Marino Amadori: «Visenta un purosangue, Roche numero uno»
In dodici stagioni da pro' (1979-1990), undici volte azzurro (dieci da titolare). Questo per dire che (fior di) gregario sia stato Marino Amadori, romagnolissimo di Predappio, classe '57 come il Visenta. E uno comunque da otto vittorie, tra cui il Trofeo Matteotti, una tappa alla Tirreno-Adriatico, le coppe Placci, Sabatini, Agostoni, il Giro del Piemonte.
Aggiungeteci rigorosità e puntualità certosine, e capirete perché l'allora Ct Alfredo Martini ne abbia fatto il proprio ambasciatore in corsa e l'attuale Ct Davide Cassani, con cui è amico da una vita, un fedelissimo nel proprio staff tecnico federale.
Aggiungeteci rigorosità e puntualità certosine, e capirete perché l'allora Ct Alfredo Martini ne abbia fatto il proprio ambasciatore in corsa e l'attuale Ct Davide Cassani, con cui è amico da una vita, un fedelissimo nel proprio staff tecnico federale.
Direttore sportivo (1991-2004) in tutte le categorie (dilettanti, femminile, professionisti), è dal 2008 il Ct dell'Under 23 maschile su strada.
Lo incontro alla annuale "Serata con Cassani" con i sodali Roberto Conti, Renato Laghi e Orlando Maini. Quattro chiacchiere con aperitivo come se ci conoscessimo da una vita, prima di dileguarmi, perché questa è la loro serata. E senza giornalisti ce la si gode di più.
Al Giro '87 Amadori, al secondo e ultimo anno nella Ecoflam, chiuse 40esimo, a 1h15'54" dal vincitore Stephen Roche.
"Serata con Davide Cassani”
l’Ustareja d’e Sol
Solarolo (Ravenna), lunedì 15 gennaio 2018
- Marino Amadori, se ti togli la giacca da Ct della nazionale maschile su strada Under23, torniamo indietro nel tempo e ti dico "Sappada", che cosa ti viene in mente?
«Una tappa storica per il problema che c’è stato. Problema… Sì, problema che c’è stato tra Visentini e Roche. Mi ricordo una tappa particolare, abbastanza impegnativa. C’è stato questo attacco di Roche che forse nessuno si aspettava, neanche il gruppo, perché era quasi improponibile che Roche attaccasse. Ci fu un momento particolare, in gruppo, perché, sai, anche la squadra stessa, la Carrera, era un po’ spiazzata. C’era abbastanza confusione. A un certo punto incominciarono a inseguire questa fuga. Andarono a prendere la fuga, poi ci fu un altro attacco di Roche, che si ripropose ancora, e lì praticamente scoppiò un po’ tutta la gara. Ci furono parecchi problemi. Anche per quanto mi riguarda fu un momento particolare perché nessuno poteva immaginarsi un’azione del genere. Di conseguenza ci fu questo finale particolare, e anch’io nell’ultima salita presi Visentini, che proprio non andava su, sembrava quasi fermo. Prese sei, sette minuti. Arrivammo assieme col gruppetto».
- Da ex gregario, ex diesse e oggi selezionatore: tu in quella vicenda come ti saresti comportato? O come l’hai percepita, allora?
«Non è semplice. Anche per come vedo io il ciclismo agonistico, la squadra, il gruppo: i punti miliari di come ragiono io anche con le squadre che facciamo adesso, come lavoriamo in nazionale. E che grossomodo sono poi le cose che mi ha sempre insegnato un certo Alfredo Martini. Riandare indietro negli anni e aver vissuto quella situazione, è una cosa un po’ particolare, però non è stato il primo caso. Ce ne sono stati altri, di casi. Altri problemi. Non è semplice, quando hai corridori forti, gestirli in un certo modo. Io in nazionale ho vissuto le lotte Moser-Saronni, e non è stato semplice, neanche per Alfredo [Martini], gestire in certi momenti quelle azioni lì. Quindi, la cosa tocca un po’. Però, purtroppo, è stata una cosa eclatante. Io parlo da italiano, Visentini è italiano e vedere questo attacco di un corridore di un’altra nazione, al Giro d’Italia, fu una cosa un po’ particolare».
- Fu tradimento o semplice scelta di corsa, di business come la chiamano gli anglosassoni?
«Adesso, business… Non so, non ero in squadra, non sapevo i piani o la tattica della squadra. Però se c’era una tattica o un piano che Visentini doveva essere il capitano, il leader di quella corsa, per me è stato più un tradimento che business. Un tradimento netto nei confronti di Visentini».
- Come giudichi l'operato di Boifava? Che fosse con Roche o con Visentini, il Giro lui doveva portarlo a casa. Alcuni direttori sportivi all’epoca lo criticarono per la «figuraccia», ma alla fine ha avuto ragione lui.
«Non è semplice, neanche dall’ammiraglia, gestire una situazione del genere».
- Allora te la ribalto: con le radioline, oggi, una Sappada potrebbe succedere? Ti faccio un esempio recente: Wiggins e Froome al Tour 2012.
«Bravo. Anche se sono squadre un pochino più inquadrate, però è già più difficile. Specialmente adesso, con le radioline, gestire la corsa è molto più semplice per l’ammiraglia. Forse è più difficile, perché hai la squadra più unita e più collegata, di conseguenza certe azioni magari riesci anche a stopparle al momento, prima ancora che tu riesca a parlare o andare a comunicare con certi corridori. Però, avere un corridore del genere, che fa un’azione del genere... E sicuramente non l’ha fatta da solo. Si vede che in squadra aveva qualche compagno che lo spalleggiava».
- Allora te la ribalto: con le radioline, oggi, una Sappada potrebbe succedere? Ti faccio un esempio recente: Wiggins e Froome al Tour 2012.
«Bravo. Anche se sono squadre un pochino più inquadrate, però è già più difficile. Specialmente adesso, con le radioline, gestire la corsa è molto più semplice per l’ammiraglia. Forse è più difficile, perché hai la squadra più unita e più collegata, di conseguenza certe azioni magari riesci anche a stopparle al momento, prima ancora che tu riesca a parlare o andare a comunicare con certi corridori. Però, avere un corridore del genere, che fa un’azione del genere... E sicuramente non l’ha fatta da solo. Si vede che in squadra aveva qualche compagno che lo spalleggiava».
- Diciamo uno: Eddy Schepers.
«Esatto. O uno o più di uno. Non è facile, però anche avendo avuto le radioline, forse era anche più difficile da portare in porto».
- Voi in corsa avevate la percezione di una Carrera che corresse da una parte più per Roche e dall'altra più per Visentini, oppure no?
«C’era un gruppettino che si vedeva che era più legato a Roche, però, sai, non è facile gestire quelle situazioni lì. Se guardi la stagione che Roche ha fatto quell’anno lì, non è che abbia rubato qualche cosa. Andava forte-forte-forte, non ha rubato niente, dal lato atletico. Meritava, per come andava, in quell’anno. Però il contesto è che neanche Visentini andava piano. [Roche] l’ha messo in una condizione che Visentini, col suo carattere, è crollato. E invece di reagire ha avuto l’effetto opposto. L’effetto che Roche si aspettava».
- Me li tratteggi dal punto di vista caratteriale e tecnico?
«Visentini lo ritengo un purosangue, già dalla carriera giovanile è andato sempre fortissimo. E di conseguenza ha fatto delle cose eccelse. Da junior ha vinto un mondiale, da professionista ha fatto cose che sono rimaste, e rimangono, nella storia. Stephen Roche è un corridore che ha fatto un po’ di anni che è andato non forte, fortissimo. È un super, perché aver vinto Giro d’Italia, Tour e mondiale nello stesso anno... E poi tutte le corse che ha vinto in giro».
- Roche è sempre stato uno bravo a leggere le corse e scambiare favori. Visentini invece in gruppo era un po’ un solitario, non chiedeva né faceva favori?
«No, non è che non chiedeva o faceva favori, è un carattere un po’ particolare, Visentini. Era un po’ più isolato. Era lui che si teneva un po’ in disparte, non era molto socievole però era un ragazzo che, quando c’era da parlare e da scherzare, ci stava anche a questo. Faceva più fatica a fare gruppo, ad avere compagni super fidati. Però aveva degli amici, che son poi quei corridori che l’han seguito per parecchi anni, specialmente negli anni della Carrera, negli anni d’oro suoi. Aveva gente votata alla causa di Visentini Roberto».
- Ti faccio un esempio: Millar, che in quel Giro anziché per Breukink corre più per Roche, con cui aveva corso alla Peugeot e con cui l'anno dopo si ricongiungerà alla Fagor. In questo atteggiamento Roche era molto diverso da Visentini, sei d’accordo?
«Sì, quello sicuramente. Roche sapeva gestire meglio il gruppo e i suoi fedelissimi».
- E a leggere le corse?
«A leggere le corse, Stephen Roche…».
- Era il numero uno?
«Esatto. Aveva qualcosina in più, e l’ha dimostrato con la carriera».
- Visentini che non vuole più saperne dell’ambiente è una conseguenza di Sappada?
«Nooo, perché nella sua carriera ha avuto altri episodi in cui ha staccato, ha fatto delle azioni un po’ particolari».
- Ti riferisci alla bici segata dell’84?
«Esatto. A una di quelle, tanto per dirti. È il suo carattere. Si vede che quando ha finito di correre ha voluto dare un taglio netto col mondo, con l’ambiente. E così è. L’ho visto due anni fa alla presentazione della squadra di Boifava, la Gavardo. Era lì, era presente, molto sorridente, tranquillo. Il solito Visentini».
- È vero che, paradossalmente, era più adatto al Tour che al Giro? C’è una battuta di Roche che dice: Visentini appena vedeva il cartello “Chiasso” si perdeva.
«Forse in quegli anni là eravamo così un po’ tutti noi corridori italiani. Prendi Moser, forse Moser era uno un po’…».
- Un Tour.
«Ma anche Saronni stesso…».
- Uno e mezzo.
«Esatto. Era proprio il periodo. Forse, se fosse nato in questo periodo qui, anche Visentini sarebbe stato un corridore “europeo o “mondiale”. Quello, sicuramente».
- Visentini o Roche: da che parte stai?
«Sto dalla parte di Visentini».
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