Campione ferito


Era forte, baciato dalla classe. Meno dal carattere. Poteva vincere di più, ma un tradimento lo ha fatto smettere di pedalare


di CLAUDIO GREGORI, Giro d’Italia – La grande storia


La storia dello sport è piena di talenti inespressi: atleti che hanno ottenuto poco, o comunque meno di quanto fosse lecito aspettarsi in rapporto alle straordinarie doti naturali di cui madre natura li aveva generosamente dotati. Nel ciclismo un caso è quello di Roberto Visentini, corridore bresciano che ha gareggiato a cavallo degli Anni Settanta-Ottanta. Visentini aveva tutto per lasciare nel ciclismo la propria impronta di fuoriclasse. Invece si è dovuto accontentare di una carriera che si è fermata alle soglie dello sbarramento che divide gli ottimi corridori dai campioni. Colpa di due fattori, fondamentalmente. Il primo: Visentini è troppo bello. Il secondo: è cresciuto in una famiglia, se non proprio ricca, sicuramente benestante. Il papà era titolare di un’impresa di onoranze funebri a Gardone Riviera, sulla sponda bresciana del lago di Garda, e operava dunque in un settore in cui il lavoro non manca mai. La morte, in certi casi, è una garanzia di vita agiata per chi se ne occupa a questi livelli. Si tratta di due situazioni – il fascino e l’agiatezza – che per un comune mortale rappresenterebbero uno straordinario regalo della fortuna, ma rischiano di tramutarsi in un boomerang per chi ha scelto di praticare, a livello professionistico, un mestiere duro e sconciante come il ciclismo. La bicicltta, si sa, oltre alla fatica richiede privazioni e sacrifici che mal si conciliano con un tenore di vita di livello superiore alla media.

Fin da ragazzo Roberto Visentini non è uno che ama particolarmente la bicicletta. Ma è tanta la facilità con cui, pedalando, si toglie di ruota i suoi coetanei che gli viene spontaneo cominciare a correre. Vince tanto nelle categorie giovanili e lo fa con una naturalezza tale da non sentire nemmeno la fatica. Mentre i suoi avversari arrancano e sputano sangue, lui li mette in fila con irrisoria nonchalance. Da adolescente vince soprattutto in primavera e in autunno. Meno d’estate, perché sul Lago di Garda l’estate è un invito alla bella vita e alla trasgressione. Le turiste tedesche e danesi sono un’attrazione troppo ghiotta rispetto alla bicicletta. Roberto, oltretutto, è talmente bello da non doversi nemmeno dare da fare per rimorchiare: di solito sono le ragazze che vanno a cercare lui. Un po’ come il giovane Alberto Tomba, davanti alle cui camere d’albergo le fans facevano la fila. È una delle ragioni – meglio, la ragione – per cui da professionista Visentini ha disputato soltanto due volte il Tour, fornendo tra l’altro prestazioni incolori, pur essendo particolarmente tagliato per una corsa del genere. «E chi me lo fa fare di andare a far fatica in Francia quando nel mese di luglio si sta tanto bene qui sul lago?», era solito confidare agli amici più intimi. Difatti, al Tour chiude 49° nel 1985 e 22° nel 1988, risultati che fanno ridere per uno che, invece, al Giro d’Italia conquista una vittoria, un secondo posto e altri tre piazzamenti nei primi dieci.

Le 20 vittorie ottenute in 13 anni di professionismo sono dunque poco o nulla rispetto a quanto sarebbe stato lecito attendersi da uno che possiede le stimmate del fuoriclasse. Riguardo a qualità tecniche e atletiche, Visentini è quanto di più completo si possa immaginare. Il fisico, all’apparenza, non è un granché, ma dentro quei 64 chili distribuiti in un metro e 73 centimetri c’è davvero tutto: potenza, agilità, esplosività, resistenza alla fatica. E anche un senso della corsa, colpo di pedale, capacità di tirare i lunghi rapporti, intelligenza tattica. Va fortissimo a cronometro, va forte in salita, è coordinato, coraggioso, efficace in discesa. Fin da ragazzo lo portano a correre anche in pista, dove ottiene risultati di rilievo e contestualmente affina le proprie qualità di stile, compostezza, guida della bicicletta.

La sua carriera nasce subito sotto buoni auspici. Nel 1975 l’UCI vara la categoria degli Juniores (fino ad allora si passava direttamente dagli Allievi ai Dilettanti di terza serie) e Visentini, che ha compiuto da pochi giorni (il 2 giugno) i 18 anni, conquista la prima maglia iridata della storia imponendosi nell’edizione inaugurale del campionato del mondo che si disputa a Losanna. In pratica, una carriera che comincia dal gradino più alto. Piccolo particolare: la categoria degli Juniores in Italia verrà istituita solamente due anni dopo, nel 1977, per cui nel 1975 nelle corse italiane Visentini è Dilettante di terza serie e, in tale veste, si laurea campione d’Italia. Insomma: nello stesso anno campione d’Italia in una categoria e campione del mondo in un’altra. Due anni dopo, con la maglia della Mariani & Calì diretta dall’ex iridato Mino Denti, vince il campionato italiano a cronometro dei dilettanti e, nella stagione successiva, stacca la licenza da professionista. È il 1978 e Roberto ha da poco compiuto i 20 anni.

Ad ambientarsi tra i professionisti non ci mette molto. Al suo primo Giro d’Italia ottiene un buon quindicesimo posto nella classifica finale dopo essere giunto secondo in due tappe. Anno dopo anno scala posizioni al Giro: decimo, nono, sesto. Nel 1979 è campione d’Italia di inseguimento. Nel 1980 va a fare esperienza alla Vuelta e torna a casa con due vittorie di tappa. Poi al Giro indossa per sette giorni la maglia rosa. Vince un Giro del Trentino, un Trofeo Baracchi (con lo svizzero Gisiger), una Tirreno-Adriatico. Nel 1983 arriva addirittura a insidiare la vittoria di Saronni al Giro d’Italia: lo conclude in crescendo, al secondo psoto a poco più di 1’. Ma l’appuntamento col trionfo in rosa è soltanto rimandato. Nel 1986 non ce n’è per nessuno. Visentini vince per distacco a Potenza, dove Saronni balza in testa alla classifica. Sembra ripetersi il canovaccio del Giro 1983, ma questa volta le parti s’invertono: nella tappa di Foppolo il bresciano stacca definitivamente Saronni, conquista la maglia rosa e la porta fino al traguardo finale di Merano. Il bis in rosa sembra cosa fatta l’anno dopo: Visentini balza in testa alla classifica stravincendo la crono Rimini-San Marino. Si sente padrone del mondo, ma non si accorge che si sta scaldando la serpe in seno. L’irlandese Stephen Roche, suo compagno di squadra nella Carrera, gli tende l’imboscata nella tappa dolomitica di Sappada. Visentini va in crisi di nervi e smette praticamente di pedalare. Lì non termina solamente il suo sogno rosa, termina di fatto la sua carriera, a 30 anni da poco compiuti. La delusione è così tanta che, ancora oggi, passato oltre un quarto di secolo, Visentini non vuole più saperne di corse e di biciclette. Se volete, potete trovarlo alla scrivania di Onoranze Funebri Visentini, a Gardone Riviera: vi farà buona cera. A patto che non gli parliate di ciclismo.
CLAUDIO GREGORI

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