MAESTRI DI CALCIO - Guttmann, la vita è Béla


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di CHRISTIAN GIORDANO ©, Guerin Sportivo ©
Rainbow Sports Books ©

Se è vero che le cose d’oltreoceano sbarcano in Europa una decina d’anni dopo, al Benfica possono rassegnarsi: la Champions League non tornerà cosa loro ancora per molte stagioni.

Nel 1918 a Boston scattò, implacabile, “The Curse of the Bambino”, la Maledizione che Herman Ruth lanciò ai Red Sox, franchigia locale del baseball professionistico, quando il boss Harry H. Frazee lo cedette ai New York Yankees. Senza di me non vincerete più le World Series, disse "The Babe", e per 86 anni - ottantasei! - le Calzette Rosse non conquisteranno più il titolo, sfumato per quattro volte su quattro in Gara7, e sempre in circostanze a dir poco rocambolesche.

Nel 1962 analogo anatema lo lanciò ai rossi di Lisbona l’allenatore che li aveva appena portati alla seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Senza di me non la rivincerete più, disse. E infatti le Aquile hanno perso 5 finali su 5: due a Wembley, 1-2 dal Milan nel 1963 e 1-4 contro il Manchester United nel 1968; 0-1 a San Siro con l’Inter nel 1965; 6-5 ai rigori a Stoccarda con il PSV Eindhoven nel 1988 e ancora contro il Milan, 0-1 a Vienna nel 1990. 

Figlio di istruttori di danza ebrei ungheresi, Béla Guttmann nasce a Budapest il 13 marzo 1900. A 20 anni è in prima squadra nel glorioso MTK Budapest (l’attuale MTK Hungária), club di proprietà di facoltosi grossisti ebrei nel quale si rivela centromediano di ottima classe, tecnica sopraffina e un’eleganza sì innata ma affinata da un diploma, preso a 16 anni, di ballerino classico. L’altra sua grande passione, assieme al pallone, che però non gli impedisce di conseguire una laurea all’università di Budapest in scienze economiche. 

Il tecnico Marton Bukovi lo promuove titolare quando Ferenc Nyul passa agli ebrei rumeni dell’Hagibor Cluj. L’MTK vince 2 campionati e, a cavallo tra i due successi, e lui debutta in nazionale. Il 5 giugno 1921 Kiss Gyula lo schiera nell’amichevole vinta 3-0 con la Germania e Guttmann lo ripaga segnando, al 29’, il gol del 2-0).

Sembra l’abbrivo di una lunga storia d’amore e invece si esaurisce in 4 appena uscite: Béla torna in campo con la selezione magiara il 18 maggio 1924 a Zurigo nella sconfitta (4-2) contro la Svizzera. Le altre presenze le colleziona nella rappresentativa olimpica che a Parigi ’24 supera il turno preliminare (5-0 alla Polonia) prima di uscire, a sorpresa, contro l’Egitto (0-3).

Guttmann è un giocatore affermato ma in patria il calcio, ormai un fenomeno popolare (al suo esordio nell’Ungheria, c’erano 30 mila spettatori), è visto come lo sport della borghesia ebrea decadente. Due squadre, il piccolo Tòrekves (dove era entrato a 17 anni) e il grande MTK, ne sono fra le espressioni più riconoscibili. Inoltre, circolano le prime avvisaglie dell’antisemitismo del regime di Miklos Horthy.

Quando Guttmann viene cercato dal relativamente opulento campionato professionistico austriaco, il copione è scontato: Béla passa all’Hakoah di Vienna, club-simbolo dell’ebraismo applicato al pallone ben più di quelli attuali, e piuttosto “scoloriti”, Maccabi Tel Aviv e Hapoel Haifa in Israele, l’Ajax in Olanda e, perlomeno un tempo, il Tottenham Hotspur in Inghilterra. 

Come tutti i “simboli”, specie quelli sportivi, essi diventano e restano tali se mietono successi e l’Hakoah li ottiene grazie a giocatori quali Jozsef Eisenhoffer, Sándor Fabian, Richard Fried, Max Gold, Max Grunwald, Jozsef Grunfeld, , Alois Hess, Moritz Hausler, “Fuss” Heinrich, Norbert Katz, Alexander Nemes-Neufeld, Egon Pollak, Max Scheuer, Alfred Schoenfeld, Erno Schwarz, Joseph Stross, Jacob Wagner e Max Wortmann.

Gli autoproclamatsi “Imbattibili ebrei” viaggiano e vincono molto: in Palestina, Romania, Polonia, Lettonia, Lituania e Inghilterra, dove nel 1923, allenati dallo scozzese Billy Hunter, ex di Bolton e Millwall, avevano battuto 5-0 il West Ham (sconfitto 0-2 proprio dal Bolton nell’ultimo atto della Coppa d’Inghilterra, la celebre Finale del cavallo bianco), un successo che destò sensazione, prima ancora che per il punteggio, perché a livello di club era la prima sconfitta a domicilio dei “maestri” inglesi. E che il sodalizio viennese fosse un simbolo extrasportivo lo testimonia quanto scritto, in occasione della trasferta berlinese, da una pubblicazione specializzata: l’Hakoah «aveva contribuito a distruggere la favoletta dell’inferiorità fisica degli ebrei».

Il 17 aprile 1926 al porto di New York attracca il Berengaria, piroscafo di linea (così nominato in omaggio alla regina d’Inghilterra, figlia del re di Navarra Sancio VI e moglie di Riccardo “Cuor di Leone”). A bordo, ci sono squadra e dirigenti dell’Hakoah, invitata per una tournée americana con cui raccogliere fondi per la causa sionista.

Davanti ai 46.000 del Polo Ground (record battuto solo dai Cosmos nel ’77), i viennesi perdono 0-3 contro una selezione della American Soccer League. Poco dopo, Guttmann e altri dell’Hakoah firmano per i New York Giants della ASL.

Dopo due stagioni (83 gare e due gol), Béla lascia i Giants per entrare negli Hakoah All-Stars, selezione formata da ex giocatori della casa madre emigrati negli Stati Uniti. Nel 1929, in 20.000 stipano il Dexter Park di Brooklyn per la finale della Open Cup tra i newyorkesi dell’Hakoah e il Madison Kennel di St. Louis, battuto 3-0.

Dopo la tournée in Sud America del ’30, lascia le “stelle” dell’Hakoah per un breve passaggio nel New York Soccer Club prima di tornare all’ovile nella primavera del 1931.

L’anno successivo, dopo 176 partite nella ormai prossima al fallimento ASL, rientra in Austria. Nel ’33 si ritira e comincia una seconda carriera che ne farà uno dei tecnici più preparati, vincenti e innovativi di sempre.

L’avventura in panchina inizia all’Hakoah e, con una buona parola del Ct austriaco Hugo Meisl, prosegue in Olanda, firmando per tre mesi col Twente Enschede. Béla ottiene un grosso premio in caso di conquista del titolo, e quando la squadra – partita per salvarsi – sembra a un passo dal vincere il campionato, accadono sconfitte misteriose, pare indotte dallla dirigenza preoccupata della bancarotta. L’anno dopo è all’Újpest Dozsa di Budapest, che porta subito al titolo nazionale. Miracolosamente scampato all’Olocausto (che gli uccise il fratello maggiore), vive «con l’aiuto di Dio» e nel biennio 1947-48 cura la parte atletica al Kispest, club dell’omonimo quartiere della capitale, dalle cui ceneri nasceranno la grande Honvéd e quindi la grande Ungheria di Gusztáv Sebes in panchina e del fuoriclasse Ferenc Puskás in campo.

Dal padre del Colonnello, Guttmann eredita la guida tecnica della squadra ma, a differenza del predecessore, non ha figli (alla lettera) né figliastri. In tal senso, un aneddoto la dice lunga sul tecnico e sull’uomo. Nell’intervallo di una partita, Guttmann sta per sostituire un difensore ma Puskás junior fa cenno al compagno di restare in campo.

Il tecnico non fa una piega, lascia la panchina e sale in tribuna, dove si accende un sigaro e legge una rivista di corse dei cavalli. A fine gara scende negli spogliatoi e si dimette, fedele al suo motto: «Kuscht der Star, kuscht die Mannschaft», liberamente traducibile con “controlla la stella e il gruppo seguirà”. Avevo perso il rispetto da parte della squadra, dirà congedandosi prima di tornarsene a casa in tram.

Quel rispetto, figlio di un carisma e di una signorilità naturali, lo ritrova in Italia, dove rinnova la tradizione aperta dagli ebrei ungheresi Ging, Feldmann, Hirzer (uno dei più forti stranieri visti alla Juventus prima dell’avvento del girone unico), Arpád Veisz e allena dal ’49 al ’56: Padova, Triestina, Milan, Lanerossi Vicenza (28 partite).

Con i patavini si salva (decimo posto) ma la squadra, che per esigenze di bilancio ha rimpiazzato la punta inglese Charles Adcock con l’argentino José Osvaldo Curti e schiera in porta la matricola jugosolava Zvanko Monsider, va in crisi nel finale. Il 26 aprile ’50 perde 4-0 a Torino contro la Juventus e Guttmann si dimette. Lo sostituirà il rientrante Pietro Serantoni, che l’anno prima ha lasciato la panchina per motivi di salute. Nei due tornei successivi è alla Triestina come successore di Nereo Rocco, ma al 15° posto del primo anno seguono solo 11 giornate del secondo, perché lo sostituisce Mario Perazzolo. Dopo 9 giornate del campionato 1953-54, dall’11 novembre, è al Milan, dove subentra all’esonerato Arrigo Morselli (che faceva coppia con il DT Antonio Busini). La squadra non ha più Gren, Burini e Annovazzi e i volti nuovi Sørensen, Bergamaschi, Piccinini e Moro non bastano ad andare oltre il terzo posto, a 7 punti dall’Inter (campione con 51) e a 6 dalla Juventus. Il Milan ’54-55, il primo del neopresidente Andrea Rizzoli, figlio dell’editore Angelo, vince lo scudetto ma lo fa senza Guttmann che, si pensa ma non si dice, litiga con il grande acquisto Juan Alberto Schiaffino (dal Penarol) e forse altre star. Trascinata da Nordahl promosso capitano e dai nuovi arrivi Cesare Maldini (avuto a Trieste) e Eduardo Ricagni, oriundo argentino, la squadra parte a razzo (9 vittorie e un pareggio in 10 giornate). La squadra è prima quando due sconfitte all’inizio del girone di ritorno, complice la squalifica di Schiaffino, costano la panchina a Béla, rimpiazzato dall’ex allenatore in seconda Héctor (Ettore) Puricelli. Il clamoroso esonero avrà una risibile spiegazione nell’esasperata rigidezza tattica del tecnico, cui tocca la fine fatta l’anno prima da Alfredo Foni sull’altra sponda dei Navigli. 

Nel ’55 avviene una tragedia dalle ripercussioni imprevedibili. In macchina con il connazionale Istvan (Deszo) Solti, sorta di GM-ombra assunto e subito licenziato dall’Inter di Moratti padre, ha un incidente automobilistico nel quale perdono la vita due bambini.

Nel ’57, per sfuggire al processo e alla probabile prigione, sale sul primo aereo per il Brasile. In due settimane si accasa al São Paulo del 35enne Zizinho, che trascina i suoi al titolo paulista (3-1 al Corinthians nella finale del 9 dicembre). Nei biancorossoneri gioca anche José Carlos Bauer, ex centromediano della Seleção ai Mondiali del ’50 e del ’54.

Nella primavera del ’60, da tecnico del Ferroviario al ritorno da una tournée nel Mozambico, sarà lui a segnalare a Guttmann, nel frattempo approdato sulla panchina del Benfica, un promettente 18enne locale di nome Eusébio. Altro che voci sentite dal parrucchiere, come vuole la leggenda.

La prima stagione portoghese di Béla è però al Porto, che nel 1958-59 perde (1-0) proprio con i rivali storici la finale della coppa nazionale. Il 25 agosto firma per le Aquile, che gli danno carta bianca. Licenzia 20 giocatori e chiede solo due acquisti: Germano in difesa e José Augusto all’ala. Poi promuove in prima squadra i giovani Neto e Cruz.

Con i rossi vince tutto ciò che si può vincere in patria, e conquista per due volte il massimo trofeo continentale. La prima, senza la Pantera nera. Si narra che fu Guttmann ad architettarne il “rapimento”, facendo prelevare Eusébio all’aeroporto di Lisbona per bruciare sul tempo gli emissari dello Sporting. Il mozambicano (costato 20.000 dollari) fu spedito in un villaggio di pescatori nell’arcipelago dell’Algarve e convinto a firmare. Per il Benfica. 

Lo squadrone che, con Costa Pereira in porta, Mario Coluna in regia e Jose Aguas in attacco, aveva sorpreso 3-2 a Berna il Barcellona di Kubala, Kocsis, Suárez e Czibor, con l’aggiunta di Eusébio e dell’ala sinistra Mario Simoes si ripete (5-3) ad Amsterdam con il Real Madrid di Santamaria, Di Stéfano, Puskás e Gento. Guttmann, ancora una volta fa centro, adattando il modulo agli uomini che aveva a disposizione; e regalando spettacolo tanto da far dire a Nicolò Carosio, durante la telecronaca: «Questo sì che è calcio, non come in Italia, dove ci sono punte, mezze punte e puntine da disegno».

Quell’anno, per motivi di salute (che continuavano dall’infarto patito nella finale col Barcellona) Maurício Vieira de Brito lascia la presidenza. Il successore, António Carlos Cabral Fezas Vital, dura un anno ma fa in tempo a far danni tirando sul bonus da corrispondere all’ungherese. Oltre ai 400 contos l’anno di stipendio più i 150 per la conquista del campionato e i 50 per la coppa nazionale, tra l’ilarità dei dirigenti gliene erano stati promessi 300 (100 in più di quanto richiesto) per la vittoria in Coppa dei Campioni. Tira e molla e alla fine la Coppa gli frutta 4000 dollari in meno del campionato. Per l’ungherese, che già si era legata al dito la pessima organizzazione della trasferta Intercontinentale del ’61 contro il Peñarol (1-0 in casa, 0-5 fuori), da lì alla Maledizione il passo è breve. 

Lunghissima, invece, è la trasvolata necessaria per raggiungere il suo nuovo approdo, in Uruguay, proprio ai gialloneri di Montevideo, con i quali in due stagioni vince il campionato. Poi arrivano la consulenza alla nazionale austriaca, gli svizzeri del Servette, i greci del Panathinaikos, le minestre riscaldate di Benfica e Porto e una stagione da Dt all’Austria Vienna.

A 74 anni, il “buen retiro” nell’appartamento sulla Walfischgasse, vicino al teatro. Fino alla fine, arrivata il 28 agosto 1981 nella capitale austriaca, la vera casa di un cittadino del mondo che ha vissuto come in un romanzo e che di fisso, Maledizione a parte, ha avuto solo un pensiero: insegnare calcio. Il “suo” calcio, un sapido mix tra scuola danubiana, ritmi nordeuropei e furbizia latina.

CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo


DAI BALCANI ALLE ANDE
LA FAVOLA DEL 4-2-4
Nel Milan del quinto scudetto (1954-55) Béla Guttmann applica un 4-2-4 ancora embrionale che muta fisionomia tattica rispetto quello, ricalcato sul WM inglese, campione d’Italia nel 1950-51 sotto un altro giramondo ungherese, Lajos Czeizler. Il trio svedese Gre-No-Li perde Gren, al suo posto Schiaffino, Liedholm arretra in mediana per Annovazzi e Sørensen, erede di Burini, va a far legna. La diagonale Liedholm-Schiaffino, sostenuta dai rientri di Ricagni, rifornisce in attacco Nordahl e Frignani, successore di Renoso. Davanti a Buffon (zio della bandiera juventina Gianluigi), i terzini Silvestri e Zagatti, sostituto di Bonomi, e gli eredi della coppia centrale Tognon-De Grandi: il tecnico Cesare Maldini e il duttile Bergamaschi. 

L’esperimento riesce meglio al São Paulo campione paulista nel 1957 (nella foto) e soprattutto nel Benfica campione d’Europa 1962. Guttmann trova un Tricolor in difficoltà e allora protegge il portiere Poy e la retroguardia (De Sordi e Mauro esterni; Sarará, Vitor e Riberto centrali) schierando un secondo marcatore accanto al centrale; in avanti carta bianca a Maurinho, Amauri, Gino, Zizinho e Canhoteiro. Per la prima volta una squadra brasiliana gioca con 4 difensori “veri”, 3 centrocampisti e 3 attaccanti. È l’alba del 4-2-4 “elastico” con cui il Brasile di Vicente Feola vincerà il mondiale di Svezia 58, con la finta ala sinistra Mário Zagallo pronto a rientrare in aiuto alla mediana. 

Al Benfica, Béla corregge con sano realismo europeo l’impostazione “brasiliana” di Otto Glória. La presenza, accanto al centravanti José Águas (padre d’arte di Rui) di un secondo uomo-gol quale Eusébio lo convince a insistere sui frequenti ripiegamenti delle ali. A destra José Augusto diventa un centrocampista aggiunto, a sinistra António Simões, con le volate sulla fascia e i cross dal fondo, è il principale rifinitore. Le chiavi del gioco le ha Mário Coluna, con Germano regista difensivo e i mediani, Domiciano Cavém e Fernando Cruz, a protezione dei terzini Mário João e Ângelo e del grande portiere Alberto da Costa Pereira. 

Il calcio arioso e collettivo di Guttmann è semplice: «O pasa-repassa-chuta são indispensáveis para chegar ao golo. Marca e desmarca. Se a bola não é nossa, marca. Se a bola é nossa, desmarca. Este é o principio fundamental do futebol!». Passare e ri-passare è indispensabile per arrivare al gol. Marcare e smarcarsi. Se la palla non è nostra, marca. Se lo è, smarcati. Il principio fondamentale del calcio è tutto qui. 
(chgiord)


La scheda di BÉLA GUTTMANN
Nato: 13 marzo 1900, Budapest (Ungheria); deceduto a Vienna (Austria) il 28 agosto 1981.
Ruolo: centromediano.
Club da giocatore: MTK Budapest, Hakoah Vienna (Austria), New York Giants (USA, American Soccer League, 1926-28), Brooklyn Wanderers (USA, Eastern League, 1928-29), New York Soccer Club (USA, ASL, 1929-30), Hakoah All-Stars (USA, ASL, 1931-32), FC Vienna (Austria), Twente Enschede (Olanda, 1933-34), Chinezul Tmisoara (Romania), Újpest Dosza, Kispest-Honvéd.
Palmarès da giocatore: 2 Campionati ungheresi (1920-21, 1921-22), 1 Campionato austriaco (1924-25), 1 Open Cup (1929).
Esordio in Nazionale: Budapest, 5 giugno 1921, Ungheria-Germania 3-0.
Presenze (reti) in Nazionale: 4 (1).
Club da allenatore: Twente Enschede (1937-38), Újpest Dosza (1938-39), Dinamo Bucarest (1945), Vasas Budapest (1945), Cikanul (Romania), Kispest-Honvéd (1946-48), Padova (1948-49), Triestina (1950-51), Boca Juniors (Argentina, 1952), Quilmes (Argentina, 1953), Milan (1953-55), Lanerossi Vicenza (1955-56), selezione di esuli ungheresi in Brasile e Venezuela (1956), São Paulo (Brasile, 1957), Porto (Portogallo, 1958-59; 1973-74), Benfica (Portogallo, 1959-62; 1965-66), Aarhus (Danimarca), Peñarol (Uruguay, 1962-64), Servette (Svizzera, 1966-67), Panathinaikos (Grecia, 1967-68).
Palmarès da allenatore: 1 Coppa dell’Europa centrale (1939), 2 Campionati ungheresi (1939, 1947), 1 Campionato italiano (1955), 1 Campionato paulista (1957), 2 Campionati portoghesi (1960, 1961), 2 Coppe dei Campioni (1961, 1962), 1 Coppa del Portogallo (1962), 1 Campionato uruguayano (1964) In nazionale da supervisore: Ungheria (1949-51), Portogallo (1962)
Club da Dt: Austria Vienna (1973-74).


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