SEAN KELLY - RE di SPAGNA
Classiche, blasonate corse a tappe, maglie verdi… Il velocista per eccellenza Sean Kelly le ha vinte tutte. Poi, nel 1988, ha aggiunto un Grande Giro al proprio palmarès trionfando alla Vuelta. Cyclist gli chiede come ha fatto a portare a termine un’impresa probabilmente irripetibile
JAMES WITTS, Cyclist
Immaginate se Peter Sagan, il velocista più premiato della nostra epoca, riuscisse a dominare un Grande Giro non solo nelle galoppate finali delle tappe pianeggianti. Immaginatelo a scalare al fianco dei campioni la classifica generale, e a sbaragliare gli avversari nelle crono.
Oggi, sembra pura fantasia. Eppure 31 anni fa l’irlandese John James Kelly, detto Sean, ci è riuscito sfidando tutte le probabilità.
Tra il 1977 e il 1994, anno del suo ritiro, Kelly ha raccolto 193 vittorie, comprese quattro maglie verdi al Tour de France e dieci Classiche di un giorno.
Nella tarda primavera del 1988 il ciclista originario della Contea di Tipperary ha tagliato il traguardo a Madrid, dopo 3.425 km e 89 ore, 19 minuti e 23 secondi, trionfando alla Vuelta a España.
Il fisico di un velocista normalmente non si presta ad affrontare pendenze del 10% che durano più di un’ora. Ma allora come ha fatto quello che il leggendario telecronista irlandese Jimmy Magee ha definito “campione supremo” a coniugare velocità e resistenza per tre lunghe settimane?
Stile De Gribaldy
“Tutto merito di De Gribaldy”, ci dice Kelly, che oggi ha 62 anni. Ci troviamo a Saint-Lary-Soula nei Pirenei, ed è il secondo giorno di riposo della scorsa edizione del Tour de France. “Quando ho iniziato a correre ero un velocista puro, ma De Gribaldy mi disse che se fossi riuscito a perdere peso avrei potuto vincere anche le tappe di montagna. Aveva ragione”.
Jean De Gribaldy è stato una leggenda del ciclismo. Professionista per la Peugeot-Dunlop nel secondo dopoguerra, si ritira nel 1954 per poi riemergere dieci anni dopo come direttore sportivo del team Grammont. Aveva fama di grande scopritore di talenti, e lanciò corridori solidi come Joaquim Agostinho, facendoli entrare nel giro delle grandi competizioni.
Noto come “Il Visconte”, tempra di ferro dietro i modi brillanti e composti, nel 1976 fece entrare Kelly in una delle squadre più iconiche della storia, la Flandria.
“Partecipammo a un campo di allenamento e De Gribaldy mi squadrò e disse ‘Devi perdere peso’”, racconta Kelly. “Pesavo circa 80 kg. Mi disse che dovevo stare a dieta per un paio di mesi e quello per me fu il primo assaggio dei suoi metodi. Le porzioni si dimezzarono. Un piattino di zuppa e un pezzo di baguette da cui aveva perfino tolto la mollica perché diceva che ci volevano ore per digerirla. Ma ben presto funzionò, perché i chili se ne andarono eccome. Fu l’inizio della mia trasformazione da velocista a corridore da classifica generale”.
Il peso-forma di Kelly si assesta a poco più di 70 kg e nel 1978 si assicura la prima di cinque vittorie di tappa al Tour. Due anni dopo vince il primo dei suoi quattro titoli della classifica a punti della Vuelta e già che c’è termina quarto in classifica generale (ammette però che non ha mai puntato al primo posto).
Il 1982 conferma le previsioni di De Gribaldy: Kelly riporta la sua prima vittoria alla Parigi-Nizza, corsa a tappe di una settimana che vincerà per altri sei anni di fila. Vince anche il Tour de Suisse, la Vuelta al País Vasco e la Volta a Catalunya e indossa la maglia verde della classifica a punti ai Tour de France del 1982, del 1983 e del 1985.
Si porta a casa anche una manciata di classiche di un giorno come la Milano-Sanremo, la Parigi-Roubaix, la Liegi-Bastogne-Liegi e il Giro di Lombardia. “Mi sono anche classificato quinto al Tour del 1984 e quarto nell’edizione del 1985”, aggiunge. “Ero in grado di competere in un grande giro di tre settimane, ma vincerlo era un’altra storia”.
Il suo primo podio alla Vuelta giunge nel 1986: si classifica terzo, anche se con i 5 minuti e 19 secondi che lo separano dal primo, lo spagnolo Álvaro Pino, ne ha di strada da fare se vuole conquistare il posto più ambito.
Tra il 1986 e il 1988 Kelly corre per il team spagnolo Kas, e il suo boss Luis Knörr gli fa capire che deve vincere la Vuelta. De Gribaldy muore in un incidente d’auto nel gennaio del 1987, ma l’irlandese ricorderà sempre la sua lezione.
Così vicino eppure così lontano
Nel 1987 Kelly si gode una primavera relativamente tranquilla. Non vince neanche una classica, ma solo perché si concentra sempre più sulle corse a tappe e non perché non è in forma. “Allora la Vuelta si svolgeva da aprile a maggio”, racconta Kelly. “È anche per questo che ho fatto sempre molto bene. Non davo il meglio con le temperature estreme, e se la Vuelta si fosse svolta nel periodo in cui si svolge oggi, non avrei potuto competere. Perdevo potenza, con il caldo, soprattutto in quota”.
Durante la Vuelta del 1987 Kelly batte lo spagnolo Delgado e Laurent Fignon (due volte vincitore del Tour de France) nella prima tappa in linea, conquistando il primo posto in classifica generale. Poi sulle montagne perde la maglia per riacchiapparla grazie a una crono di 24 km sulle strade di Valladolid nella diciottesima tappa.
Mancano quattro tappe alla fine, e tutto sembra indicare che Kelly sarà il primo irlandese a vincere un Grande Giro.
Ma non è destino: nella tappa successiva – 214 km da El Barco de Avila ad Avila – dopo soli 14 km Kelly rinuncia, lasciando a Luis Herrera l’onore di diventare il primo colombiano a vincere un Grande Giro. La ragione? “Infiammazione del perineo causata da un foruncolo”, spiega Kelly, e non riesce a trattenere una smorfia al ricordo. “Mancava praticamente solo una grossa tappa di montagna ma ormai mi trascinavo quel dolore da sei giorni. Il team mi consigliò di mettere della carne cruda nei pantaloncini. Provai con pomate varie, ma quando resti in sella cinque ore al giorno, con il caldo e tutto, questo genere di problemi non passa. Peccato mollare dopo essermi tanto impegnato per due settimane e mezza, ma il dolore era insopportabile. Me ne tornai in Belgio e per dieci giorni non mi avvicinai alla bici, per motivi sia fisici che mentali”. Ma il tempo guarisce tutte le ferite, e un anno dopo Kelly – che di anni ne ha solo 32, la stessa età di Geraint Thomas al Tour de France del 2018 – non vede l’ora di finire quello che De Gribaldy aveva iniziato. L’aiuto di un amico La stagione 1988 inizia come è sempre iniziata a partire dal 1982: con il successo alla Parigi-Nizza.
Oggi, sembra pura fantasia. Eppure 31 anni fa l’irlandese John James Kelly, detto Sean, ci è riuscito sfidando tutte le probabilità.
Tra il 1977 e il 1994, anno del suo ritiro, Kelly ha raccolto 193 vittorie, comprese quattro maglie verdi al Tour de France e dieci Classiche di un giorno.
Nella tarda primavera del 1988 il ciclista originario della Contea di Tipperary ha tagliato il traguardo a Madrid, dopo 3.425 km e 89 ore, 19 minuti e 23 secondi, trionfando alla Vuelta a España.
Il fisico di un velocista normalmente non si presta ad affrontare pendenze del 10% che durano più di un’ora. Ma allora come ha fatto quello che il leggendario telecronista irlandese Jimmy Magee ha definito “campione supremo” a coniugare velocità e resistenza per tre lunghe settimane?
Stile De Gribaldy
“Tutto merito di De Gribaldy”, ci dice Kelly, che oggi ha 62 anni. Ci troviamo a Saint-Lary-Soula nei Pirenei, ed è il secondo giorno di riposo della scorsa edizione del Tour de France. “Quando ho iniziato a correre ero un velocista puro, ma De Gribaldy mi disse che se fossi riuscito a perdere peso avrei potuto vincere anche le tappe di montagna. Aveva ragione”.
Jean De Gribaldy è stato una leggenda del ciclismo. Professionista per la Peugeot-Dunlop nel secondo dopoguerra, si ritira nel 1954 per poi riemergere dieci anni dopo come direttore sportivo del team Grammont. Aveva fama di grande scopritore di talenti, e lanciò corridori solidi come Joaquim Agostinho, facendoli entrare nel giro delle grandi competizioni.
Noto come “Il Visconte”, tempra di ferro dietro i modi brillanti e composti, nel 1976 fece entrare Kelly in una delle squadre più iconiche della storia, la Flandria.
“Partecipammo a un campo di allenamento e De Gribaldy mi squadrò e disse ‘Devi perdere peso’”, racconta Kelly. “Pesavo circa 80 kg. Mi disse che dovevo stare a dieta per un paio di mesi e quello per me fu il primo assaggio dei suoi metodi. Le porzioni si dimezzarono. Un piattino di zuppa e un pezzo di baguette da cui aveva perfino tolto la mollica perché diceva che ci volevano ore per digerirla. Ma ben presto funzionò, perché i chili se ne andarono eccome. Fu l’inizio della mia trasformazione da velocista a corridore da classifica generale”.
Il peso-forma di Kelly si assesta a poco più di 70 kg e nel 1978 si assicura la prima di cinque vittorie di tappa al Tour. Due anni dopo vince il primo dei suoi quattro titoli della classifica a punti della Vuelta e già che c’è termina quarto in classifica generale (ammette però che non ha mai puntato al primo posto).
Il 1982 conferma le previsioni di De Gribaldy: Kelly riporta la sua prima vittoria alla Parigi-Nizza, corsa a tappe di una settimana che vincerà per altri sei anni di fila. Vince anche il Tour de Suisse, la Vuelta al País Vasco e la Volta a Catalunya e indossa la maglia verde della classifica a punti ai Tour de France del 1982, del 1983 e del 1985.
Si porta a casa anche una manciata di classiche di un giorno come la Milano-Sanremo, la Parigi-Roubaix, la Liegi-Bastogne-Liegi e il Giro di Lombardia. “Mi sono anche classificato quinto al Tour del 1984 e quarto nell’edizione del 1985”, aggiunge. “Ero in grado di competere in un grande giro di tre settimane, ma vincerlo era un’altra storia”.
Il suo primo podio alla Vuelta giunge nel 1986: si classifica terzo, anche se con i 5 minuti e 19 secondi che lo separano dal primo, lo spagnolo Álvaro Pino, ne ha di strada da fare se vuole conquistare il posto più ambito.
Tra il 1986 e il 1988 Kelly corre per il team spagnolo Kas, e il suo boss Luis Knörr gli fa capire che deve vincere la Vuelta. De Gribaldy muore in un incidente d’auto nel gennaio del 1987, ma l’irlandese ricorderà sempre la sua lezione.
Così vicino eppure così lontano
Nel 1987 Kelly si gode una primavera relativamente tranquilla. Non vince neanche una classica, ma solo perché si concentra sempre più sulle corse a tappe e non perché non è in forma. “Allora la Vuelta si svolgeva da aprile a maggio”, racconta Kelly. “È anche per questo che ho fatto sempre molto bene. Non davo il meglio con le temperature estreme, e se la Vuelta si fosse svolta nel periodo in cui si svolge oggi, non avrei potuto competere. Perdevo potenza, con il caldo, soprattutto in quota”.
Durante la Vuelta del 1987 Kelly batte lo spagnolo Delgado e Laurent Fignon (due volte vincitore del Tour de France) nella prima tappa in linea, conquistando il primo posto in classifica generale. Poi sulle montagne perde la maglia per riacchiapparla grazie a una crono di 24 km sulle strade di Valladolid nella diciottesima tappa.
Mancano quattro tappe alla fine, e tutto sembra indicare che Kelly sarà il primo irlandese a vincere un Grande Giro.
Ma non è destino: nella tappa successiva – 214 km da El Barco de Avila ad Avila – dopo soli 14 km Kelly rinuncia, lasciando a Luis Herrera l’onore di diventare il primo colombiano a vincere un Grande Giro. La ragione? “Infiammazione del perineo causata da un foruncolo”, spiega Kelly, e non riesce a trattenere una smorfia al ricordo. “Mancava praticamente solo una grossa tappa di montagna ma ormai mi trascinavo quel dolore da sei giorni. Il team mi consigliò di mettere della carne cruda nei pantaloncini. Provai con pomate varie, ma quando resti in sella cinque ore al giorno, con il caldo e tutto, questo genere di problemi non passa. Peccato mollare dopo essermi tanto impegnato per due settimane e mezza, ma il dolore era insopportabile. Me ne tornai in Belgio e per dieci giorni non mi avvicinai alla bici, per motivi sia fisici che mentali”. Ma il tempo guarisce tutte le ferite, e un anno dopo Kelly – che di anni ne ha solo 32, la stessa età di Geraint Thomas al Tour de France del 2018 – non vede l’ora di finire quello che De Gribaldy aveva iniziato. L’aiuto di un amico La stagione 1988 inizia come è sempre iniziata a partire dal 1982: con il successo alla Parigi-Nizza.
Settimane dopo Kelly vince per la
prima volta la Gand-Wevelgem. Gli
esperti lo considerano l’uomo da
battere in Spagna, anche se lui non la
vede così. “Erano i corridori della BH
quelli da battere”, dice riferendosi al
team spagnolo.
Come la Movistar nel 2018, la BH del 1988 poteva contare su un terzetto di ciclisti di primissima classe: Álvaro Pino (31), Anselmo Fuerte (32) e Laudelino Cubino (24). Pino aveva vinto la Vuelta nel 1986, mentre Fuerte era reduce da un’ottima primavera. Ma sarà il più giovane Cubino a mettersi in evidenza, conquistando la maglia del leader nelle prime fasi della gara e conservandola fino alla quattordicesima tappa, vinta dal velocista olandese Mathieu Hermans.
Un tempo Kelly avrebbe tenuto d’occhio Hermans per batterlo nella classifica velocisti, ma adesso mirava alla classifica generale. E quindi doveva evitare di perdere terreno in salita e correre inutili rischi negli sprint. Per questo gli serviva l’aiuto di un amico. “Quelli della BH erano particolarmente bravi sulle montagne”, ricorda Kelly. “Il mio problema era la mancanza di sostegno da parte del team, così ne parlai con Robert Millar, che correva per la Fagor-MBK. Gli chiesi di fare l’andatura se mi fossi trovato in difficoltà o se il team BH avesse attaccato. Fu molto gentile, accettò… e non ci fu nessun passaggio di denaro!”.
“Me lo ricordo bene”, conferma Philippa York (Robert Millar prima di cambiare sesso). “Arrivò l’auto del team, mi dissero di non aiutarlo, io dissi ‘Perché?’ e loro risposero ‘Perché preferiamo che Kelly perda’. Ce l’avevano con gli stranieri che vincevano la loro gara, anche se Sean correva per un team spagnolo. Io lo aiutai comunque”.
Gli storici del ciclismo ricorderanno la famigerata “Vuelta rubata” del 1985: la vittoria di Millar sembrava garantita, poi ci fu l’attacco di Pedro Delgado e del connazionale José Recio – attacco che i direttori di gara tennero nascosto a Millar – che permise a Delgado di guadagnare più di sei minuti e il comando della corsa nella penultima giornata.
All’epoca Millar dichiarò a L’Equipe: “Avevo tutti contro. Doveva vincere uno spagnolo. Non correrò più in Spagna”. “Nel 1988 però la ragione della mia scelta non fu quella”, spiega York. “La Fagor era un team terribile. Quell’anno non avrei neanche dovuto correrla, la Vuelta, ma Stephen Roche rinunciò per un problema al ginocchio. Non mi fidavo di nessuno. Fu per questo che aiutai Kelly: per rabbia”.
Preparazione perfetta
È così che l’irlandese si ritrova a breve distanza dal leader della gara, Fuerte, nella penultima tappa, una crono di 30 km da Las Rozas a Villalba. Con la sua fama di corridore forte capace di lunghe fughe in solitaria, Kelly era uno dei migliori cronometristi in circolazione. “Ero nervosissimo”, ci racconta. “Avevo cercato di superare l’ansia restando fedele alle mie abitudini. La sera prima andai a dormire alla solita ora, mi feci una bella dormita. Mi ero studiato il percorso, lo avevamo anche fatto in auto. Così mi preparai, presi una pasticca di caffeina e mi presentai alla partenza. Nei primi chilometri di una cronometro sai già se sei in giornata. Per fortuna fu così”.
Kelly vinse la tappa e si ritrovò con un vantaggio di due minuti su Fuerte. Finalmente, più di dieci anni dopo il pronostico di De Gribaldy, ce l’aveva fatta a vincere un Grande Giro di tre settimane. Festeggiò, quella sera? Neanche un po’. “Nessuna grande festa. Una semplice cena con una quindicina di persone del team Kas e pochi altri colleghi. La vera festa fu dopo, a casa, a Carrick-on-Suir”.
Fu la sua unica vittoria in un Grande Giro, e arrivò nella sua ultima stagione alla Kas, che si sciolse dopo la morte di Knörr durante il Tour de France di quell’anno. Il passaggio alla PDM riaccese le speranze di una vittoria al Tour, ma Kelly non riuscirà a fare meglio del quarto posto conquistato nel 1985.
“Le occasioni ci furono, ma c’era sempre una tappa di montagna in cui soffrivo”, racconta Kelly. “Non ho rimpianti, ma con il senno di poi è l’unico appunto che ho da fare al ‘metodo Gribaldy’: correvo troppo e agli inizi di luglio ero sempre stanco. Comunque avevo iniziato come velocista e ho finito per vincere un Grande Giro, un risultato fantastico”.
Nel 1988 Kelly vinse anche la classifica a punti: la mitica doppietta oggi è realizzabile?
“Mi sa proprio di no”, risponde deciso. “Oggi il ruolo di un corridore è più definito. Le classiche sono molto più competitive e le corse a tappe molto più difficili. Prendiamo la Parigi-Nizza: oggi il percorso è molto più brutale. In fin dei conti ho avuto la fortuna di correre in un’epoca in cui potevo sfruttare il mio eclettico talento”.
Come la Movistar nel 2018, la BH del 1988 poteva contare su un terzetto di ciclisti di primissima classe: Álvaro Pino (31), Anselmo Fuerte (32) e Laudelino Cubino (24). Pino aveva vinto la Vuelta nel 1986, mentre Fuerte era reduce da un’ottima primavera. Ma sarà il più giovane Cubino a mettersi in evidenza, conquistando la maglia del leader nelle prime fasi della gara e conservandola fino alla quattordicesima tappa, vinta dal velocista olandese Mathieu Hermans.
Un tempo Kelly avrebbe tenuto d’occhio Hermans per batterlo nella classifica velocisti, ma adesso mirava alla classifica generale. E quindi doveva evitare di perdere terreno in salita e correre inutili rischi negli sprint. Per questo gli serviva l’aiuto di un amico. “Quelli della BH erano particolarmente bravi sulle montagne”, ricorda Kelly. “Il mio problema era la mancanza di sostegno da parte del team, così ne parlai con Robert Millar, che correva per la Fagor-MBK. Gli chiesi di fare l’andatura se mi fossi trovato in difficoltà o se il team BH avesse attaccato. Fu molto gentile, accettò… e non ci fu nessun passaggio di denaro!”.
“Me lo ricordo bene”, conferma Philippa York (Robert Millar prima di cambiare sesso). “Arrivò l’auto del team, mi dissero di non aiutarlo, io dissi ‘Perché?’ e loro risposero ‘Perché preferiamo che Kelly perda’. Ce l’avevano con gli stranieri che vincevano la loro gara, anche se Sean correva per un team spagnolo. Io lo aiutai comunque”.
Gli storici del ciclismo ricorderanno la famigerata “Vuelta rubata” del 1985: la vittoria di Millar sembrava garantita, poi ci fu l’attacco di Pedro Delgado e del connazionale José Recio – attacco che i direttori di gara tennero nascosto a Millar – che permise a Delgado di guadagnare più di sei minuti e il comando della corsa nella penultima giornata.
All’epoca Millar dichiarò a L’Equipe: “Avevo tutti contro. Doveva vincere uno spagnolo. Non correrò più in Spagna”. “Nel 1988 però la ragione della mia scelta non fu quella”, spiega York. “La Fagor era un team terribile. Quell’anno non avrei neanche dovuto correrla, la Vuelta, ma Stephen Roche rinunciò per un problema al ginocchio. Non mi fidavo di nessuno. Fu per questo che aiutai Kelly: per rabbia”.
Preparazione perfetta
È così che l’irlandese si ritrova a breve distanza dal leader della gara, Fuerte, nella penultima tappa, una crono di 30 km da Las Rozas a Villalba. Con la sua fama di corridore forte capace di lunghe fughe in solitaria, Kelly era uno dei migliori cronometristi in circolazione. “Ero nervosissimo”, ci racconta. “Avevo cercato di superare l’ansia restando fedele alle mie abitudini. La sera prima andai a dormire alla solita ora, mi feci una bella dormita. Mi ero studiato il percorso, lo avevamo anche fatto in auto. Così mi preparai, presi una pasticca di caffeina e mi presentai alla partenza. Nei primi chilometri di una cronometro sai già se sei in giornata. Per fortuna fu così”.
Kelly vinse la tappa e si ritrovò con un vantaggio di due minuti su Fuerte. Finalmente, più di dieci anni dopo il pronostico di De Gribaldy, ce l’aveva fatta a vincere un Grande Giro di tre settimane. Festeggiò, quella sera? Neanche un po’. “Nessuna grande festa. Una semplice cena con una quindicina di persone del team Kas e pochi altri colleghi. La vera festa fu dopo, a casa, a Carrick-on-Suir”.
Fu la sua unica vittoria in un Grande Giro, e arrivò nella sua ultima stagione alla Kas, che si sciolse dopo la morte di Knörr durante il Tour de France di quell’anno. Il passaggio alla PDM riaccese le speranze di una vittoria al Tour, ma Kelly non riuscirà a fare meglio del quarto posto conquistato nel 1985.
“Le occasioni ci furono, ma c’era sempre una tappa di montagna in cui soffrivo”, racconta Kelly. “Non ho rimpianti, ma con il senno di poi è l’unico appunto che ho da fare al ‘metodo Gribaldy’: correvo troppo e agli inizi di luglio ero sempre stanco. Comunque avevo iniziato come velocista e ho finito per vincere un Grande Giro, un risultato fantastico”.
Nel 1988 Kelly vinse anche la classifica a punti: la mitica doppietta oggi è realizzabile?
“Mi sa proprio di no”, risponde deciso. “Oggi il ruolo di un corridore è più definito. Le classiche sono molto più competitive e le corse a tappe molto più difficili. Prendiamo la Parigi-Nizza: oggi il percorso è molto più brutale. In fin dei conti ho avuto la fortuna di correre in un’epoca in cui potevo sfruttare il mio eclettico talento”.
IL REGNO DI RE KELLY
Alcuni momenti salienti di una carriera che conta 193 vittorie
1956 - Il 24 maggio nasce
John James
“Sean” Kelly
1976 - Si fa notare
vincendo il Piccolo
Giro di Lombardia.
1977 - Entra nel team
Flandria e vince
la sesta tappa
del Tour de France
1980 - Conquista il
quarto posto nella
classifica generale
della Vuelta e vince
due tappe del
Tour de France
1982 - Vince la Parigi-Nizza
(il primo di sette
titoli consecutivi)
e primeggia nella
classifica a punti
del Tour de France
1983 - Vince il suo primo
Giro di Lombardia
e poi si assicura
i suoi primi Tour de
Suisse e Criterium
International
1984
Vince la ParigiRoubaix,
la LiegiBastogne-Liegi
e quattro corse
a tappe. È quinto
al Tour de France
1985 - È quarto in classifica
generale al Tour de
France e conquista
per la terza volta
la maglia verde
1986 - Vince la sua
seconda Parigi/
Roubaix. Arriva
terzo alla Vuelta,
vincendo per
la terza volta la
classifica a punti
1987
Vince la sua terza
Vuelta al País Vasco e
il suo terzo Criterium
International. Alla
Vuelta è in testa ma
deve abbandonare
quando mancano
solo tre tappe
1988
Vince per l’ultima
volta la Parigi-Nizza.
Poi è primo alla
Gand-Wevelgem
prima di trionfare
finalmente
alla Vuelta
1989
Vince la Coppa del mondo di
ciclismo su strada, la
sua seconda Liegi-Bastogne-Liegi,
e
per la quarta e ultima
volta la classifica a
punti del Tour
1991 - Vince per la terza
volta il Giro
di Lombardia
1992 - Celebra la sua
nona e ultima
vittoria in una classica monumento conquistando per la seconda volta
la Milano-Sanremo
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