BONIPERTI - di Gianni Brera
di GIANNI BRERA - I mondiali di calcio
Nasce in casa del podestà di Barengo, antica rocca longobarda sul primo ondularsi delle colline novaresi dominate dal Monte Rosa.
Lo chiamano Gian Piero come esige la moda del momento (ultimi anni Venti). Il podestà di Barengo si chiama Agapito, in onore di uno dei santi protettori di Novara. Possiede un bel fondo coltivato a riso e vigneti, che è il massimo pensabile di completezza per una "possion" (da possessione, ovviamente). Gian Piero è l'ultimo dei suoi figli, il "caroeu". Prima di lui, una sorella destinata a laurearsi in "Cattolica"; un fratello che lo precederà al Collegio Rosmini di Arona e studierà medicina.
Il "caroeu" folleggia per le frisone e le brune alpine della stalla, per i cavalli che, meno goffi e grevi dei tiratori di carro, vengono attaccati al bilancino della carrozza padronale, qualcosa di molto simile a un "fiacre". Padre Agapito ha nel sangue i vizi gloriosi degli agricoltori di schiatta gallo-ligure-lombarda: gli piace camminare sul suo con la schioppetta a tracolla. In pianura frullano capricciosi i beccaccini; sui costoni piantati a vigna, le starne del volo teso e fulmineo. Il "caroeu" di Agapito ne eredita i vizi insigni. Il primo pallone non lo commuove quanto il fuciletto Flobert con il quale, undicenne, può farsi la prima lepre.
Con il pallone, di acchito, si rivela capoccia. Il pallone è suo ma non basterebbe: comanda nel gioco del calcio chi è più bravo. Il futuro campione si delinea per un taccagno appena normolineo, le gambe non tanto corte da passare tra i brevilinei, non tanto sottili da mancar di potenza. Il piede è tozzo come esige la battuta ideale. Suo lodevole puntiglio è toccare di sinistro come istintivamente ha toccato, subito bene, di destro.
Nonché ammirarlo, il fratello Gino gli dà la baia. Più alto, più agile, Gino parrebbe nato per il calcio. In collegio, per quanto si sa, spadroneggia. Ma basta ordinargli di giocare perché gli scappi ogni voglia. E verrà un giorno che gliel'ordineranno. Il padre è in odore di ex gerarchetto. I partigiani sono calati dai monti e fanno le bucce a tutti. Agapito ha solo una colpa reale: quella di aver fatto scrivere a grandi lettere sullo spogliatoio del campo sportivo: "Onorate l'arbitro". Che il vento sia mutato non lo spaventa più che tanto. Però, via, se i figlioli giocassero nel Barengo, come invocano i nuovi dirigenti, la simpatia della gente verrebbe riconquistata a suon di gol.
Gino è già in età di evasioni nei dancing dei dintorni. È agiato, biondo e di gentile aspetto. Ha fatto divinamente a pedate in collegio ma non se ne esalta. Accetta di giocare nel Barengo a patto che centravanti sia Gian Piero e lui ala. La gente è assiepata ai margini. Correndo lungo l'out, il manigoldo adocchia le ragazze per il ballo serale: conversa con loro in attesa di lanci per i quali valga la pena di correre...
Gian Piero, piccoletto, non pensa ancora alle ragazze e al ballo. Il calcio lo esalta (in effetti si può delirare). Il ricorrente miracolo del gol lusinga il suo egotismo di capoccia vocato a primeggiare. Lo vede De Maria al Novara e lo vorrebbe. I genitori nicchiano. I suoi fratelli sono alla laurea e lui fatica a finire agrimensura (la guerra gli ha impedito di iscriversi al liceo). Prima che De Maria la spunti, il medico di Barengo segnala il giovincello a Felice Borel, allenatore della Juventus. Lo chiamano a provare.
Ci va trepidando (e proprio perché il medico s'impone al padre restio). Borel lo mette al centro d'una formazioncina di ragazzi.
Vede come si muove sulla palla, come la tratta e dribbla e batte con i due piedi. Subito se ne entusiasma al punto da chiamare i grandi a vedere l'ultima sua scoperta. I grandi rispondono ai nomi di Piola, Parola, Sentimenti, Rava. Il biondino di Barengo li esilara per l'estrema naturalezza con cui semplifica i fondamentali: arresto, dribbling, tiro; sinistro e destro a volo sui cross dall'ala. Quando viene Cesarini a sostituire Borel, Pierin Boniperti è già iscritto ad agrimensura in una scuola torinese e si sta per diplomare come piccola borghesia comanda. I vecchi hanno consentito il suo trasferimento a Torino anche perché Gino vi frequenta medicina. Cesarini è enfatico al modo di ogni sudamericano che si rispetti. Per lui, il vecchio Piola può anche andare a nascondersi. IL nuovo Meazza è nato con civiltà borghese alle spalle, ginocchia non vaccine e titolo di studio. Cesarini intriga un po' tutti con l'ultimo suo pupillo. Vittorio Pozzo lo fa esordire appena diciottenne in Nazionale. Sarà in occasione del disastro di Vienna (1947): e proprio a lui capiterà di sbagliare la prima palla gol. Gli interni sono Piola e Mazzola (Valentino); le ali Biavati, un rudere, e Carapellese, egli pure esordiente. La squadra è malamente combinata: in centrocampo corre solo uno su quattro (il citato Mazzola); a Cochi Sentimenti segnano due o tre gol di lontano.
L'esordio non lascia tracce nell'animo d'un ragazzino così fortunato e pimpante. Il conte Gianni Agnelli costruisce la prima grande Juventus del dopoguerra e i vecchi emigrano tutti ad eccezione di Parola. L'edizione 1949-50 è da tuoni e fulmini. Boniperti centravanti è il giusto mezzo fra due attaccanti squisitamente latini, Muccinelli e Martino, e due altri di statura e scuola scandinave; John Hansen e Praest. Muccinelli arresta a tenere il centrocampo e Giacomino Mari si trasforma in stopper centrale, così liberando Parola alle sue spalle.
Il gioco della squadra è di classe mondiale. Eppure, nessuno ne individua il modulo tattico, tanto meno i tecnici ufficiali. Il campionato viene rivinto dopo quindici anni. Boniperti, ventenne, è già un idolo: e segnerebbe il doppio se John Hansen non fosse più egotista di lui.
Pedatore di ventura, dunque? Padre Agapito non ci vorrebbe credere. Pierin è soprattutto fedele alla caccia e alla cascina. Quando Gianni Agnelli parla di premi, lui cerca utili diversivi tra le frisone delle sue grandi stalle modello. "Non darmi denaro - dice al presidente - lasciami rifare la bergamina a mio padre". il conte si interessa di calcio per puro snob (come il suo amico Lanza di Trabia a Palermo). L'idea che un pedatore gli chieda in premio una vacca lo stupisce non poco. Né sta a far calcoli: sia. E il lunedì, tornando in macchina a casa, Pierin passa per la modernissima fattoria del padrone e sceglie al primo sguardo: "Vedi caso," rivelerà più tardi il conte, ormai divenuto capo indiscusso della FIAT e finanziere di statura mondiale, "vedi caso, la scelta di Pierin cadeva regolarmente su una vacca giovane e in attesa d'un vitellino...".
Quando Gianni Agnelli (ancora molto playboy) si stanca di calcio, la Juventus decade. Boniperti e castano rimangono soli a difenderne il prestigio. vecchi barbogi della critica piemontese le vietano gli adeguamenti tattici che consentono alle milanesi di trionfare per anni. Pierin si prende buone rivincite in Nazionale, ma la situazione è grave anche da quelle parti. Che l'Inter vinca usando Blason come battitore libero e l'ala destra Armano come terzino non dice molto più di nulla. In fondo, Alfredo Foni non fa che riprendere il modulo della Juventus 1950, ma guai a parlarne in certe sedi. Il catenaccio viene additato quale protervo fomite d'ogni delitto di leso calcio.
Pierin non è più centravanti quando gli Agnelli ritornano in Juventus con Umbertino. La Vecchia Dama è stata abbastanza umiliata dai "borghesi" perché rientrino in pompa magna i padroni. Vengono acquistati Charles e Sivori. Pierin è interno ma ancora un tantino afflitto dagli estri di primadonna. O non lo chiamava giusto Marisa il meno dotato Lorenzi, suo diretto rivale nell'Inter? Pura invidia, se si vuole, e anche stupore per un "borghese" che pedalava inter plebeos. Io sono amico di Pierin e non di Lorenzi, il cui gioco mattocchio non m'incanta. Pierin usa impostare l'azione e rientrarvi: ma pretendere che aspettino lui, tipi come Charles e Sivori, è pura follia. Con i ragazzini di Puppo, tutto era lecito: qui, altra musica.
Vado a Biella e vedo la nuova Juve in precampionato. Si straccia tutta in avanti; pratica un disinvolto anzi autolesionisti WM inglese. Prenderà molti gol, mi arrischio a scrivere. E pochi giorni dopo, a Bologna, viene infilata sei volte.
"Guanta la maglia", usano esclamare in circostanze del genere i marinai: "ferma tutto". Io riprendo pari pari il discorso di Biella e chi mi dà subito retta è "Mobiglia" Ferrario, tornato in Juve a fare lo stopper. "Arresta Emoli sul centravanti, scrivo a Pierin, e gioca tu stesso in linea con Colombo". Pare niente, se si resta alle parole, invece è tutto. Nasce così il gran regista Pierin Boniperti, rinasce la Juventus dominatrice del campionato. Omar Sivori, solipsismo inguaribile, schiuma rabbia. Non lui è protagonista del gioco, bensì Boniperti in centrocampo e Charles in attacco.
L'estroso Omar Sivori è il più straordinario opportunista d'area che si conosca. Basta lanciare comunque alto a "King" John perché ricada la palla sul suo piedino maligno. La primadonna Boniperti esige ancora che il gioco passi da lui ma non pretende più di rientrare in azione per il gol. Il livello tecnico del regista juventino è all'altezza dei favolosi Baloncieri, Meazza, Ferrari, Valentino Mazzola. Quando prevarrà Omar Sivori, nella lotta per il potere, si tenterà di escludere Boniperti dal crogiolo del gioco mandandolo all'ala. Assisterà sornionamente agli errori degli altri: verrà di nuovo chiamato a interno ma finirà di impegnarsi Omar Sivori.
L'ennesima grande Juventus è finita quando si ritrova nelle sue file Boniperti ormai vecchiotto. Decide allora di anticipare di qualche anno il ritiro. Sivori rimane solo e affonda. Il furbo e avveduto Boniperti assiste da fuori: si dice anche faccia voto di mai più toccare con i piedi una palla se il buon Dio gli farà la grazia di potere aver figli. Questa grazia gli viene finalmente concessa. Proprio come Agapaito, padre Pierin ha tre figli, di cui una femmina. I maschietti di Pierin giocano nei pulcini della Juventus. Il più grandicello ha già vinto un torneo internazionale a Nizza. Interrogato sull'avvenire calcistico dei rampolli,
Interrogato sull'avvenire calcistico dei rampolli, il presidente della Juventus e fattore di Casa Agnelli (per le immense tenute agricole) ha stirato la gran bocca a salvadanaio in un sorriso che non ha mancato di sfiorargli le orecchie, ha scosso il capo e con aria sorniona ha detto: "Eh, non hanno la mia rabbia". Come se lui, povero in canna, fosse venuto da Barengo ringhiando calcio. Che dannate primedonne, questi campioni.
GIANNI BRERA
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