ADRIE VAN DER POEL E IL GIRO DELLE FIANDRE 1986 VINTO 34 ANNI PRIMA DEL FIGLIO MATHIEU
articolo di Nicola Pucci
Oggi che è d’attualità lo sterminato talento di Mathieu Van der Poel, recente vincitore del Giro delle Fiandre, è d’obbligo ricordare, per chi ancora non ne fosse al corrente, che il campioncino olandese non solo è figlio d’arte di Adrie, ma dal papà, proprio sulle strade della Ronde Van Vlaanderen, ha ereditato il testimone per una vittoria che tra quelle mura domestiche fu già degnamente celebrata nel 1986.
Adrie Van der Poel nasce a Bergen op Zoom, nel Brabante Settentrionale, il 17 giugno 1959, ed appartiene a quella generazione di corridori che hanno fatto grande l’Olanda nelle corse in linea a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Come Hennie Kuiper, Gerrie Knetemann e Jan Raas, campioni del mondo nel 1975 a Yvoir, nel 1978 al Nurburgring e nel 1979 a Valkenburg, e come Joop Zoetemelk, che iridato lo sarà, 39enne, nel 1985 al Montello.
Van der Poel è veloce ed ha uno spiccato senso tattico, il che gli permette di sbagliare raramente quando ha la vittoria a portata di pedale, e visto l’attitudine ai muri fiamminghi e alle strade lastricate di pavé, così come l’abilità nello scavalcare le cotes, è il prototipo perfetto, o quasi, del cacciatore di classiche. Ancor più considerato che neppure le lunghe arrampicate gli sono indigeste, tanto da salire ben due volte sul podio al Giro di Lombardia, che storicamente ha il tracciato più esigente, terzo nel 1983 e secondo nel 1985, sempre battuto da Sean Kelly. E come vedremo tra poco, la sfida con l’irlandese si rinnoverà anche nelle classiche del nord Europa.
L’olandese passa professionista nel 1981 in seno alla DAF Truckes, e che sia destinato a lasciar traccia è già chiaro con i successi in una tappa della Parigi-Nizza (chiusa poi al secondo posto alle spalle di Stephen Roche) e sul traguardo di St. Etienne al Giro del Delfinato, già mettendosi in evidenza alla Freccia Vallone quando solo il belga Daniel Willems è più svelto di lui all’arrivo. E dal primo anno tra i “grandi” a quando non appenderà la bici da strada al chiodo (già, perché Adrie è poi anche un eccellente crossista, con un titolo mondiale nel 1996 e ben cinque piazze d’onore, oltre alla Coppa del Mondo nel 1997), Van der Poel mette in bacheca un numero congruo di vittorie di prestigio.
Nel 1982, ad esempio, si impone al Campionato di Zurigo bruciando in volata un plotoncino di sette corridori tra cui Miro Panizza, nel 1983 fa suo il Gran Premio Scherens, nel 1984 anticipa tutti sul traguardo di Ancona alla Tirreno-Adriatico, e nel 1985, tra i dieci trionfi stagionali, colleziona Freccia del Brabante, Gran Premio d’Isbergues, Clásica di San Sebastián e Parigi-Bruxelles, confermando, caso mai ce ne sia il bisogno, che nelle corse in linea è davvero un brutto cliente per tutti.
Ovviamente, Van der Poel, che corre ora per la Kwantum, strizza l’occhiolino alle classiche-monumento, e se può già vantare numerosi piazzamenti (settimo nel 1986 alla Milano-Sanremo, sesto nel 1983 e nono nel 1985 alla Parigi-Roubaix, settimo nel 1983 alla Liegi-Bastogne-Liegi e, appunto, i due podi al Giro di Lombardia, dove è anche sesto nel 1984), tra cui il secondo posto al Mondiale del 1983 corso cul circuito svizzero di Altenrhein che celebra la prima vittoria iridata di Greg Lemond, ecco che per il 6 aprile 1986 ha in serbo il colpo che lo introduce tra i grandi del ciclismo. Perché quello è il giorno della classica che più di ogni altra stuzzica gli appetiti di belgi ed olandesi, la Ronde Van Vlaanderen, ovvero il Giro delle Fiandre.
Si parte, come sempre, dalla storica piazza di Sint-Niklaas, per 275 chilometri che portano all’arrivo di Meerbeke, e due corridori su tutti si spartiscono il pronostico, Eric Vanderaerden, l’enfant-du-pays che ha vinto l’anno prima e guida la corazzata Panasonic che ha in Eddy Planckaert una validissima alternativa, e proprio Sean Kelly, secondo nel 1984 beffato da Johan Lammerts e che da sempre insegue il successo su quei muri leggendari. Saranno 13 le asperità-carogne da scavalcare, a cominciare dal Molenberg, per proseguire con l’Oude Kwaremont, il Paterberg con impennate al 20%, il terribile Koppelberg che obbligherà più d’un corridore a mettere piede a terra e, dulcis in fundo, il Muur, o Grammont che dir si voglia, che come al solito avrà il compito, posto a 22 chilometri dalla meta, di definire la vicenda agonistica.
E se tra i papabili alla vittoria ci sono anche due campionissimi delle corse a tappe quali Greg Lemond e Laurent Fignon, oltre al “vecchio” Francesco Moser giunto all’ultima recita in una classica che spesso ha sfiorato ma mai ha fatto sua, ecco che il Koppenberg, a 72 chilometri dall’arrivo e dopo che Vanderaerden ha provato l’allungo sul Paterberg, screma in avanti un plotone di sette battistrada (Vanderaerden, Eddy Planckaert e Johan van der Velde della Panasonic, Bauer e Lemond de La Vie Claire, Kelly della Kas e Sergeant della Lotto, a cui si accodano dopo il Berg ten Houte Jonkers, Van den Haute e Rudy Dhaenens), dal quale, dopo che è stato rintuzzato un tentativo di Lemond, a 33 chilometri dall’arrivo, evadono Planckaert (già davanti a tutti sul Vecchio Kwaremont ma poi appiedato da una foratura ed aiutato a rientare sul gruppo di testa da van der Velde, e che questa gara la vincerà due anni dopo, nel 1988) e il canadese Steve Bauer. Il corridore nordamericano, che veste i colori de La Vie Claire di Bernard Tapie e che può contare sull’appoggio dello stesso Lemond che gli copre le spalle, semina il compagno d’avventura proprio sulle rampe più arcigne del Grammont, ma su di lui, che al passaggio alla Chapelle de Notre-Dame d’Oudenberg aveva 50″ di vantaggio, ai -7 km. rientrano Kelly, Van der Poel che ha inseguito negli ultimi 60 chilometri di corsa, e Jean-Philippe Vandenbrande, luogotenente dell’ex campione del mondo Claude Criquielion alla Hitachi (che a sua volta vincerà il Fiandre dodici mesi dopo). E saranno questi quattro atleti a giocarsi la vittoria in volata, perché il primo gruppo inseguitore, di cui fa parte Bruno Leali in maglia Carrera, naviga con un ritardo di 30″ e non ha le forze per ricucire lo strappo.
E così, allo sprint, Kelly, fresco di successo alla Milano-Sanremo, che sarebbe il più veloce dei quattro e si sente tanto forte da abbordarlo in testa, pecca di presunzione, e se Bauer è rapido ma non quanto i due rivali più accreditati e Vandenbrande gioca il ruolo di quarto incomodo, ecco che dalla ruota dell’irlandese sbuca fulmineo Van der Poel, che dopo le due sconfitte al Giro di Lombardia non vuol davvero saperne di perdere ancora, ed è infine il più lesto nel tagliare per primo il traguardo.
Adrie si garantisce un personalissimo posticino nell’albo d’oro dei grandissimi del pedale, perché è questa l’eredità lasciata da una vittoria al Giro delle Fiandre, ma se saprà esser degno del suo status di campione con la “C” maiuscola per le corse di un giorno vincendo anche la Parigi-Tours nel 1987, la Liegi-Bastogne-Liegi nel 1988 e l’Amstel Gold Race nel 1990 (hai detto poco!), ecco che buon sangue non mente. Ciclista vincente e padre fiero di un certo Mathieu che 34 anni dopo, a far data 18 ottobre 2020 (slittamento di calendario causa Covid-19), pure lui alzerà le braccia al cielo sul traguardo della Ronde. Perché è lì che il buon corridore diventa fuoriclasse. E i due Van der Poel, babbo e figlio, fuoriclasse lo sono di certo.
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