1987 l’anno irlandese


Stephen vince tutti e fa impazzire l’Irlanda, il suo Paese. Non c’è nulla di banale nelle sue vittorie. Anche dal lato umano


di MARCO PASTONESI, Giro d’Italia - La grande storia


Una vita che è una favola. La prima bici da corsa acquistata con la colletta della gente del suo villaggio, Dundrum, in Irlanda. Il primo ingaggio favorito sempre dalla stessa gente, che lo sostiene quando lui abbandona il lavoro da saldatore per tentare quello di corridore. E il primo viaggio a Parigi, nessuno ad aspettarlo all’aeroporto, nessuno ad aspettarlo nlla sede del club, tanto da dormire – e per tetto un cielo di stelle – fuori dalla porta. «Era notte, era chiuso. Avevo un pullover addosso, una valigetta, una sella e un manubrio, il club mi avrebbe procurato la bicicletta, una Peugeot. Mi addormentai al freddo. La mia scelta imponeva il sacrificio. Hai voluto il ciclismo perché non ti piaceva il calcio e il calcio non ti piaceva perché ti lasciavano in panchina? Hai voluto il ciclismo perché il nuoto ti annoiava? Arrangiati, bello mio! Hai fatto scuola fino a 15 anni: apprendista meccanico. Dormi al ghiaccio e pensa al futuro. Poi alle 6 sono venuti una donna delle pulizie e un uomo. Mi hanno fatto entrare».

Da quella società, la ACBB, l’Athletic Club de Boulogne-Billancourt, non sono più uscito, e ogni anno mi onoro di andare al banchetto sociale. Per vincere i soldi bisognava vincere le corse». E vince. Non una corsa qualsiasi, ma la Parigi-Roubaix per dilettanti, volata a due, nel velodromo. Il direttore sportivo gli garantisce che, se non vince, subito dopo la corsa lo rispedisce in Irlanda. Bella scuola. Stephen Roche è quello dell’anno magico, l’anno di grazia, l’anno santo: il 1987. Giro, Tour e Mondiale. E non solo. Perché vince anche Valenciana e Romandia. Un anno alla Merckx, da Cannibale. E potrebbe conquistare anche la Liegi. «Quel giorno corsi come un dilettante. Preso all’ultimo chilometro perché io e Claude Criquielion eravamo troppo occupati a guardarci e Moreno Argentin ci beffò. La più grande delusione della mia carriera». Il 1987 è il suo secondo anno alla Carrera. Nel primo combina poco o niente, colpa di una caduta durante la Seigiorni di Parigi. Ma poi torna, e alla grande. I programmi della squadra di Davide Boifava sono chiari: Roberto Visentini capitano per il Giro, dopo la vittoria del 1986, Roche capitano per il Tour, con Roche che aiuta Visentini al Giro e Visentini che aiuta Roche al Tour. La corsa rosa comincia che meglio non si potrebbe immaginare: a Visentini il prologo, a Roche la crono in discesa dal Poggio (un’idea di Vincenzo Torriani e Bruno Raschi), alla Carrera la cronosquadre, e la maglia rosa che passa, con qualche imbarazzo, da Visentini a Roche. «Quei due, Visentini e Roche, stavano diventando davvero due galli nel pollaio – racconta Boifava (Da Merckx a Pantani di Beppe Conti, Graphot editrice) e così decidemmo che il leader l’avremmo scelto dopo il verdetto della crono di San Marino, poco oltre metà cammino, alla tredicesima tappa». A San Marino, 46 chilometri, Visentini si riprende il Giro: dà 1’11” a Tony Rominger, 1’20” a Lech Piasecki, addirittura 2’47” a Roche.

Patti chiari, amicizia lunga? Stavolta no. La tappa di Sappada è quella dell’alto tradimento. «Una giornata pazzesca – ricorda Boifava a Conti –. Roche in fuga in quel drappello che non tirava, ma aveva amici che provvedevano a farlo per lui». Boifava ordina a Roche di aspettare Visentini, Roche esita poi grida “no”. Invano dall’ammiraglia cercavo di tenere calmo Visentini – continua Boifava -. Se avesse reagito in mniera diversa, Roberto avrebbe ancora potuto vincere il Giro. Bastava mantenere la calma e organizzare la caccia. NNel finale c’era spazio per un buon recupero. Invece a Visentini saltarono i nervi. E addio sogni. Roche al traguardo di Sappada vestì la maglia rosa. In squadra c’era un clima pazzesco. Ricordo che una delle prime telefonate che ricevetti fu quella di Fiorenzo Mgni, che mi diede un gran morale. Mi disse, il grande Fiorenzo, che lui giornate simili con Coppi e Bartali ne aveva vissute tantissime e che non dovevo fare altro che stare sereno». Ma Visentini perde 8’ e la maglia rosa, e la situazione non si rasserena, Visentini cade nella tappa di Pila, si frattura un polso e abbandona, fra rimpianti e polemiche. La gente s’inviperisce, sulla strada quando passa Roche c’è chi insulta, chi agita i pugni, perfino la stampa italiana si accanisce contro di lui, e si dice che in squadra possa contare su un solo gregario, il belga Eddy Schepers. Invece “Stefanello” chiude in bellezza, vince anche l’ultima crono, quella di Saint Vincent, e si aggiudica il Giro davanti allo scozzese Robert Millar, all’olandese Erik Breukink, allo spagnolo Marino Lejarreta e al primo italiano, il bergamasco Flavio Giupponi. E il Tour non è meno avventuroso, incerto e ricco. Di episodi e di protagonisti. Roche vince la crono di Futuroscope, poi sulle Alpi in quattro giorni succede di tutto, cattura la maglia gialla a Villard de Lans, la perde sull’Alpe d’Huez, v in crisi a La Plagne, arriva al traguardo stravolto, perde i sensi, crolla a terra, gli applicano la maschera a ossigeno, eppure il giorno dopo è secondo nel tappone di Morzine. Finché il penultimo giorno, nella crono di Digione, sorpassa “Perico” Delgado e a Parigi trionfa, 40” sullo spagnolo. E non finisce qui. Perché al Mondiale di Villach, in Austria, lui, uomo da tre settimane, firma il capolavoro di un giorno. Sfrutta la rivalità fra Argentin e l’altro irlandese, Sean Kelly, anticipa tutti e due, non viene più raggiunto e vince in solitudine. Quindi, complice un ingaggio da un miliardo e 200 milioni di lire (600.000 euro, una cifra follemente alta, irrinunciabile), emigra alla spagnola Fagor. Gli altri anni, fino al 1993, non sono alla stessa altezza: bivacchi rispetto a quella vetta del 1987. Un ginocchio malconcio, una gamba più corta dell’altra, le tendiniti.


Il ritorno nella squadra di Boifava, gregario di lusso per Claudio Chiappucci, l’ultima grande vittoria al Tour, nella tappa di nebbia e montagna a La Bourbole, nel 1992., l’ultimo Tour corso “per divertimento” nel 1993. L’ultima vittoria, in un circuito proprio dopo quel Tour. Anche il coinvolgimento in un’inchiesta di doping legata al gruppo di Francesco Conconi, in cui figurano nomi in codice (Rocchi, Rossi, Rocca, Roncati, Righi e Rossini), lui che giura di non avere mai assunto epoe di non avere mai incontrato Conconi. Poi Roche fa di tutto: il pilota nei rally, l’albergatore, l’organizzatore di turismo ciclistico, il commentatore tv, il testimonial pubblicitario, l’uomo-simbolo, l’ambasciatore delle due ruote, il padre di un corridore – Nicolas – e lo zio di un altro corridore – Daniel Martin – che però non sono ancora riusciti a raggiungere i suoi traguardi. Sorridente, accogliente, competente. Quell’anno magico lo ha consegnato alla storia.
MARCO PASTONESI

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