Roberto "Carube" Lencioni: io che ho rincorso la maglia rosa...


di Valerio Zeccato

Giro d’Italia del 1980. Si scala la salita di Campo Tenese in Basilicata, la maglia rosa è il bresciano Roberto Visentini della San Giacomo. Durante l’ascesa, l’ammiraglia che segue il leader del Giro tira le cuoia. Cosa fare se il motore è rotto? Il meccanico della San Giacomo non ci pensa un attimo: tira giù dall’ammiraglia la bici di riserva di Visentini e detto fatto salta in sella e insegue la maglia rosa. Una quindicina di chilometri fino alla cima della salita, poi arriva un’altra ammiraglia e tutto torna alla normalità. 

Il meccanico che non ha esitato a trovare la soluzione estrema pur di servire il corridore in maglia rosa è Roberto Lencioni. Toscano, quarantunenne, una vita dedicata alle biciclette e alle donne della sua famiglia (tre, la moglie e due figlie). L’aneddoto del Giro del 1980 è uno dei tanti che il simpatico toscano potrebbe raccontare sui suoi 21 anni di attività.

Roberto Lencioni è uno di quei personaggi che, nel loro piccolo, contribuiscono a costruire la storia del ciclismo. Uno spirito libero, una persona polivalente, tanto che anche al volante dell’ammiraglia, tra le donne, ha dimostrato le sue doti.

«Nel 1992, così per scherzo - racconta Lencioni - ho provato a fare il direttore sportivo della squadra femminile della Fanini. Quattro anni indimenticabili, culminati dalla vittoria al Giro d’Italia con Michela Fanini».

E qui Lencioni si blocca pensando al triste destino che ha portato via la campionessa toscana. Ma nel sangue Roberto ha l’arte del meccanico, sin da quando piccolissimo si metteva a posto da solo la bicicletta con la quale correva. E così, a fine ’96 il grande ritorno.

«Da tempo se ne parlava con Mario (Cipollini ndr), lui mi voleva come meccanico alla Saeco ma io ero un po’ titubante; poi all’inizio del ’97 riuscì a convincermi ed eccomi ancora qui».

Lencioni è l’uomo di fiducia di Re Leone. Ma com’è il rapporto con SuperMario?

«Direi un buon rapporto, anche se Mario è una persona particolare, da prendere con le pinze... Non sempre è facile stargli vicino, dipende da tante cose; è una persona speciale. E poi di biciclette se ne intende, eccome. Per il suo mezzo ci sono delle finezze particolari da tener presente anche perché, essendo un personaggio sfruttato moltissimo dagli sponsor vanno curati tutti i dettagli. Se per gli altri devi preparare la bici al 100%, per lui devi andare oltre, devi arrivare al 101%. È un esigente, guarda anche il millimetro, ma lo fa con cognizione di causa. Le prime volte ti arrabbi, pensi addirittura che stia facendo apposta, poi se controlli ti accorgi davvero che c’è qualche differenza, che ad esempio la sella è davvero spostata, di poco magari, ma è spostata. Mario ha una grande sensibilità in queste cose». Un ventennio di lavoro alle spalle. Ne è passata di acqua sotto i ponti...

«Come no! - esclama Roberto -. Una volta quando avevamo il 242, un furgoncino su cui caricare le bici e le attrezzature, eravamo le persone più felici del mondo. Ora andiamo in giro con i Tir, con le case ambulanti e quasi non bastano. D’altra parte tutto si evolve, tutto cambia».

Ma ci sono i pro e i contro...

«Vero. Verissimo - conferma Lencioni -. Adesso non c’è più il contatto umano che c’era una volta. Prima i corridori erano dieci o dodici; adesso sono il doppio! Ci sono ragazzi che vedi alla presentazione e poi più perché si corre contemporaneamente in posti diversi». 

Ma anche il mestiere è cambiato.

«Certo, una volta il meccanico curava di più la bicicletta, oggi la tecnologia ha compiuto enormi passi avanti e della bici si cambiano i pezzi e tutto finisce lì; curare, riparare, aggiustare... tutte cose che restano solo nella memoria».

Roberto Lencioni è nato a Lucca il 16 maggio 1959. Risiede a Segromigno Monte (Lu) con la moglie Cristina, operaia in un calzaturificio, e le due figlie: Jessica di anni 20 e Erika di 14. Corridore di buona levatura (70 vittorie in carriera), è stato anche il miglior Esordiente della Toscana nel ’74, ha iniziato a pedalare nella Fanini di Lucca passando poi negli Allievi al Velo Club Coppi di Lunata, dove ha corso fino agli Juniores. Un incidente in Vespa (rottura della gamba) e il bisogno di lavorare consigliarono a Roberto di appendere la bici al chiodo. Qualche mese di lavoro in un calzaturificio della zona e poi la nuova avventura come meccanico alla Gis Gelati di Basso e Bitossi, chiamato da Piero Pieroni. Qui nasce il Lencioni meccanico, tante squadre e mille avventure. 

Nel ’90 il toscano molla tutto per seguire il suo negozio di biciclette a Segromigno Monte. Un anno «sabbatico» per poi tornare nel mondo dei professionisti con la Jolly Club 88. Ma Lencioni è uno spirito libero e nella stagione seguente (’92) addirittura sale sull’ammiraglia per guidare la squadra femminile della Fanini Sprint. Quattro stagioni di vittorie (grazie alla compianta Michela Fanini arriva il trionfo al Giro d’Italia del ’94) prima del ritorno nel ruolo di meccanico con la Saeco di Mario Cipollini nel ’97, società per la quale ancora oggi lavora.

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