che avrei potuto finalmente vincere il Giro d'Italia.

- Dovette però attendere le montagne per superare il suo amico Saronni. 
«Il magic moment scattò il 27 maggio nella tappa Erba-Foppolo. Corsi tutto il giorno in prima fila e quando la corsa si infiammò andai all'attacco con Munoz e Lemond. Nel finale subii un salto di catena ma non ne feci un dramma. Anzi moltiplicai gli sforzi e fui secondo di tappa e nuova maglia rosa». 

- Primato difeso nonostante un problema al polso.
«Soprattutto nella cronometro Piacenza-Cremona avvertii problemi al polso destro, ma tutto si risolse alla grande e a Merano fu festa grande».

- Il Giro però le ha regalato anche alcune delusioni. Quale quella più importante? 
«Quando venni attaccato nella tappa di Sappada 1987 dal mio compagno di squadra Stephen Roche. Giunsi staccatissimo, deciso a smettere di correre. Essere attaccato dagli avversari era normale, ma che fosse un mio compagno di squadra non riuscii proprio a digerirlo».

- Gli avversari l'hanno sempre rispettata. 
«Con fuoriclasse come Moser e Saronni qualche volta ho perso ma non mi sono mai lamentato. Quello di Roche fu un attacco inaccettabile. A fine corsa andai da Davide Boifava, «ds» del mio team, con alcune sacchetti di plastica contenenti la bicicletta che avevo fatto a pezzi con il seghetto. Ero davvero deciso a concludere l'attività. Poi mi convinsero a proseguire, ma il gesto di Roche resta inqualificabile».

- Verrà al traguardo di Brescia? 
«No. Sarò sulle curve sul lago di Garda per poi seguire il Giro in motocicletta. Saluterò i compagni d'allora, in primis Cassani che è venuto a intervistarmi. Poi tornerò a casa per vedere l'arrivo in tv». 

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