LA CATTIVA LUNA DI LUIS OCAÑA


di SIMONE BASSO 
Sport e Cultura - venerdì 18 giugno 2021

Era l’anno del Signore 1971.

Tutti i Tour sono piccole opere d’arte ma quella Grande Boucle andò oltre. Fu di una bellezza crudele, selvaggia, che ci ricorda quanto la vita si ostini a ricalcare le vicende di una corsa ciclistica.

Quell’anno si era arrivati a fine giugno con una situazione ben definita: il ciclismo professionistico stava subendo, scontando, la fase più oppressiva del Merckxismo.

Eddy Merckx si stava sbranando tutto e, soprattutto in Francia e in Italia, la crisi era evidente.

Gli sponsor non avevano quasi più interesse a partecipare al giochino, monopolizzato dal Cannibale e, per i resti rimasti a tavola, da una ciurma di fiamminghi.

L’andamento stagionale, sinfonico, esemplificava il concetto: l’orco del Brabante aveva vinto Giro di Sardegna, Parigi-Nizza, Milano-Sanremo, Het Volk, Giro del Belgio, Liegi-Bastogne-Liegi, Henninger Turm, Delfinato, Midi Libre e G.P. Camaiore… Una dittatura.

Però al Dauphiné Libéré, durante la Grenoble-Annecy, qualcuno vide che l’impossibile era realizzabile.

Quel pomeriggio Luis Ocaña staccò in salita Eddy Merckx, che si salvò solamente grazie a Giove Pluvio: il temporale, primo segnale del tifo sfacciato degli Dei verso il figlio prediletto.

Luisito correva per una squadra francese, la Bic, e aveva la Francia nel destino. Gli Ocaña infatti emigrarono, scappando dalla miseria e dalla fame, e trovarono casa oltrepassando i Pirenei.

Lo spagnolo di Mont-de-Marsan, nato a Priego di Cuenea otto giorni prima della sua nemesi, era un fuoriclasse.

Personaggio complesso, dalle passioni torride e illogiche, orgoglioso e fragile allo stesso tempo, incapace di gesti che rasentassero la normalità, agonistica ed esistenziale.

Aveva il temperamento e lo sguardo del torero e le caratteristiche tecniche di un hors catégorie della pedivella.

Straordinario sul passo e a cronometro, come testimoniano nel palmarès anche il G.P. delle Nazioni e il Trofeo Baracchi, irresistibile in montagna. Dove faceva la differenza in progressione (alla Fausto Coppi), mostrando potenza e stile.

Un campione dal sangre caliente, fin troppo.

All’esordio nei pro' dovette disciplinarsi: alla Vuelta 1968 andò all’attacco a ogni frazione, prima di ritirarsi stremato dopo una decina di tappe…

Non era un fulmine allo sprint e ciò lo penalizzò nelle classiche di un giorno ma, viste le potenzialità quasi illimitate, furono due i fattori che canalizzarono e limitarono la carriera dell’hidalgo iberico: la sfortuna e Merckx.

«Forse l’unica cosa che possedeva di più del carattere era la cattiva sorte».

Incidenti, una serie infinita.

Tanto che le centodieci vittorie del suo carnet furono poche rispetto ai numeri e alla cilindrata esibiti.



La vulgata popolare esprime in Gimondi l’anti-Merckx per eccellenza, in verità il grande Felice non impensierì (quasi) mai lo strapotere del belga; che invece temette Ocana al pari di nessun altro.

Luis era l’unico che non subiva il carisma del Cannibale e di questa teoria il Tour de France 1971 rappresentò la testimonianza più autentica.

Merckx, fortissimo, aveva uno squadrone (Herman Van Springel, Joseph Bruyère, Roger Swerts, Jos Huysmans eccetera) che lo supportava facendo sempre la corsa giusta.

Eliminavano gli scalatori in pianura, mettevano in difficoltà i passisti in salita.

Eppure proprio ragionando sull’armata-Molteni, in gruppo (quelli frustrati dall’asso pigliatutto) capirono che il primo passo per isolarlo era coalizzarsi. Attaccarlo a turno, l’ideale per far saltare il banco.

Il prologo al giorno più lungo fu la Nevers-Puy de Dôme quando Ocana (nella nebbia) mollò la maglia gialla a quattro chilometri dalla vetta.

Il nove luglio, la mattina della Grenoble-Orciéres Merlette, le squadre di Ocana e Merckx fecero una trentina di chilometri di riscaldamento.

Tappa cortissima (134 km) e bastarda. C’era nell’aria l’odore acre del golpe. I coordinatori erano Raphael Geminiani, diesse di Joaquim Agostinho, e Maurice de Meur, tecnico Bic.

Il caldo insopportabile, amico di Ocana, fu il presagio alla guerra sull’asfalto.

Sulla Cote de Laffrey, appena dopo il via, scattarono prima Agostinho e poi Luis; ai due si unirono Joop Zoetemelk e Lucien Van Impe.

Gosta Petterson arrivò a cento metri dai fuggitivi ma non riuscì ad agganciarsi, Merckx abbozzò una reazione ma, stranamente, non proseguì nel tentativo.

Ocana tirò come una moto, dietro della Molteni rimasero solamente in tre: Re Edouard, Huysmans e Marinus Wagtmans.

All’inizio del Col du Noyer il torero lasciò i compagni di fuga e cominciò il volo. Settantasette chilometri di assolo, una follia che mise in ginocchio il despota.

Trasformò la frazione in una corrida nella canicola, in un corpo a corpo a distanza, che distrusse Merckx.
Una cavalcata leggendaria, un exploit mostruoso.

All’arrivo precedette di 5’52” Van Impe; il campionissimo belga affondò a quasi nove minuti.

Con la Brive-Agen del 1951 di Hugo Koblet fu la più grande impresa nella storia del Tour de France.

La giuria, vista l’eccezionalità dell’evento, decise di salvare i corridori usciti fuori tempo massimo: ben sessantotto (!), dal trentanovesimo sul traguardo in poi...


Una giornata di riposo e, apparentemente innocua, la Orcières Merlette-Marsiglia.

Guillaume Driessens, il capoclan-Molteni, concepì la trappola forzando alcune alleanze: dopo la Caporetto alpina fece capire a mezzo plotone che i contratti dei criterium agostani dipendevano soprattutto dalle lune del “suo” Eddy.

Alla partenza, in discesa, Wagtmans accese la miccia. Ocaña, di giallo vestito, rimase indietro inconsapevole del tranello. 

Fuggirono in quindici, la prima ora di gara fumata oltre i cinquanta di media, con la pancia rivolta alla strada. 

Il Cannibale guidò la riscossa, Ocaña (furente) rispose da par suo. 

Per oltre duecento chilometri si svilupparono due gigantesche cronometro a squadre. Il treno Molteni-Peugeot-Scic-Goudsmit da una parte, quello Bic-Fagor dall’altra. 

A Marsiglia anticiparono di quasi due ore la tabella oraria, bruciando i 251 km del percorso ai 46,272 km/h.

Luciano Armani batté un generoso (…) Merckx, un Ocaña fenomenale riuscì a limitare lo svantaggio, abbuoni inclusi, a 2’12”.

Rimanevano 7’34” da difendere nella classifica generale.

Perse solo undici secondi nella crono di Albi, ma capì che Merckx avrebbe fatto di tutto per ribaltare il verdetto di Orciéres Merlette.

La Revel-Luchon, con la promessa dell’ennesimo attacco belga, divenne drammaticamente decisiva.

Il caldo opprimente, una tensione insopportabile nel gruppo.

Ai piedi del Portet d’Aspet il cielo nero preparò lo scenario dantesco. 

Merckx scattò più volte, ma Ocana lo seguì senza cedere un metro.

Sulla cima del Col de Mente, raggiunto Cyrille Guimard, il Cannibale si tuffò in una discesa da kamikaze.

Pareva notte, il nubifragio si abbattè sulla sfida: il manto stradale fu invaso da un torrente di acqua e fango.

Dopo una curva Merckx sbandò ma rimase in piedi, Ocana cadde contro un muretto. Mentre si rialzò fu travolto da Zoetemelk, Vicente Lopez Carril e Agostinho.

Il sogno giallo di Luis Ocaña finì all’ospedale di Saint-Gaudens, con due vertebre incrinate e il morale a pezzi.

«Mi sono sentito morire. Ho pensato a mio padre, a mia moglie, ai miei figli».

Eddy, bulimico ma gentiluomo, a Luchon si rifiutò di vestire la maglia di leader.

Poi continuò con il regolamento di conti verso i cari inferiori: si impegnò in ogni volata per togliere la maglia verde a Cyrille Guimard, uno dei grandi animatori della fronda regicida.

Alla fine della fiera a Parigi, sulla pista di Vincennes, almeno la metà del pubblico accolse Merckx fischiandolo.


Luis continuò a coltivare la sua ossessione, patologica.

Abitava in una bella casa con la moglie Josianne e i figli, Jean Louis e Sylvie.

Con due cani che decise di chiamare con lo stesso nome. 
“Eddy, vieni a mangiare!”
“Eddy, a cuccia!?”

Il 1972 sembrò l’anno della rivincita. Lungo la discesa dell’Aubisque fu arrotato dal compagno di squadra Alain Santy, nella prima tappa sulle Alpi ebbe seri problemi di respirazione. Dovette ritirarsi per una broncopolmonite.

Nel 1973, finalmente, trionfò al Tour. Ma non c’era Merckx e allora, ad ogni occasione, si mise a correre contro il suo fantasma.

Monopolizzò la contesa già sul pavè di Querenaing; vinse contro il tempo a Thuir e a Versailles.

Dominò in salita ovunque: a Gaillard, a les Orres con un’impresa pazzesca, nel tappone pirenaico di Luchon, sul Puy de Dôme. Finì con gli avversari dispersi: Bernard Thevenet, secondo, a quasi sedici minuti; José Manuel Fuente, terzo, oltre i diciassette, Zoetemelk, quarto, a ventisei e mezzo.

Poi cominciò, presto, il declino atletico.

L’ultima istantanea alla Festa di Luglio fu nel 1976, nell’edizione caratterizzata dal solleone africano.

Nella frazione decisiva alimentò, prima del Pla d’Adet, il tentativo vincente di Lucien Van Impe. Fu un atto di amicizia, l’ultimo, verso il direttore sportivo del grimpeur di Mere, Guimard, antico sodale di mille battaglie.


“… Yo nacì en mala luna. 
Tengo la pena de una sola pena que vale màs que toda la alegrìa…”

“… Nacqui sotto una cattiva luna. 
Porto la pena di una sola pena che vale più di tutta l’allegria…”

(Miguel Hernàndez)


Un destino tragico lo ha sempre accompagnato.

Nel 1983 si ribaltò con il furgone della sua azienda agricola: si temette per la vita, perse l’uso dell’occhio sinistro.

Aveva investito tutti i guadagni nella produzione di Armagnac ed era orgoglioso di quella magione, abbellita anche grazie al suo vecchio mestiere di ebanista. Ebbe guai finanziari dopo tre raccolti disastrosi ma li superò.

Nell’ultimo periodo cominciarono pure gli attriti con la moglie.

Si sentì male e andò dal medico per un controllo approfondito: gli fu diagnosticato un tumore al fegato.

Giovedì 19 maggio 1994, alle 13.30 di una giornata di sole, Luis Ocaña osservò lo splendore dei trenta ettari di vigneti della sua tenuta.
Prese da un cassetto una rivoltella e se la puntò alla tempia.
Lasciò scritto che le sue ceneri fossero sparse tra Francia e Spagna, le terre dei suoi successi e delle sue maledizioni.

Ci vengono in mente, indelebili, due frammenti dell’irripetibile Tour del ’71.
La fotografia di Luis, disperato e dolorante, nella tempesta del Col de Mente.
L’immagine (meravigliosa) dell’atleta imbattibile di Orcières Merlette, nel dì della gloria assoluta ed effimera.

“Se si potesse rifare, se potessi ripartire nel Tour e morire alla fine, 
se qualcuno potesse propormi quel contratto, io firmerei a due mani”.
(Luis Ocaña)

SIMONE BASSO
Pubblicato (01/07/2011) da Indiscreto






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