Zandegù come Jean Gabin (da giovane)


Dieci anni di professionismo, 40 vittorie, un Giro delle Fiandre, un Giro di Romagna, una Tirreno-Adriatico, 6 tappe del Giro d’Italia rappresentano un curriculum più che apprezzabile per molti corridori.

Il fatto curioso è che Dino Zandegù sia passato alla storia più per le sue “trovate” che per un palmarès di tutto riguardo.

Zandegù, nato a Rubano in quel di Padova nel 1940, ha iniziato la sua avventura tra i professionisti alla fine del 1963 con la maglia della Ignis. Nel 1964 era alla Cynar, poi due anni alla Bianchi, cinque alla Salvarani, prima di chiudere la carriera nel 1972 con i colori della GBC.

Ottimo passista-veloce, dal fisico massiccio, il viso volitivo con sopracciglione alla Elio, odiava le salite e non disdegnava la pista.

Ha partecipato ad alcune Sei Giorni di Milano negli anni sessanta, quando la pista veniva montata ogni inverno all’interno del vecchio Palazzo dello Sport della Fiera, in piazza 6 Febbraio.

Zandegù era uno dei beniamini del pubblico per la sua combattività ma soprattutto per gli scherzi che sapeva organizzare nei momenti di stanca della corsa.

Coadiuvato da una spalla, quasi sempre il tedesco Roggendorf, fingeva appassionanti volate sul filo dei venti all’ora; si faceva trainare aggrappandosi al sellino di qualche ignaro – si fa per dire – concorrente; rubava un tabellone numerato del contagiri facendo impazzire gli ufficiali di gara; una volta sottrasse la pistola allo starter, il mitico Tano Belloni, e fece alcuni giri di pista fingendo di sparare agli avversari.

La sua corsa di addio fu il Lombardia del 1972 e, anche in questa occasione, non volle venire meno al suo personaggio: andò in fuga solitaria ma, giunto dalle parti di Canzo, dove la strada cominciava a salire, si fermò, scese di bicicletta, fece una croce per terra e inscenò una specie di comizio per dare finalmente l’addio a quella “dura vita piena di fatica e sofferenza”. Quando sopraggiunse il gruppo, salutò tutti con il magone (vero o finto?) e tornò a casa.

Zandegù era un personaggio in tutti i sensi: faceva scherzi, faceva il mattacchione e vinceva anche.

Un personaggio così non poteva sfuggire a Sergio Zavoli per il suo “Processo alla tappa”, del quale fu un frequentatore tra i più assidui.

Indimenticabile una sua apparizione ad un “Processo” del 1966: Zandegù, in maglia Bianchi-Mobylette, è inquadrato in primo piano nella metà schermo di destra, mentre, nella metà schermo di sinistra, appare Nando Martellini con al fianco una vaporosa quanto asettica Anna Maria Gambineri.

Martellini: “Signorina Gambineri, le presento il signor Zandegù.”

Gambineri: “Lo vorrei vedere meglio.”

Zandegù: “Non mi sono ancora truccato.”

Gambineri: “Vorrei vedere un bel primo piano.”

Zandegù: “Guardi un po’ che bellezza! Mi ha visto tutto? Si?”

Gambineri: “Si, però provi a guardare proprio nell’obbiettivo della telecamera”

Zandegù: “Mi guardi anche di profilo, però.”

Gambineri: “Senta, ma ha gli occhi chiari?”

Zandegù: “Eh, sono un po’ stanchetto.”

Gambineri: “Volevo dire, il colore degli occhi com’è?”

Zandegù: “Marrone, marrone devono essere. I capelli sono nerissimi. Non so se le dice qualcosa. Jean Gabin da giovane".

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