Storia di Dino Zandegù
Con una maggiore concentrazione sia in corsa sia fuori il possente e spericolato velocista padovano avrebbe potuto ottenere un maggior numero di vittorie e avrebbe centrato anche qualche grosso traguardo in più del memorabile Giro delle Fiandre del '67 nel quale dette l'esatta misura della sua classe e del suo valore.
Preparato alla perfezione, eseguì in maniera impeccabile le disposizioni di Luciano Pezzi e, con un'irresistibile manovra a tenaglia assieme a Gimondi, riuscì dapprima a seguire Eddy Merckx scatenato al contrattacco per inseguire Felice, e poi se ne andò a sua volta, senza alcuna difficoltà nello sprint a due avendo ragione di Foré, il solo superstite di una lunga fuga. Fece colpo quella vittoria anche perché sul viale d'arrivo, dimostrando una freschezza incredibile, davanti ai microfoni dei radio-cronisti intonò O sole mio...
Componente il quartetto che si aggiudicò il primo Campionato mondiale della 100 chilometri a Roncadelle nel '62 (con Maino, Tagliani e Grassi) passò al professionismo come una grossa promessa, ma solo al terzo anno riuscì a porsi in evidenza sia per il successo nella Tirreno-Adriatico (unica prova a tappe della sua carriera) che in un paio di tappe del Giro.
Le volate a ranghi compatti contro gli avversari più agguerriti sono state il terreno di battaglia ideale per Zandegù che non conosceva la paura e che mostrava, non a torto, di arrabbiarsi a morte quando si trovava sconfitto da qualche manovra scorretta degli avversari; in particolare di Basso (spalleggiato da Dancelli) che gli è stato nemico spietato: e Zandegù non l'ha ancora perdonato.
Vedendolo imporsi in tre tappe del Giro di Sardegna '68 si ebbe la sensazione di una stagione splendida, ma una caduta alla Vuelta lo bloccò. Corse concentrato il solo Tour della sua carriera nel '69, ma non vinse neppure una tappa, e l'avrebbe meritata. Anche se non pareva tagliato si è fatto apprezzare, finita la carriera nel '72, come direttore sportivo.
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