Stefano Allocchio - In viaggio con Papa


Hotel Roma
Cervia (Ravenna), lunedì 27 agosto 2018

- Allora, Stefano Allocchio, ti chiamo Stefano o devo chiamarti “Papa”?

«Sì, sì: Stefano. No, no, no…».

- Mi racconti, perché questa cosa del Papa che mi ha colpito…

«Quella del Papa è una stupidata perché noi ci chiamavamo tutti con dei nomignoli, no? E “il Papa” è nato perché nell’87, quando ero alla Supermercati Brianzoli-Château d’Ax, l’allora fornitore di divise nostro aveva fatto un cappellino, non invernale, per la pioggia, con il paraorecchie, anche, no? Allora un giorno eravamo in allenamento io, Volpi e Bugno e io ho messo… iniziava a piovere e ho messo questo cappellino qua, era rosso, non era bianco eh, tra l’altro…».

- Un rosso… cardinalizio… [ridiamo, nda]

«Sì, e quello lì era il periodo che il papa Woytjla andava a sciare, era un tipo di cappello con quello e allora hanno iniziato a dire: assomigli al Papa, al Papa, al Papa, allora han iniziato a chiamarmi il Papa».

- Te l’ha messo Volpi questo nick?

«Sì, Volpi e Bugno mentre eravamo in allenamento, han iniziato a ridere, quindi eravamo anche in salita, poi va bè poi ci son tanti… tanti nomignoli però anche adesso, ci incontriamo, il Papa o “Pipino” o il “Fariseo”, ce ne son tanti, il “Commissario” Saligari. Ce ne son tanti, ecco».

- Chi erano il Pipino e il Fariseo?

«Pipino era Volpi, era sempre magrolino… Fariseo era [Alberto] Elli. Ma tutti quelli del nostro gruppo, che ci allenavamo lì da noi, in Brianza, ecco… Quindi avevamo tutti il nostro nomignolo, cioè tutte queste robe qua…».

- Cominciamo invece con te col ciclismo. I tuoi genitori avevano un bar, quindi non eri in una famiglia umilissima…

«No…».

- Come ci sei arrivato al ciclismo?

«Mah, io ci sono arrivato per caso. Perché il vicino di casa che abitava sopra di me era appassionato di ciclismo e andava in bicicletta. Io era un periodo che avevo litigato, giocavo a pallone, avevo litigato con l’allenatore, così…».

- Tifi ancora Inter sì?

«Sì-sì-sì. Quello… Guarda, si possono cambiare…».

- Te lo chiedo in un giorno un po’ difficile…

«No, va bè, guarda, si possono cambiare mogli, fidanzate, macchine, ma la fede dell’Inter rimane sempre».

- Perché avevi litigato con l’allenatore?

«Perché mi faceva giocar poco. Io tra l’altro l’anno prima avevo vinto la classifica cannonieri, così, e da lì ho detto, ve bè, a Natale ho detto: Guarda, ti lascio la borsa, me ne vado».

- Ma a che livello parliamo?

«Ero allievo, sedici anni. No, io ho iniziato tardi a correre in bicicletta».

- E avevi già il fisicone così?

«Sì, sì sì ero già bel… Non ero così perché ero proprio magrolino, poi nell’andare del tempo col ciclismo sono diventato un po’ massiccio. E allora, da lì, d’inverno non sapevo cosa fare, questo mio amico: ma dai perché non esci in bicicletta? E ho iniziato a uscire in bicicletta. Mio padre aveva una vecchia Bianchi, ma…».

- Da corsa?

«Sì, ma proprio…».

- …un catorcio?

«Un catorcio di quelli, ma quelli proprio che non si potevano vedere… E da lì è iniziato con lui, a uscire con lui, lui tra l’altro era un cicloamatore, non era neanche un…».

- Come si chiamava questo tuo amico?

«[Luigi] Salis [1], che purtroppo è morto. E da lì ho iniziato piano piano, piano piano, poi m’ha fatto.. lui era iscritto a una società, io mi sono iscritto a questa società, e mi ricordo la prima gara che sono andato a fare, con mio papà – non sapevamo niente, non sapevamo proprio niente, sai cosa vuol dire niente-niente-niente di come si gonfiavan le gomme, va bè, gonfiar le gomme sì, però a prendere i numeri [i dorsali, nda]…».

- Ma quindi ancora non appartenevi a un Gruppo Sportivo?

«Sì, mi ero iscritto. Ma ero l’unico che correva di quella categoria lì, che ero allievo, secondo anno da allievo, proprio non c’era nessun altro all’infuori di me, no? Perché gli altri erano tutti cicloamatori, così. E vado a fare questa gara qui a Busto Arsizio, mi ricordo, sempre con mio papà, e mi ritrovo in fuga, mi ritrovo in fuga, a un certo punto, a dieci chilometri dall’arrivo, no, a tre km dall’arrivo, siamo in un gruppetto, sei o sette, prendo, vado via e vinco».

- Alla prima corsa?

«Alla prima corsa che ho fatto. Allora mio padre lì…».

- …è impazzito?

«Si entusiasmò, eeehhh e da lì mio padre il giorno dopo mi prese e mi portò da un ciclista, Mosconi, me lo ricordo ancora, a farmi fare un telaio su misura, una bicicletta su misura. E da lì poi ho iniziato, son passato alla Trenno…».

- Stavo per chiederti come hai fatto a capire che andavi forte, l’hai capito subito?

«No, va bè, »subito”... È stata anche fortuna, perché, insomma, trovandomi lì e magari gli altri erano più esperti di me, io non sapevo proprio niente, io son andato via proprio… Sai, come dice Magrini, proprio “da faina”, no? E ho… ho vinto, proprio… è iniziato tutto da lì, poi avendo la fortuna di abitare vicino al vecchio palazzo dello sport, d’inverno andavo in pista, così, poi son andato… son passato alla Trenno, che è stata la mia prima vera squadra, da juniores. E lì poi ho avuto tuti i compagni, da lì ho iniziato la trafila da juniores a dilettante e poi passando professionista dopo le olimpiadi».

- Quanto ti è servita la pista, tanto tanto?

«Tanto, tanto, è quello che… però se tu vedi i vincitori degli ultimi Tour de France arrivano tutti dalla pista”.

- Basta pensare a Viviani se non vuoi andare troppo lontano. La scuola…

«Sì, però Viviani la scuola è da velocista, come me, no? Però gli inseguitori, a iniziare da Wiggins, a parte… Froome no ma gli ultimi vincitori, Geraint Thomas, gli inseguitori a squadre… E tra l’altro proprio prima di venire via a… prima delle vacanze di agosto ero col mio collaboratore che correva con Froome e con Geraint Thomas, m’ha fatto vedere una foto di Geraint Thomas: era irriconoscibile, sarà stato quindici chili in più».

- Ma è la pista stessa che ti porta così, no?

«Eh be’, ovviamente quando poi vai in una squadra come Sky c’è talmente la perfezione di tutto quello che avviene all’interno e al di fuori della squadra e dell’allenamento e tutto quanto che… che io son rimasto… Guarda, quest’anno al Giro son rimasto meravigliato perché eravamo in Sicilia la seconda tappa, la seconda tappa in Sicilia, eravamo in albergo con loro. E prendendo Mauro [Vegni], andando via dall’albergo ho detto: Adesso capisci perché sono la squadra più forte al mondo?».

- Qual era il dettaglio che t’ha colpito?

«Il dettaglio a parte che, va bè, l’organizzazione che hanno. Avevano quattro camion, un pullman,

- Nove lavatrici nel camion: uno per corridore in gara… 

«Le macchine… C’era, va bè, il pullman per i meccanici e massaggiatori, c’era il pullman per le vivande, c’era il pullman-cucina dove mangiavano. Il pullman, il camion... Poi c’era il pullman, la "casa" di Brailsford…».

- Il motorhome suo.

«Il motorhome che lui…».

- Sei mai salito dentro?

«Son salito perché siamo usciti [in bicicletta] con Brailsford e… al mattino alle sette…».

- Hai notato i divani in pelle?

«No, non ci ho fatto caso, perché era al mattino alle sette quando siamo andati, ero un po’ assonnato. E ho detto: adesso capisci perché è la squadra più forte al mondo…».

- Dimmi se sei d’accordo. Non è solo questione di 35 milioni di budget.

«No, no, no…».

- Perché se tu dai 35 milioni a un altro, non…

«…non lo fanno».

- È vero o no? Volevo da te una conferma.

«Ti sto dicendo… È la ricerca della perfezione su tutto, cioè: sul mangiare, sul modo di lavorare in bicicletta. Su tutto. Su tutto… E quindi questo fa sì che sia la squadra più forte al mondo, non ce n’è. Non ce n’è… Assieme alla QuickStep. Però la QuickStep ha un… È più sulle corse in linea, mentre la Sky lavora più sul lavoro di corse a tappe».

- Quali sono i limiti di questi squadroni? Se ne vedi dal punto di vista dell’organizzatore.

«Il limite di Sky secondo me è che, io parlo da velocista, adesso, è che non ha un velocista. È tutto fondato sul…».

- Quando ha provato a prenderlo, cozzava….

«Viviani…».

- Ma pensa solo a Cavendish, no? Nel 2012…

«Sì. Ma prima… Prima. E poi è passato anche Viviani. Ovviamente non facendogli fare il Giro, non facendogli fare… è vero che loro puntano solo sulle vittorie di classifica a tappe però va bè è una scelta che hanno loro, come la scelta di quelli della QuickStep di avere corridori per vittorie singole o di tappa, loro han fatto una scelta di vincere… anche perché è una scelta vincente perché gli ultimi sette Tour li han vinti loro, perciò… Il Giro, la Vuelta e quindi…».

- Stavo pensando invece che hanno lavorato moto anche sull’immagine, no? Soprattutto al Giro…

«Sì, sì, sì».

- Cercare anche di avvicinarsi alla gente, il fatto di togliere i teloni neri, per dire… di avvicinare un po’ la gente che orse era uno dei limiti…

«Io ti dico la verità. Io non pensavo che Froome… allora io il primo contatto di Froome l’ho avuto quattro anni fa, con Claudio Corti. Eravamo ad Abu Dhabi alla premiazione del circuito mondiale che noi organizzavamo l’ Abu Dhabi Tour e poi l’ultimo giorno facevamo questa festa per l’UCI con tutti i vincitori di corse del Giro e il Tour così, è una festa dell’UCI in pratica e la organizzavamo noi, e c’era lì anche Froome. E allora ovviamente Claudio avendolo avuto tre anni me lo presentò e gli dissi: Guarda che tu potresti venire al Giro, buttai come battuta, no?».

- Quattro anni fa, questo?

«Sì. Dovresti venire al Giro perché un vincitore, cioè un grande campione vince anche il Giro, non vince solo il Tour o la Vuelta. Eh sì, hai ragione. Lui parla bene italiano. Eh sì hai ragione. Quest’anno l’ho rivisto perché va bè, l’ho rivisto anche alla Tirreno, l’ho rivisto così, però l’ho visto l’umanità della persona che rispetto a molti altri corridori che porrebbero essere montati…».

- Che magari si sentono…

«Si sentono superstar, invece lui guarda… autografi, fotografie così con tutti dopo che ha fatto quell’impresa lì, quella del colle delle finestre son andato lì mentre faceva i rulli, gli faccio: complimenti. Mi fa: grazie, grazie. Sono felicissimo m’ha detto. Sono veramente felice. Cioè, figurati: uno che ha vinto quello che ha vinto…».

- E t’ha colpito, questa cosa qua?

«M’ha colpito per la semplicità e l’umiltà del corridore. Sì. È vero che ci sono anche.. anche Alberto Contador, eh voglio dire poi quando sei in maglia rosa o sei in maglia di leader è facile essere semplici e allo stesso tempo umili, però alla fine ho notato che i corridori più o meno sono tutti uguali, nel senso non c’è il montato o…».

- E hai notato le differenze tra la tua generazione e quella di oggi per esempio in questo senso qua?

«Ma sììì, cioè…».

- In questo senso qua, eh.

«No, in questo senso no, sono tutti. Anzi forse ti dirò di più. Allora eravamo più amici nel senso che, adesso ti spiego la situazione che… Prima non è come adesso che finito di mangiare, no? Adesso il cellulare…».

- Me l’hanno detto quasi tutti.

«Tanti prendono se ne vanno. Allora non c’era… c’era il telefono che dovevi far la coda per telefonare alla fidanzata a casa, così, ti ritrovavi al bar, bevevi la China calda, e mi ricordo che è stato il povero Miro Panizza a fare…a insegnarci a bere la China calda con Saronni così… e ci si ritrovava tutti nella hall dell’albergo, nel bar e lì si discuteva anche dopo la… anche dopocena, no? Adesso non è più così. Li vedo anche adesso… negli alberghi che siamo assieme. Finito di mangiare vanno in camera, giocano o prendono il cellulare , sono lì a fare quelle robe lì. Questa è la differenza che c’è tra allora e adesso. Poi, è cambiato tutto il sistema dagli allenamenti, un po’ tutto ecco».

- Sì, sono cambiate anche le squadre stesse,

«Sììì».

- Perché una volta magari non c’era la doppia o tripla attività…

«No, nooo…».

- Al massimo cosa c’era la Parigi-Nizza e Tirreno che si sovrapponevano…

«E basta. Una volta si faceva una corsa».

- Ed eravate (più o meno) sempre gli stessi, dal Laigueglia al Lombardia, no?

«Sì, sì, sì, eravamo in quindici corridori».

- La Carrera, gli altri dodici-tredici…

«Quindici-dodici, tredici, no, bè, quasi tutti quindici corridori c’eravamo. Però allora si andava alle corse che avevi tre macchine e un furgone e un camion, un furgone con su tutto il materiale del meccanico e del massaggiatore».

- Che magari il meccanico era a gettone, no?

«No, c’era il meccanico a gettone, e il massaggiatore a gettone, poi c’erano il meccanico e il massaggiatore fissi, ecco. Sì, sì questo sì, sicuro».

- Raccontami invece come arrivi al professionismo. Come ci arrivi e com’è l’impatto coi professionisti.

«Allora, guarda, sono arrivato al professionismo perché… io ero… ero in ritiro con la nazionale, per le olimpiadi».

- Los Angeles ’84, parliamo…

«Sì».

- Hai fatto?

«Quattordicesimo, non mi ricordo più, nell’individuale a punti [vinse il belga Roger Ilegems davanti al tedesco occidentale Uwe Messerschmidt e al messicano Manuel Youshimatz; Martinello finì 16°; nda] E io firmai il giorno che partii per Los Angeles, con Zandegù».

- Alla Malvor [Bottecchia-Vaporella, 1985, nda].

«Alla Malvor».

- Un passo indietro: ma tu eri un P.O., Protetto Olimpico, o no?

«Sì, io non potevo passare. Io ho fatto quattro anni con il blocco olimpico, ero Probabile Olimpico quindi non potevo passare. Non ne passò nessuno. E difatti quell’anno lì, nell’85, passarono in quaranta, una quarantina-cinquanta. L’anno dopo, uguale. E son passato con Zandegù perché mio suocero avendo il ristorante conosceva Zandegù e gli propose appunto questo…».

- E quindi eri già sposato quando sei passato pro’?

«No, no, non ero sposato, la mia futura moglie. Non ero ancora sposato e gli propose… perché non prendi Stefano, fa… magari lui è velocista anziché magari tira le volate a Silvestro Milani, di qua e di là. E allora mi ricordo che firmai il giorno stesso che partii per Los Angeles, ci fermammo a Milano e andai al ristorante, lui era lì, firmai e mi portarono, dopo, in aeroporto per partire. Mi ricorderò sempre, era 18 milioni – lordi – all’anno». [Sorride, nda]

- Un altro mondo, però per quell’epoca non era… come primo anno…

«No, era il minimo. Il minimo, diciamo, sindacale, il minimo contrattuale che la Federazione aveva fatto per i neoprofessionisti. E poi, niente, feci la prima corsa al Laigueglia, perché allora la prima corsa era il Laigueglia. Dal Laigueglia andammo in Sicilia, e mi ricorderò sempre che io dovevo stare al fianco di… Ah, ecco, no, aspetta, tornando un po’ indietro, io dovevo far la Sei Giorni di Milano, assieme a Bruno Vicino che era campione del mondo. Ed era il mio compagno di squadra, se non che io mi ero preparato molto bene durante l’inverno, perché io facevo già le Sei Giorni da dilettante…».

- Quella che stavi per vincere, quella lì, subito?

«No, quella che stavo per vincere eravamo io e Amadio a… Parigi. E senonché il penultimo giorno [sorride, nda] han tamponato Amadio, si ruppe la clavicola, avevo due giri di vantaggio e… E niente, mi ero preparato bene, anche in ritiro. Mentre eravamo in ritiro sul lago di Garda mi chiamò mio papà, mi disse: Guarda, è crollato il palazzo dello sport, io avevo già firmato il contratto per fare la Sei Giorni. E va bè a quel punto lì ho detto: rivedo un attimo tutti i programmi, tiro dritto…».

- A gennaio 1985, no? Perché mi ricordo che sospesero le scuole…

«È venuto giù il 18 gennaio. Sì, sì, sì. Era metà febbraio la corsa. E va bè, tanto che c’ero, ho detto va bè, ormai c’ho la preparazione, vado avanti. Feci il Laigueglia, così, e… noi, lì alla Malvor, avevamo preso un… perché il proprietario della Malvor era il povero Mario Cal, aveva interessi in Brasile e prese questo corridore brasiliano Renan Ferraro, io mi ricorderò sempre [che] la prima tappa del Giro di Sicilia, Dino Zandegù mi disse: Guarda, devi stare al fianco di Renan Ferraro e stagli sempre al fianco e poi quando arriviamo al circuito finale di Palermo devi tirar la volata a Milani. Va bè. Io vado, gli sto a ruota, cioè gli sto proprio dietro, al suo fianco, a un certo punto, prima salita, Montelepre, che non è una grande salita, questo qua si stacca, e io mi stacco con lui. A un certo punto arriva Dino, lo guarda, ci siamo proprio… sai, proprio lo sguardo, no? “Cioè, cosa devo fare?”. Cioè, non parlava neanche l’italiano, ho detto: “Dino…?”. «Eh, vedete di rientrare, poi ne parliamo stasera»».

- Lo hai riportato tu sotto, per quel poco che reggeva?

«Sì, poi per quello che… l’ho tenuto lì, in discesa siamo rientrati, nel circuito di Palermo, fino a due chilometri dall’arrivo, mi misi davanti per tirare la volata a Silvestro Milani e poi mi spostai perché c’erano gli altri. A un certo punto mi sposto così e senonché, a un chilometro e mezzo, ci fu una caduta, si spezzò un momentino ma appena appena il gruppo e in quel momento lì mi passò il treno, al mio fianco, il treno dell’Atala di Freuler…».

- Che tu hai battuto un sacco di volte…

«Sai cosa faccio? Ho detto, l’ho visto passare e ho detto: ma sì, mi metto lì, magari vado davanti e gli tiro ancora la volata a… invece a un certo punto vado-vado-vado, mi porta fuori lui. Mi porta fuori lui, e vinsi a… E vinsi, no? E Dino non stava più nella pelle, aveva lasciato il meccanico a un chilometro e mezzo dietro per la caduta perché “volata, vittoria di Allocchio”, lui prese la macchina e partì e là il meccanico là con le ruote in mano è arrivato all’arriva a piedi. E poi mi ricordo che… “Vecio, vecio come hai fatto?”. “Eh, come ho fatto, Dino, ho fatto così così…”. Poi però gli ho detto: parliamo un po’ di Renan, di Ferraro, no? Ah no no non ti preoccupare [gli scappa da ridere, nda]. E da lì è iniziata la mia fortuna diciamo, poi quell’anno lì feci il Giro e vinsi due tappe, è stata un po’… è iniziato un po’ così, ecco».

- E com’era avere Zandegù come diesse? Che poi hai ritrovato alla Malvor, perché ci sei tornato…

«Nell’89, sì…».

- Poi dell’89 parliamo a parte…

«Era uno spasso, Dino era… Era un personaggio, ma anche adesso…».

- Di sicuro non c’era problema per l’umore del gruppo.

«No, no… ma anche… si abbatteva facilmente, no? Perché sempre nell’85, quando si… arrivammo al paese della Bottecchia perché allora si chiamava Malvor-Bottecchia-Vaporella, la squadra e… ci fu in fuga… c’era in fuga Pagnin con…».

- Pagnin, un altro “pazzoide”…

«…se era pazzo... Pagnin e quello di Pavia, di Saronni, era compagno di squadra di Saronni, Bombini… Pagnin: volata, pioveva che dio la mandava. Quando pioveva Pagnin era irresistibile, era il più forte corridore che c’era, aveva una potenza quando pioveva… E a un certo punto [Pagnin] strinse alle transenne Bombini, alzò la mano Bombini e squalificarono…».

- Ah sì, Pagnin, che dopo si è messo a piangere…

«S’è messo a piangere. Squalificarono Pagnin…».

- "Pagno"- ancora oggi - insiste che non fu giusto squalificarlo.

«No, infatti non era una scorrettezza da… e allora mi ricordo che eravamo a tavola tutti, così, no? E c’era lì, c’erano lì tuti i vertici della squadra, c’era lì Cal, c’era lì il proprietario della Bottecchia, eravamo proprio in casa di Bottecchia, no? E allora arriva Zandegù con questo… che lui aveva sempre il suo pass e le sue cose, ragazzi, un dramma, voglio ritirare la squadra, ride, nda… e lui era fatto così, si abbatteva eeehhh e poi si esaltava in un’altra maniera, dopo tre giorni, quattro giorni vinsi e allora lì si… perché c’erano due semitappe quel giorno lì. Io a Foggia coi giri-sprint, e il pomeriggio si arrivava a Matera e vinse Acacio Da Silva».

- Un altro dei suoi pallini…

«Sì, sì, eravamo assieme. Poi il giorno dopo vinse Rosola, poi Acacio a Paola, perché a Paola tra l’altro vinse Acacio perché era il paese di Franco Polti che era il nostro sponsor, della Vaporella, e il giorno dopo lui doveva andare perché lui era un tifoso juventino, Polti, e ha seguito tutto il Giro, mi ricordo sempre, con la macchina e doveva andare a vedere la Juventus che era l’anno dell’Heysel, e dice: No, no non vado, preferisco stare qua eh…. E vinsi anche il giorno dopo, vinsi io a Salerno che battei Saronni e Freuler. E allora abbiam fatto quattro vittorie nell’arco di quattro giorni una in fila all’altra».

- Mi raccontava Dino di quel periodo lì che era Acacio Da Silva, è vero che voleva prima i soldi sennò non correva?

«Sììì, guarda che da Dino devi prenderla…».

- Sì, col setaccio: fa parte del personaggio...

«Ecco, è un personaggio mica da ridere, Dino, eh, dai. Acacio era uno che… Ah sì, sì, ma Acacio faceva apposta, eh. Faceva apposta a dire: mi fermo. “Nooo”, e lui faceva apposta a… Ma faceva apposta Acacio. Era fatto così, Dino. E poi niente poi mi ricordo che quell’ano lì, poi il secondo anno sempre con la Malvor, avevo firmato. Ah, quell’anno lì avevo formato per altri tre anni, con la Malvor. Senonché nel… Anche lì, pensa che storia: io nell’86 faccio il Tour, torno dal Tour e mi dovevo sposare, così, e vado dall’allora - che adesso è in pensione - generale Giacomino. Era il mio… Era capitano, era il mio… tra l’altro usciamo ancora in bicicletta assieme io e lui no? E mi disse ma tu la casa, ero andato a trovarlo, ma tu vieni a trovarmi a casa, ha detto. Ho detto: Guarda, no, devo ancora trovarla… Ti faccio vedere io delle villette. Adesso lui… prima abitava a Bovisio Masciago e lì a Cesano [Maderno] c’era questo, questo… che tra l’altro aveva una squadra, la squadra Canova Case, era sponsor della Monzese, infatti se vai a casa sua c’era Bugno… c’è la foto di [GS Cicli Di Lorenzo] Canova Case, c’era la squadra di… C’era Bugno, c’era… c’eran tanti corridori che erano lì. E allora… E da lì io dissi: Ah, che bella, così, no? E mi ricorderò sempre che, novembre, faccio il compromesso della casa, e tanto si può dire perché non è un problema, sono cose vere,. Diedi 50 milioni per comprar la casa e firmai 15 cambiali giuro cambiali – firmai perché era mio padre, Marco. Mio padre era testone. Firmai 15 cambiali da 6 milioni l’una per comprare la casa, no?».

- Ma perché ti conveniva…

«Ma non lo so, era lui era così… facciamo il mutuo. No, no… va bè. A Volpis andava bene così, firmai queste cambiali, firmai il compromesso per la casa, questo il mattino. Il pomeriggio che allora, pensa, che io avevo il telefono in casa noi non l’avevamo perché avevamo il bar e in casa contemporaneamente, chiamò Zandegù e mi disse: “Guarda che non fa più la squadra”. Ma come non…?».

- Il giorno stesso che hai firmato per la casa?

«Il giorno stesso. Come non fa più la squadra, Mario? No, no ci ha ripensato. Ritenetevi tutti liberi però aspetta un attimo, domani ti chiamerà Mario. Oh, lo sai che mi è caduto il mondo addosso?!».

- Ci credo.

«Io vado da papà e gli dico: Papà, così… Guarda, Stefano non ti preoccupare. Lì mio padre è stato un grande, veramente. Mi fa: abbiamo fatto così: sai sei milioni allora eran soldi, eh. Non ti preoccupare in qualche modo ce la faremo. Va bè, se lo dici te, papà…. Va bene. Senonché il mattino dopo mi chiamò Cal e mi disse guarda che il tuo contratto per toto io l’ho passato a Stanga a Supermercati Brianzoli, perciò anche lì…a Zandegù dal dramma che non faceva la squadra più di qua e di là… invece lui ha sistemato tutti i corridori. Cal aveva già sistemato tuti i corridori, eravamo io e Zanatta alla SB, poi c’era Pagnin e Piccolo alla Bianchi».

- È riuscito a piazzarli tutti?

«Tutti, sì, sì poi il resto alle altre squadre».

- E per sé? Lui dove è andato?

«No, Dino quell’anno lì smise per un anno-due».

- E cosa ti ha fatto visto che era così’ la faccenda… Che cosa ti ha fatto tornare in Malvor, poi, nell’89? Perché io sarei… perlomeno… non era tempo di fidejussioni, no?

«No, no, no. Il fatto che… Ah, bè, a parte che con Stanga non ho legato molto anche se siamo amicissimi eh, ancora adesso».

- Ma perché lui puntava più al business prima che ai corridori?

«Be’, sì, sì, sì… e poi io tra l’altro ero molto legato al padrone della Château d’Ax, Colombo, ma moltissimo legato. Infatti lui non sapeva niente che io… perché lui mi… Allora Gianni mi disse che non mi teneva più il giorno che facemmo il la corsa lì’ a Genova che c’è a Pontedecimo, il Giro dell’Appennino, va bè da lì poi sapevo sai è venuto Zandegù e poi Saronni perché poi sapeva che facevamo questa grande squadra, perché veramente era uno squadrone…».

- Ma con dei nomi…. Sembrava un Dream Team, fra giovani e grandi vecchi…

«È stata la prima “multinazionale”, diciamo, del ciclismo, le grandi squadre e allora disse: vuoi tornare con noi? Caspita. Mi chiamò Mario Cal, mi disse vuoi tornare? Abbiamo preso Saronni, Visentini. Ho detto caspita, con tutti sti nomi qui, qui c’è poco da fare. Invece…».

- Piasecki, Bordonali il giovane Ballerini…

«Piasecki, Bordonali, il Ballero… eravamo in… quanti eravamo? Venticinque, forse. Perché abbiamo…. io c’ho a casa, non abbiamo fatto le fotografie, abbiamo fatto proprio il libro. Noi al posto di avere le classiche fotografie di ogni corridore, aveva fatto un libro, tipo questo, con corridore per corridore, e la pagina…».

- Una specie di yearbook della squadra.

«Sì. E tornando indietro, sempre alla Château d’Ax, abbiam fatto dopo il Lombardia una festa,. Perché poi [Walter] Colombo abitavamo vicino mi disse: Allora, Stefano, l’anno prossimo dai anziché vincerne una di vincerne di più. Ho detto: guarda, spero di sì ma non con voi. Come non, non corri più con noi? No, perché Stanga m’aveva detto che non m’aveva rinnovato… c’è rimasto ma di un male…».

- Stanga quindi non l’aveva detto al patron?

«Al patron. La squadra che faceva l’anno dopo e mi ricordo che lui c’è rimasto malissimo, però son rimasto ancora in contatto con… lui e anzi, e tornai alla Malvor, tra l’altro la Malvor quell’anno lì noi viaggiavamo con l’aereo privato, eh. L’aereo del San Raffaele. E andammo in ritiro in Sardegna…».

- Ma poi pronti-via portate a casa la Ruta del Sol, no?

«Pronti via. Con Bordonali, poverino…».

- Con Saronni e Visentini che lavoravano per Bordonali.

«Sì, tutta la squadra. E pensa che l’ultimo giorno… perché la prima tappa la vinse Saronni, la cronometro poi il giorno dopo c’era… Primo Saronni, secondo Visentini, il cronoprologo, il giorno dopo andò via la fuga e c’era dentro Bordonali, presero dieci minuti, vinse lui, ha preso la maglia lui. L’ultimo giorno mi ricorderò sempre l’ultimo giorno è stato… si alza al mattino, 39 di febbre. Porco cane… tutto ’sto lavoro… E poi c’era il circuito, a Granada mi sembra, non mi ricordo più dove, oh noi a spingerlo, perché non si poteva, no, infatti tutti gli spagnoli che ci tiravano le parolacce dietro, ma noi a dargli una mano al Bordo per fargli finire, alla fine è riuscito a mantenere la maglia. Però è stato l’anno secondo me più belo che ho fatto da professionista».

- Davvero?

«Sì sì sì».

- Ma perché vi divertivate un sacco, vero?

«Ma no, ma poi io ero in camera con Saronni, se tu leggi il libro di Saronni, gli fecero una domanda, dice: ma quand’è che hai capito di smettere e lui disse quando Allocchio mi staccò in salita. Perché eravamo in camera assieme, tutto l’anno…».

- Se non riesco a tenere la ruota di Allocchio, è ora che…

«Ma infatti ma se adesso tu parli col Beppe, no, ma poi va bè le ampia un po’ la situazione, no?, però è stato un anno veramente fantastico, ma ci divertivamo con Ballerini, con Lang e Piasecki, ma poi tra l’altro quell’anno lì era tornata la cronometro a squadre al Giro d’Italia, l’abbiamo persa per dodici secondi, vinse la squadra di Ferretti, l’ariostea, al lago di Ganzirri, però secondo noi avevano sbagliato a farci partire, perché noi dopo cinque chilometri e ti dico solo eravamo in squadra, io Saronni, Lang, Piasecki, Bordonali, e Visentini, no Visentini non c’era, c’era contini, poi c’era il bergamasco che fece secondi, Giupponi, rota e c’era un altro non mi ricordo più. Io, ti dico, non ho mai visto stare… facevamo fatica cioè eravamo messi tutti, sai il treno messo bene tutto quanto, nessuno voleva andare dietro Lang e Piasecki perché noi tiravamo cento metri e ci spostavamo, loro tiravano cinquecento metri e facevi fatica a… allora c’era la lotta… [sorride, nda] Saronni era sempre quello che doveva fare… dopo cinque chilometri avevamo due minuti, ho detto: nooo, non è possibile”.

- Perché dici hanno sbagliato a farvi partire? Cosa vuol dire?

«Eh, perché noi dopo cinque chilometri di corsa c’era il dottore con un perché allora non c’erano le radioline, c’era… aveva fatto il cartello e vedeva quanto tempo nostro, dopo 5 km avevamo due minuti di ritardo, era impossibile, dopo cinque chilometri, due minuti, vuole dire che andavamo proprio a piedi, e si arrivò secondi per 12” perciò per quello ti dico secondo no i cronometristi avevano sbagliato a far la partenza. E lì avevamo la maglia rosa, va bè, poi sai è passato tutto, però… e lì, ti dico, che era una squadra quella, a iniziare dalla Vuelta arrivare al Tour e a tutte le corse fatte, che abbiamo fatto, ma divertirci, da divertimento. Un divertimento. E pensa che l’unica corsa che abbiam fatto, tutti assieme era un Giro del Veneto – perché allora potevi iscrivere tutti, no? – perché le squadre erano in quindici potevi iscrivere… e l’unica corsa che abbiam fatto era il Giro del Veneto».

- Ma quello che ha vinto Pagnin, che lui ha preparato un mese, un amico con la Vespa che ha fatto tutto il percorso…

«Bravo. Ma no, ma tu devi sapere il che quel giorno lì e mi ricorderò sempre noi eravamo al Burchiello, a Mira, in albergo, tu calcola, una tavolata di 25, 30 persone tutti così no? E Pagnin qua, ti giuro, Pagnin era a capotavola, e noi sparsi. Entrò Dino Zandegù, perché Dino non ci faceva mancare sai cosa? Il vino, perché lui era…».

- Ancora oggi, te lo confermo…

«Ancora oggi. Entrò dentro, entrò dentro nel ristorante, vede 25 che abbiam bevuto 30 bottiglie di Pignoletto, e l’unico che non ha bevuto era Pagnin che aveva bevuto acqua, riso in bianco…».

- Da quanto ci teneva

«Da quanto ci teneva… e una bistecca. Tutti che lo prendevano per il culo, eh. Ma dove cavolo vuoi andare? Di qua e di là. Cazzo, il giorno dopo pioveva, pioveva, e ha vinto da solo. Però, va bè, ma guarda trenta bottiglie in venticinque, ti dico, ci siamo alzati che c’era Visentini, gente ubriaca… mamma mia, ragazzi, che roba… Io col Visenta ancora adesso ci sentiamo».

- Eh, raccontami un po’ di Roberto, dai che poi ti dico che finalmente son riuscito a parlarci.

«Ah, sei riuscito?».

- Tre ore e mezza a casa sua mi ha tenuto, non so perché ma mi ha preso in simpatia. A differenza … l’unico che mi ha rimbalzato dei cento e passa che ho sentito indovina chi è? Non un papa ma un… Cardinale. Facile, dai: Boifava.

«Ah, strano».

- Dopo che mi ha preso per il culo per un anno tra lui la sua pierre in azienda, alla fine non so avrò delle cose da nascondere. Torniamo al Visenta.

«No, il Visenta ancora adesso se tu senti, se parli con Roberto io sono l’unico che c’ho ancora contatti del ciclismo. Non so se te l’ha detto».

- Tu, e ti faccio qualche nome, che lui vede ogni tanto: Zaina, che vede ogni tanto,

«Sì, Zaina…».

- Bontempi con cui va a cena ma non parlano mai di ciclismo…

«No, non di ciclismo. Lo so, lo so, ma adesso ha ripreso ad andare ancora in bicicletta. Infatti…».

- È anche molto dimagrito rispetto a due tre anni fa, aveva le guanciotte…

«Sì, sì, ma l’ho visto, l’ho visto. Sì, sì… Il 7 ottobre da Vanotti c’è anche lui, c’è anche… son 17 km. Io dovrei avere una foto che abbiamo fatto tre anni fa sempre lì da Ennio, eravamo io, Visenta, Chiappucci…».

- E perché lui con te è rimasto in buoni rapporti? Perché sei sempre stato leale con lui

«Mah no, questione di simpatia…».

- Di pelle…

«Di simpatia, di pelle, è proprio… Ho detto: »Sì, Roberto, prima o poi vengo a Salò, va’…”».

- Bellissima la casa…

«Eh lo so ma lui è fantastico».

- Ma ti dico di una gentilezza mi è venuto a prendere lui lì’ dal distributore in piazzetta.

«Sì, sì. Ma strano ma lui non è cambiato completamente perché lui non era…».

- Eh, dimmi un po’. Perché tutti mi hanno detto…

«No be era allora lui era sul… va be su… però era questione di pelle, di simpatia, a me m’ha preso subito in simpatia, no?».

- Ma di quando correvi o dopo, stai parlando?

«No-no-no, sempre, anche quando eravamo in squadra assieme, no? Adesso difatti quando ci vediamo ci raccontiamo delle cose dei massaggiatori, di tutti quelli che erano con noi e… guarda, Adesso guarda se vado a casa dovrei avere ancora un paio di libri di quelli l’ della Malvor e magari ti chiamo e te le faccio avere perché quello lì era un bel libro, era un tipo così…».

- Erano avanti dal punto di vista dell’immagine, no?

«Sì, eh be’, oh, se calcoli che avevamo la maglia disegnata da Schifano». [2]

- Quella maglia era bellissima.

«Pensa che quella maglia lì…».

- Ce l’hai ancora quella maglia lì? È bellissima… La ricorda un po’, come colori, quella della Bahrain-Merida di Nibali…

«Sì, sì, sì, ce l’ho. Allora, era una maglia rossa col disegno, qua [Allocchio s'indica con gli indici il petto, nda], del mondo disegnato da Schifano. Perché Schifano… Allora Castelli che era il genero di Zandegù era molto amico di Mario Cal ed era molto amico di Schifano».

- Sai che la moglie di Dino gli ha buttato via tutti i cimeli di ciclismo?

«Sì, be’, ma Dino… e La Lalla è la Lalla… e niente, era amico di Cal e si fece perché lui l’anno prima fece la maglia gialla, per il Tour con il disegno di Schifano e allora per quell’anno lì disse: “Perché non fai la maglia rossa con…”. Ce l’ho ancora, ce l’ho e pensa che mi disse non so chi che per quella maglia lì sono arrivati fino a 4000 euro».

- I collezionisti?

«I collezionisti, sì».

- Una delle più belle insieme con quella de La Vie Claire ispirata ai quadri di Piet Mondrian. Te la ricordi?

«[Quella] di LeMond sì-sì. Io dovrei averne ancora due o tre di maglie. Perché poi io ho ne ho regalata una a Mauro Vegni, che ce l’ha in ufficio. E le altre… perché io tenevo una valigia perché ogni anno che cambiavi squadra c’era una valigia e mettevo dentro…».

- Le tenevi per ricordo?

«No, ce l’ho nel sottotetto e c’ho dentro i completi di ogni squadra che son stato. E mi ricordo che però, sai, ero uno che non piaceva tenere tanta roba, io… a me piaceva regalarla. A fine anno regalavo agli amatori…».

- Mi racconti questo aspetto del tuo carattere che prima mi accennavi, che dicevi che non hai dato magari tutto quello che avevi, che è interessante.

«Eh, sì, ero un… Mah, io, guarda, se io avessi avuto la grinta che ho adesso sul lavoro, sicuramente avrei vinto molto di più. Perché ero uno che eeehhh, sai, quelle cose…».

- Adesso sei un cagnaccio eh io mi ricordo che ogni volta che ti chiedo un’intervista dopo, dopo eh sì ciao, dopo, dopo…

«No, no… è che, sai cosa c’è? È che ero uno che sì, ma.. mal di gambe, eh, caspita, mollo…».

- Cioè ti bastava poco per…

«Bastava poco per… E mi ricordo l’anno che vinsi la tappa del Giro del ’90 e ho iniziato male quel Giro lì. Partiamo da Bari e vinse Bugno, no? Partiamo… che mia moglie era avevamo preso un appartamento a marina di massa, era giù con la bambina, ci sentivamo la sera, dico senti, Sandra io non vado avanti, guarda. Se va avanti così, faccio ancora tre o quattro tappe poi mi ritiro. Mi ricordo sempre ha detto: “Se tu ti ritiri, ti… Vengo lì ti metto la sedia sul collo e te la… giro. No no, devi tener durooo…”. Io ho avuto la fortuna di aver lei che mi spronava sennò io ero uno che…».

- Ti avvilivi?

«Sì, mi avvilivo subito, così, no? Appena poi magari mal di gambe, ooohhh…»

- Ma avevi la soglia del dolore bassa, per dire?

«Sì…».

- Che è una cosa per i corridori è strana…

«È strana, e pensa che quando vinsi lì’ a forte dei marmi che c’era lì’ lei con la bambina, che erano lì al mare…».

- Tra l’altro a casa sua, di Cipollini intendo…

«A casa sua io tra l’altro non volevo neanche farla quella volata perché pioveva. Durante la tappa abbiam preso un acquazzone, e mi si era… e con le gambe grosso, così, mi si erano gonfiatele gambe. Ho detto: madonna, ho mal di gambe, non la faccio… e invece il circuito di Forte dei Marmi le gambe iniziavano a girare e vinsi in volata, no? Ma e dopo… lei, mia moglie non era una che le piaceva farsi vedere così no, era quattrocento metri dopo l’arrivo e non sapeva niente e fu Ballerini, franco, perché noi eravamo molto amici già l’anno prima, che eravamo alla Malvor, le famiglie, ancora adesso, la moglie di Ballerini con mia moglie si sentono e tutto quanto, figurati come eravamo legati… La moglie di Saronni… noi siam andati in vacanza assieme, io, Ballerini e Saronni abbiam fatto New York, siam andati a Disneyland in Florida, poi da lì siam andati in Giamaica, abbiam fatto venti giorni in giro…».

- Un viaggione…

«…un viaggione, ai tempi, no? Eravamo noi tre con le mogli e i figli e siamo rimasti molto legati e allora franco andò verso di là, vide Sandra e dice, e fa: oh, il Bimbo è andato forte oggi. E lei fa: Perché? Eh ha vinto. Come ha vinto? Io pensavo che ci mancava ancora un giro, aveva detto lei, cioè figurati com’era… e ti stavo dicendo: per fortuna avevo lei che ogni tanto…».

- …ti pungolava…

«…mi pungolava perché poi io ero una testa di cavolo perché effettivamente se tornassi indietro avrei… con la testa di adesso avrei vinto più corse, quello sicuro».

- Come ci sei arrivato invece alla tua seconda carriera?

«Per caso».

- Anche lì, come per la prima?

«No, per caso perché lì avevo anzi ti dirò una cosa… È un po’ lunghina, la cosa. Io nel ’93 correvo per la Lampre, si chiamava Lampre Colnago-Polti».

- Quindi hai ritrovato il vecchio patron?

«Non ci siamo mai staccati perché Polti è stato mio testimone alle nozze. Perché c’eravamo subito andati in simpatia il primo anno che avevamo che io correvo per lui e siam sempre stati in contatto e poi è stato mio testimone alle nozze e quindi con la famiglia andavamo sempre in giro assieme e così. E allora lui mi ricordo che volle entrare, tornare nel ciclismo e disse: Tu l’anno prossimo cosa fai? No guarda vado alla Lampre e così parlai con Saronni che… allora Saronni era già… aveva smesso ha fatto la società, così, con Colnago, che dice ma io c’ho lo sponsor e così e allora parlai con Saronni fa guarda Polti vuol far lo sponsor e feci il terzo nome. Anche lì uno squadrone fortissimo perché avevamo [Djamolidine] Abdoujaparov, [Maurizio] Fondriest, chi c’era poi ancora? [Gianluca] Bortolami, il “Mou del ciclismo” che era [Davide] Bramati, ma c’eran tante persone no? E senonché, a metà anno, io facevo… Ho fatto il Giro d’Italia e mi chiama De Zan per andare a fare il commentatore al Tour. Io facevo gli ultimi cento chilometri in bicicletta perché Adorni non poteva quell’anno lì».

- E come mai ha chiamato proprio te?

«Perché ci conoscevamo bene e anche…».

- Lui magari ha capito che avevi l’eloquio giusto?

«Mah, non lo so… Perché poi lui andava spesso a mangiare al ristorante da mio suocero. Mio suocero questo ristorante andavano molti ciclisti e così no e lui andava spesso, Adriano; e fa: “Ma Stefano?”, fa. “Stefano corre ancora”, ha detto. Perché parlo con Saronni se è fattibile la cosa, È stata fattibile e andai là per fare il commento. Se non che già prima di partire avevano deciso di fare due squadre, una solo Lampre con tutti giovani e una solo Polti con i pro’. Due squadre con i vari Abdujaparov, Fondriest, tutti i big no? C’era anche il russo, [Pavel] Tonkov. E io dovevo seguire la parte di Polti con… seguivo, facevo il diesse, non è che… seguivo la struttura della Polti. Però il nucleo era unico, cioè Saronni come nucleo e da lì dal nucleo partivano queste due squadre. Se non che sono là al Tour…».

- Quindi tu seguivi i big o i giovani?

«I big. Perché Polti mi voleva alla sua squadra. Senonché già anche lì prima della partenza del Tour andiamo a mangiare con Saronni, ormai per decidere tutto, no? Dopo una settimana mi chiama Polti e dice: Guarda che è saltato tuto, vedi se trovi una squadra che gli manca, che non ha più l’anno prossimo uno sponsor, che voglio fare il primo nome io. Allora sia essere là così vado da Stanga… Son stato un pirla perché son stato un pirla veramente lì e vado là da Stanga, e gli dico: Ma tu l’anno prossimo… - perché lui aveva la Gatorade - ce l’hai ancora lo sponsor? Lui fa: no, non ce l’ho più, anzi sto cercando. E ho detto: Va bè, guarda, te lo trovo io lo sponsor».

- Ma tu come ti eri lasciato con lui? In buoni rapporti o così così?

«Mmmhhh. Non eran buoni. Non erano buoni, ti dico la verità. Però pur di accontentare Franco… Sì, ci salutavamo, tranquillamente».

- Un po’ freddini.

«Un po’ freddi. Freddi. E dai dopo il tour ti porto da Polti, da questo sponsor, va bene è Polti, te lo dico io. Andammo là, e fece un contratto di cinque anni a 4 miliardi [di lire a stagione]. Io, lì, non ho voluto niente, credimi, niente».

- È lì che dici sei stato un pirla? In questo?

«Un pirla perché sì potevo approfittare, dici: Allora, facciamo una bella cosa: io non vengo dentro nella squadra – perché nella squadra non sono entrato – però mi dai, mi riconosci almeno la percentuale, come fanno tutti, del resto, nelle…».

- ...che t’ho portato

«...che t’ho portato… Sai, il diritto d’agenzia è il 15 per cento. Io non ti dico dammi il 15 ma dammi il 7, l’8… Sai, 4 miliardi l’anno, quella percentuale, dieci percento son 400 milioni, anche il 5, voglio dire… Sono duecento milioni che allora eran soldi eh, per cinque anni era un miliardo. Eh, buttalo via. Io invece lì’ non ho fatto niente proprio. E allora se non che ero nel 94 son stato con loro perché Polti ha voluto che stessi con loro, nel 95 ero in vacanza con mia moglie a gennaio a Cuba, a Cayo Largo e mi chiama mio… Torriani, il figlio, Marco, che lavorava in Rcs…».

- Faceva la Pubblicità lui, vero?

«No, il fratello era in Pubblicità, Gianni. No, Marco era con l’Organizzazione e allora mi disse: Allora, qua in Rcs stanno cercando una persona che sappia di ciclismo ma non nell’Organizzazione ma in Pubblicità. E allora ho detto: va bè, torno e ne parliamo. Sono andato là trovai l’accordo, ho fatto tre anni lì in Rcs Pubblicità e poi dalla pubblicità son passato…».

- Ma è vero o è un aneddoto esagerato che hai iniziato facendo fotocopie?

«Sì».

- È vero?

«Sì-sì-sì. Io ho iniziato a far le fotocopie, quando sono entrato, nel ’98, in Rcs Sport. Perché, sai, organizzare una corsa non è… cioè un conto è essere un corridore…».

- No, pensavo l’avessi buttata lì, perché faceva colore… Invece è la verità

«No-no-no… È la verità. Un conto è essere uno che va in bicicletta, cosa fa? Arriva al mattino, si ala, colazione, scende, bicicletta, va in albergo, massaggi, la sera rimangi poi vai a letto, cioè questa è la routine di un corridore».

- Lì, c'era un mestiere da imparare.

«Lì, è completamente diverso. Quindi prima cosa che sono andato dall’avvocato Castellano e ho detto: Guarda, io non so niente, posso metterci un po’ di esperienza sul fatto di sicurezza,. Degli arrivi e tutto quanto però io voglio iniziare dalle fotocopie, perché, sinceramente, non so da dove si inizia a organizzare una corsa».

- Un bel gesto di umiltà da parte tua.

«E difatti i primi giorni ho iniziato a farmi vedere un po’ le carte, le istanze da fare, come si facevano allora non era come adesso che col computer… tan-tan-tan. Allora le tabelle c’era Sangalli che faceva a mano, con le medie e io col computer mettevo nome della città e le medie, cioè era un lavoraccio che iniziava…».

- E lungo, poi...

«Eh sì. E poi mandare via le istanze, cioè era tutto un lavoraccio che da lì poi piano piano mi ha portato a fare la corsa, ecco».

- Con Carmine Castellano e Mauro Vegni, i tuoi maestri, no?

«Sì».

- Ma, anche qui, un passo indietro. Perché Marco Torriani ha chiamato te? Perché ha visto in te una figura adatta?

«Perché… Sììì…. perché cercavano una persona ma in Rcs Pubblicità, non nell’organizzazione, e allora ho detto va bè a questo punto che di là non ricavo niente, non… anche perché…».

- Perché di là non…

«Non ero niente… ero in una squadra che tra l’altro poi ha avuto Bugno, no? Ha avuto Bugno, ha avuto i francesi, ha avuto tanti corridori. Campioni…».

- Anche Fignon, dopo, c’era, no?

«Fignon, dopo, sì. Non avevo un ruolo ben preciso in squadra e allora ho preferito dire: va bè, vado via. Sono andato da Franco, ho detto: Guarda, c’ho questa opportunità…. Che mi dà una continuità di lavoro e tutto quanto che qui… cosa c’ho con Stanga? Non sono né carne né pesce e allora a questo punto vado di là… ho fatto tre anni in Rcs Pubblicità seguendo il Giro per la pubblicità di Rcs che allora la Pubblicità del Giro era su Mediaset quindi faceva tutto Mediaset. Io facevo la pubblicità di Gazzetta invece poi come Pubblicità abbiamo organizzato la Sei Giorni di Milano che è tornata al palazzo dello sport che l’abbiamo fatta noi, difatti c’è una foto nel nostro ufficio che c’è il disdegno della pista, cioè i disegni dei loghi della pubblicità li ho messi io che avo un po’ l’esperienza della pista e tutto quanto, li ho messi io. E da lì poi con mi ricordo con Castellano andò via in pensione Morelli che era un altro ex collega e mi disse se volevo passare dalla Pubblicità all’Organizzazione Sportiva, dissi di sì e allora da lì t’ho detto ho iniziato prima cosa le fotocopie…».

- Che cosa è scattato dentro di te perché hai detto: se avessi avuto la testa che ho adesso. Perché dopo sei diventato un altro Allocchio come mentalità, come grinta nel lavoro?

«Eeehhh, perché…».

- Perché sei maturato o perché questa era la tua strada…

«Allora tornando indietro invece un po’ da giovane, a me non mancava niente non è che ero benestante-benestante come Roberto però non mi mancava niente, capito? Cioè se avevo bisogno di comprare, adesso per dirti, no? Un paio di scarpe dell’0adidas, le compravo, hai capito? Mentre magari ‘era gente che faceva fatica».

- Ti sei spiegato.

«E quindi è questo quello che volevo dirti, no? Quindi, adesso, invece, avendo i figli, avendo la maturità perché non sembra ma magari uno può maturare a vent’anni, anch’io son maturato – io dico sempre – son maturato a… quaranta, ecco, no? E quindi tornassi indietro come ho detto avrei più… ecco però, va bè, son cose che nella vita…».

- Visto che tu li hai visti tutti all’opera e in varie figure, mi fai il filo rosso dei vari Torriani, poi c’è stata la gestione Castellano, poi c’è stato Zomegnan che forse è diverso dal filo rosso. Io lo vedo un filo rosso, dimmi se sbaglio però eh… io vedo un filo rosso Torriani-Castellano-Vegni… Con una deviazione… Capito?

«Allora, sì sì sì. È giusto, è giusto. Allora: Torriani, un genio. Proprio».

- Nel bene e nel male. Roberto mi ha detto una frase. Era uno che per i soldi ti faceva arrivare anche sul campanile, se serviva…

«Sì sì».

- Sei d’accordo su questo?

«Sì, sì. Era un genio. Era un genio veramente».

- Anche un figlio di buona donna, intendiamoci…

«Ma te lo posso assicurare. Perché io coi miei suoceri sti dicendo, suoceri, Torriani andava sempre lì a mangiare. E quindi lo conoscevamo bene, no? Sì, sì sapevamo. Noi, mia suocera era molto amica della moglie di Torriani, ma molto. È per quello che noi siamo in buoni rapporti con la famiglia Torriani, no? Ancora adesso io con Marco, con la Milly, la stessa Milly… mi ha chiamato il figlio un mese e mezzo fa. E il figlio della Milly che.. pensa che io non ho mai fatto in vita mia… mi chiamò Pastore, un mio ex collega che sta facendo al Sole 24 ore il master, no? E parlavano del Giro d’Italia e dice ma io non sono mai andato a parlare a una platea di ragazzi, così e invece ti giuro mi sono divertito. Mi sono divertito i ragazzi son stati contentissimi, quest’anno dovevi replicarlo che purtroppo devo partire per Dubai non sono potuto andare sennò facevo un altro stage dedicato a loro per caso c’era anche il figlio della Milly che faceva questo master. E ti stavo dicendo, sì Torriani era un genio perché se tu pensi che è il primo che ha fatto arrivare… un Giro d’Europa partendo da… [nel 73, nda] Poi fece arrivare il Giro in piazza San Marco…».

- …su un ponte di barche…

«Ponte di barche, cioè… Poi, fece anche delle cavolate, perché nell’87…».

- La cronodiscesa del Poggio al Giro ’87?

«Nooo, ma quella…».

- Quali cavolate?

«Quella del Gavia. Lì per prender dei soldi da Bormio, eh, caspita. Noi sapevamo già la sera prima che nevicava».

- Perché su questo ho avuto versioni divergenti...

«No, no guarda io ti posso assicurare…».

- Ma perché solo l’americana Seven Eleven comprò i giacconi, i guanti invernali?

«No, non è vero, non è vero… perché guarda…».

- Non è vero che erano solo loro a che non li hanno comprati.

«Anche noi. Io ero alla Château d’Ax 87, no ’87, ero alla Supermercati Brianzoli e c’era Maderna che era il ns presidente della squadra lui abitando a Bormio, cioè abitando, aveva una casa a Bormio, noi la sera prima… la sera prima vinse [Tony] Rominger su in Valtellina e con Vittorio Algeri che era diesse nostro che aveva appena smesso di correre, disse: Andiamo a vedere il percorso. Arrivarono tardi di notte, però al mattino quando ci si alzò per far colazione disse guardate che sta nevicando. Preparate tre quattro borse con dentro gli indumenti., difatti andar su all’Aprica pioveva e… quando si arrivò già a Pontedilegno iniziò il Gavia pioggia, a un certo punto a due chilometri dalla vetta iniziò a nevicare, io c’ho il cd dato dalla Rai in bassa frequenza, me l’hanno regalato di straforo, e vedi proprio delle immagini terribili…».

- Quindi vedi anche un sacco di gente che si fa un pezzo in macchina…

«No, no, no. Quello, no. Ma proprio su in cima al Gavia. ,ma te lo faccio vedere tanto ormai… e noi avevamo messo un massaggiatore in cima con su tutto il vestiario nostro, dopo tre chilometri di discesa la macchina con Algeri con un altro pacco con tutti il borsone con dentro… E in fondo alla discesa un’altra macchina con dentro tutta la roba… pensa che io sono arrivato al punto dove c’era Algeri. Algeri era in maniche corte, c’era lì Visentini, Roberto, che aveva le mani sul manubrio…».

- Ecco m’ha detto Roberto [Visentini] che lui s’è bruciato perché le mani non le sentiva più...

«E le ha messe sul motore. Lo so, ti dico perché… ma io arrivai dopo mezz’ora eppure erano ancora lì loro e io mi son cambiato completamente, perché ci cambiavamo completamente, e mi ricordo che Algeri è rimasto in jeans e maglietta e stava dando anche i jeans… perché non… veramente a tutti quelli che chiedevano lui dava, no? E noi eravamo organizzati così. Poi nel scender, e ti dico, ma un freddo ma un freddo… perché allora non c’era il materiale… anche se il materiale era buono, non era il materiale di adesso… ti dico che a un certo punto io in discesa m’ha preso un freddo, ma un freddo… mi son messo a piangere. No, a un certo punto mi scappava la pipì ho detto; avevo freddo., ho detto: senti, mi faccio la pipì addosso perché tanto bene o male mi scaldo, quanto mai. Quanto mai! Trenta secondi dopo si è ghiacciata! E lì ho detto.. ho iniziato… ti giuro, io non ho mai pianto in vita mia, ho pianto per la bicicletta. A un certo punto ho detto, arrivo giù in fondo, vedo ’sto furgone di una squadra completamente strapieno di corridore, addirittura aveva tutti i vetri tutti appannati a furia di tutti i corridori che c’eran su. A un certo punto ho detto: Ma io devo piangere per andare in bicicletta? Ma va’… Ma andate a fanc… Son andato giù piano, sono andato giù pianissimo perché avevo paura, no? Arrivato giù, prendo… Anzi, non mi son neanche cambiato, ho preso la roba, l’ho messa sopra perché non avevo neanche la forza. Arrivati a Santa Caterina Valfurva ricominciò a piovere, e lì la pioggia dal freddo fece reazione, mi scaldai e arrivai in albergo. In albergo ti giuro ho preso la sedia – sedia eh! – sotto la doccia, seduto, vestito, così, son stato venti minuti così poi paino piano ho iniziato a togliermi i vestiti. Ma è stata… ecco lì… ecco lì, stavo dicendo, è stato uno di quegli errori di Torriani. Ma è stato uno di quelli. Dei geni veramente del ciclismo. Poi venne, va bè, poi io sono entrato dentro che c’era già…».

- Quindi tu hai conosciuto il Torriani da corridore.

«Da corridore. Poi invece, quando son passato di qui, c’era già Castellano. E poi da Castellano… poi io con Mauro [Vegni] ho sempre avuto un buon rapporto, siamo come fratelli, ancora adesso, anzi ci scambiamo delle idee su come fare il Giro, su come non farlo, poi questioni di sicurezza, poi io guardo più che altro la sicurezza e i percorsi, mentre lui è più “politico”. E c’è stata questa, dicevi prima la parentesi di Zomegnan, ma non era… Zomegnan non poteva essere il vero patron del Giro perché devi seguire un percorso, devi avere un tesserino per fare il corso organizzazione, la responsabilità non era di… cioè Zomegnan, tra virgolette, di Zomegnan era la responsabilità aziendale, del Giro, ma la responsabilità in corsa è nostra che abbiamo questo…».

- Magari lui aveva un background diverso, cioè: la sua formazione giornalistica ha inciso o no? O è lui che è un personaggio molto particolare?

«Sì, era un personaggio un po’ particolare, nel senso che… Va bè, Zomegnan lo conoscevano un po’ tutti, no? Io, ti dico la verità, non ho mai avuto…».

- …per il tuo carattere?

«Sì, per il mio carattere, anzi io vado d’accordo con tutti perciò… Anche se vedo che molti colleghi sia arrabbiano., così… ma a me, mi entra di qua e mi esce di là perché tanto so che il mio carattere è fatto così. Magari mi arrabbio un momentino con te ma sai quante volte io e mauro ci mandiamo a quel paese, affanculo, e dopo un’ora è finito tutto, basta, siamo più amici di prima anzi… perché nel lavoro è così».

- Quindi le proteste a Roma al Giro 2019 non t’hanno fatto tanto male?

«Mah, le proteste a Roma guarda è tutta una scusa, te lo dico chiaramente».

- Perché?

«Secondo me non avevano voglia di correre. Semplice. È semplicissimo. Non avevano voglia di correre. Perché tu non puoi… cioè allora io ti dico una cosa. Al Giro…».

- Ma perché non avevano voglia? L’ultimo giorno?

«L’ultima tappa… Sai, l’ultima tappa… così… Io ti dico solo una cosa: la categoria dei corridori è un po’… un po’ particolare».

- Per non parlare della mia categoria…

«No… Allora: al Giro abbiamo avuto dei corridori che hanno rotto – scusa il termine i coglioni, dalla prima tappa…».

- Al Giro quest’anno o al Giro in generale?

«Al Giro quest’anno. Hanno iniziato a rompere i coglioni… alla prima».

- Già da Israele?

«No, da Israele no, dalla Sicilia, hanno iniziato a rompere i coglioni, anche italiani eh, uno in particolare italiano, che veramente noi ci speriamo… non vogliamo più averlo, e ha iniziato a rompere i coglioni, difatti con Gianni, Bugno, sai che è presidente, dopo il Tour gli dico, ci siam sentiti anche l’altro ieri, gli dico, va bè, questo dopo il Tour gli dico: Gianni, ma critiche da parte dei corridori? Stefano, io al Giro avevo – e guarda che noi per la sicurezza dei corridori facciamo tanto, ma tanto…».

- Voi al Giro? Al Tour un po’ meno.

«Noi al Giro. Tanto, ma credimi. Tanto. E si lamentano. Mi fa: “Stefano, io al Giro avevo due corridori che rompevano i coglioni tutti i giorni, mandarmi le email, email, email… Al Tour non ho avuto neanche un corridore che mi si è lamentato”».

- Paradossalmente?

«Cioè… ma mi dici che teste di cavolo che sono? Guarda che è una roba… noi per i corridori facciamo un piano sicurezza che è una roba impressionante. Impressionante. E per quello ti dico, quel corridore italiano, anche la [sua] squadra, non lo vogliamo più vedere. Che se ne stia… ma che vada a correre al Tour… Ma che vada all’estero».

- Se torna a casa con la pelle…

«Esatto. Ma che vada là, che non rompa più i coglioni, cazzo. Cazzo. Noi a momenti caliamo le mutande per i corridori».

- Però io a Roma c’ero…

«No, ti stavo dicendo».

- A Roma qualcosina c’era…

«No-no-no, te lo posso assicurare,. Te lo posso assicurare: allora a Roma è nata tutta così: facciamo il primo giro. Ti dico la verità: non avevano voglia di correre».

- Sì, io quello non lo contesto…

«Tu non puoi fare tre giri lamentandoti dei sampietrini, che poi le buche non ce n’erano, le buche, lamentandoti dei sampietrini, eh non si può e di qua e di là e su e giù, poi vieni lì e dici: va bè, neutralizziamo la corsa? Okay, neutralizzo. Ci siamo messi d’accordo, è andato Velo in gruppo dicendo; va bè, noi neutralizziamo la corsa però non fate i pagliacci, cioè, voglio dire, i pagliacci nel senso che non è che prendete, vi staccate, prendete venti minuti, di qua e di là… no no non ti preoccupare, non ti preoccupare… dopo al terzo giro, la corsa neutralizzata, pam!, vanno via, e vanno via a sessanta all’ora, hanno fatto sette giri a sessanta all’ora».

- Eh sì, ero lì…

«Allora mi dici che differenza c’era tra prima e dopo? Poi Sky dovevano mettersi davanti a tirare, non son riusciti ad andar davanti. Perché talmente andavano forte e Froome si è staccato, ha preso quei dieci minuti, noi eravamo un po’ incazzati ma non con la squadra, cioè proprio con loro. E che cavolo, scusami eh, se prima era pericoloso, dopo? È vero che uno rischia di, poteva rischiare di perdere il Giro, che una caduta, una foratura, sdicevano che non riuscivano a rientrare, però, va bè… comunque, è andata così… E secondo me, perché non avevano voglia di correre, perché, senti: potevano fare benissimo… Perché son venuti già dall’iniziano a lamentarsi, se facciamo cinque giri piano… no, cosa dici? Ma fate quello che volete, tanto è l’ultimo giorno, gli ho detto. Son venuti da me. Ma vogliono fare cinque giri piano. Ma che facciano… Fate i primi cinque giri piano e fate gli ultimi cinque giri andando via regolari ma proprio… così… E come si dice…».

- Ma dopo tre settimane in cui han fatto di tutto perché non avevano voglia di correre [proprio l’ultimo giorno]? Non sta in piedi ’sta cosa… o no? Non credi?

«Mah, è perché, guarda…».

- …perché il corridore è così.

«È fatto così, il corridore. Mi ricordo anch’io quando correvo anch’io ero uguale eh, non pensare… quando non avevi voglia di… abbiam fatto degli scioperi noi che adesso tornando, pensando a…».

- Tipo quello di Valerio "Pacho" Lualdi?

«No, no… No-no-no. No, lì abbiam fatto uno sciopero per la storia del casco. Perché era l’anno che volevano imporci il casco e noi non volevamo. E siamo stati stupidi… Adesso, pensando col senno di poi, dici: che teste di cazzo che eravamo. Perché il casco era quello che ti salvava…».

- È vero che era un casco ancora…

«Sì, è vero- Però sai cosa c’è? È che era l’imposizione, allora c’era l’imposizione di una cosa che tu non volevi perché era… Cioè: il ciclismo è nato senza… Col cappellino, così… Però, tornando indietro... Io adesso vado in bicicletta e se non ho il casco… è come quando… era un’imposizione perché avevano fatto "sciopero", tra virgolette sciopero, alla Parigi-Nizza e il giorno dopo è stata replicata alla Tirreno. E ci eravamo messi, anche lì, da stupidi, fermi in mezzo alla strada, si arrivò, poi c’era il povero Mealli che era venuto lì a contrattare. "Daaaiii, partite…". Mi ricordo che si arrivò alle sei di sera che già era buio. Cioè, facevi delle cose che proprio…».

- Franco Mealli, il maestro di Vegni, no?

«Il maestro di Vegni, sì. Un altro organizzatore…».

- Volevo chiederti una cosa in particolare dell’87, perché tu per esempio hai fatto quel Giro lì’ di Sappada e poi l’unico Tour che hai concluso è stato quello del 1987 che era stato forse uno dei più duri di quegli anni lì, con un caldo terrificante, no?

«Io ero, adesso… io quando c’ho… sai che Bontempi è un nostro collaboratore in moto, no?».

- Vuol andar via del ciclismo m’ha detto, dici che gli passerà?

«Ma sììì… [ridiamo, nda] Allora nell’86 [o ’87?, nda] mi fermai al Giro, al Tour per colpa di Guido, eravamo io, Ghirotto, Guido, mi ricorderò sempre che cis siamo staccati sul Tourmalet, no sulla salita prima del Tourmalet. Ai piedi del Tourmalet c’era il rifornimento. E io sai ero ragazzino, ah dai, fermiamoci, fermiamoci, e io un po’ perché ormai eravamo staccati. E poi ti dico la verità, non è che avevo molta voglia di correre quel Tour e… mi fermai. Loro continuarono e finirono il Tour [sorride, nda] allora l’anno ho detto cazzo no, devo andare al Tour. Lo devo finire. E adesso infatti quando vedo Ghirotto e Bontempi ci mettiamo a ridere perché ho detto: va’ che cagnacci, io son salito sul camion-balai, mentre voi… io ero lì che imprecavo: Fermatevi, barboni! [ride, nda] e io ero seduto sul camion e loro erano lì’ che andavano sul Tourmalet. Va bè, comunque… vedi ecco l’amicizia che tornavamo a quello di prima, è… sì, vedi ancora adesso per noi c’è ancora amicizia tra Guido [Bontempi], Ghirotto, tutti quelli che…».

- È il famoso cameratismo che dici: dov’è finito?

«Esatto… che quindi veramente… E stavi dicendo dell’87?».

- L’87 è stato un Tour durissimo con quel caldo terrificante, i cinque giorni in Germania… ecco perché volevo portarti a parlare di Roche e Visentini, ultimo capitolo del nostro viaggio. Nell’87 ha vinto tutto, tu eri in gruppo quindi hai visto sia il Giro sia il Tour. Mi racconti intanto se per te è stato tradimento oppure no. Cosa è successo quel giorno di Sappada?

«Eh, guarda, io non lo so perché ero dietro».

- Eh, lo so, anche Roberto era abbastanza dietro…

«Io ero dietro quindi non lo so cosa può essere successo. Ma io…».

- Da corridore…

«Da corridore. Mah, allora non è che avevo un grande rapporto con Roberto perché…

- Perché tu eri proprio all’inizio…

«Sììì, io un bel rapporto con Roberto l’ho avuto nell’89 alla Malvor, da lì siamo diventati grandissimi amici. Grandissimi amici».

- Ne avete mai parlato d questo, no?

«No».

- Perché per lui è tabù?

«No, no, io.. è anche una mia questione un po’ mia particolare. No, l’unica cosa veramente che gli ho chiesto, sai che l’anno scorso han fatto la festa dei trent’anni di Carrera…».

- Sì, il 30 settembre 1987.

«Bravo».

- Tu sei andato, no?

«Sì. Anche se non ero… Non c’entravi niente però… Boifava m’ha sempre voluto alla sua squadra, mi voleva nella sua squadra così però io non sono… anche perché ti dico un particolare, dopo te lo dico di quel Tour lì, e ho sempre avuto un buon rapporto con Davide e allora ha voluto che andassi anch’io ma c’erano anche altri corridori. Allora gli dico chiamo Roberto, dico: Oh, Roberto, guarda che io c’ho questo invito qua, ci vediamo lì. Fa: ma vai affanculo…».

- Eh, stavo per dirti, ma ti ha mandato a...

«No, a me no, fa: ma col cazzo che vengo, io deficiente… [ne imita la voce, nda]

- Lui lo chiama quello là.

«Quello là, si. Ma col cazzo che vengo, io. Ho detto: va bè Roberto ho già capito tutto, dai. Va bene».

- Anche Cassani ci ha provato, e lui: «Senti, Cassani, se vuoi che rimaniamo amici…».

«No, a me no… non m’ha detto così, però… Ah, l’aneddoto di Boifava, per quello. Ti racconto quel Tour lì era il primo anno che stanga faceva il Tour, ’87, lì si arrivò dove Roche gli diedero…».

- L’ossigeno, a La Plagne.

«L’ossigeno, a La Plagne. Quel giorno lì si partiva dai piedi… Perché il giorno prima si arrivò su all’Alpe d’Huez e il giorno dopo si arrivò a La Plagne con… facevamo il Tourmalet come prima salita però facendola da dietro, no? Io quel giorno lì, pronti-via, inizio a… cazzo il Tour, anche nel trasferimento, no, anche il trasferimento, andare al chilometro zero, menavano.. cioè eri già in acido lattico perché, oh, ma come cavolo fanno questi qui andare… e c’era Hinault [NO: Hinault si è ritirato nel 1986, nel 1987 non c’era, nda] là davanti che menava… dicevo: Madonna, ma come fanno, ma… ma come fanno – dentro di me...».

- No, aspetta: chi c’era?

«Hinault».

- Ma si era già ritirato…

«No, ’86, scusa…».

- Ah, ecco, l’anno prima che dopo non l’avevi finito.

«L’anno prima, non l’ho finito, no? E vedevo là che menavano e dicevo: ma porco… ma come fanno. Oh, eri già a limare prima ancora della partenza. Era una roba impressionante. Allora senonché, strada che va su leggermente no, tiratina, oh madonna, vedo tutti che si staccano, io sto lì… cazzo, madonna ma che gamba che c’ho oggi… dentro di me, no? A un certo punto, prima di girare a sinistra che iniziava il Tourmalet, entro in galleria, mi si è spenta la luce. Dico: cazzo. Oh, non andavo più avanti, sai cosa vuol dire non andavo più avanti. Vado su col mio passo, oh rimaniamo – mi ricorderò sempre – io, Zimmermann che era lo svizzero e altri due. Ultimi. Orco cane, dovevamo ancora fare la Madeleine, scendere e fare la Plagne. Eh cazzo. Cosa faccio? A un certo punto, dopo scendiamo dal Télégraphe, facciamo un venti km di pianura, non mi si fermano mica tutti e tre, rimasi da solo. Ho detto: ma porco… Ma io cosa cavolo faccio? Dovevo fare ancora La Madeleine, 25 km di salita. Quando ho iniziato, giri a destra che vedi 27 miglior grimpeur, ti viene ti giuro… ti viene la morte, ti viene… Da solo. Anche perché quel Tour eravamo rimasti in due in squadra, io e [l’austriaco Gerhard] Zadrobile, alla [Supermercati Brianzoli-]Château d’Ax. Cosa facciamo, cosa non facciamo. Ho detto. Vado su piano piano, io infatti andare su vedevo l’elicottero là in cima, io ero qui, ho detto: come cazzo faccio ad arrivare all’arrivo? Invece, oh, piano piano, vado su col mio passo. A un certo punto, iniziato la discesa e mi trovo [Jean-Paul] van Poppel che era caduto con due compagni di squadra là che lo avevano aspettato perché aveva la maglia verde…».

- E ti attacchi a loro…

«E mi sono attaccato, cioè mi son “attaccato”… Han sempre tirato loro fino a La Plagne. A La Plagne andiamo su e rimasi dentro [il tempo massimo] per tredici secondi nel tempo massimo. Adesso torno indietro a Boifava e a Stanga. C’era stanga sull’arrivo e mi disse: “Hai capito che il corridore non è il tuo mestiere?”».

- Eeehhh!

«Giuro. Ho preso la bicicletta, volevo tirargliela addosso».

- Io gliela avrei tirata.

«Volevo tirargliela addosso. C’era Boifava lì che m’ha bloccato. Veramente».

- Ma perché t’ha detto così per farti male?

«Ma era talmente pirla… Eh, cazzo, siamo rimasti in due in squadra, è già tanto che arrivi a Parigi con due corridori e ancora adesso mi viene lì e ridendo e scherzando mi fa: Oh, Stefano, ti ricordi quando siamo arrivati in due te e Zadrobile e io dietro…? E gli volevo dire: “Ma vai a cagare, va’, pirla”. E però sai questione di pelle, no? Cioè…».

- Ma perché non sei mani andato con le squadre di Boifava, avevi un…?

«Eh, perché… perché non lo so come mai. A me per esempio mi sarebbe piaciuto andare con Ferretti. perché Ferretti…».

- Quello però magari ti tirava fuori anche quello che non avevi.

«Esatto. Esatto… Difatti quando trovo Ferron… gli dico: Ferron sei proprio un bastardo, cazzo, anziché prendere Baffi, prendevi me. Cazzo, magari ti vincevo… però sai sono quelle situazioni che…».

- Eh, col senno del poi…

«Esatto, sì. Ecco, no ti stavo dicendo, l’ non lo so la differenza che c’è stata. Sì, vedevi la tensione, la vedevi, la palpavi. La “vedevi”, no?, la tensione, però non ci facevi caso anche perché avevo già i miei problemi per finire il giro, a finire il Tour».

- Non era mai successo in modo così plateale che un compagno attaccasse - e in modo così smaccato - la maglia rosa, e che per di più puntava al bis consecutivo…

«Sì, però… Esatto. Io sono amico di Roberto però, alla fine, questo qui ha vinto Giro, Tour e mondiale. Cosa… vai a dire qualcosa».

- No, c’è qualcuno che dice che andava forte anche troppo forte, però… Senti, dimmi invece dal punto di vista caratteriale, li hai conosciuti entrambi, ti ricordi com’erano?

«Ma te l’ho detto ancora adesso, ma io te l’ho detto, io sono… È il mio carattere, io sono amico di tutti, eh. Ma ancora adesso».

- Erano molto diversi, anche in corsa.

«Ecco no a proposito ti faccio vedere una foto proprio di quel giorno lì la stavo guardando ieri».

- E come ci sei finito a guardare quella foto lì trentun anni dopo.

«Aspetta la devo cercare perché l’ho vista proprio ieri, ma porco cane, l’ho vista proprio ieri e ho detto guarda te ’sta foto qua, ah sì 30 settembre: Bertolini, Roche, io e Miceli. Eravamo lì alla festa».

- Mi racconti di quella festa lì? Che effetto ti ha fatto?

«Mah… io va bè ero un po’ estraneo, però ti dico la verità c’era anche Stanga, c’erano molti altri.. però è stato bello. Ad esempio io sai chi… una mi piacerebbe io ho detto a Reverberi, io ho fatto tre anni con Reverberi, no? Ho detto: caspita, ma perché non fai anche te una sorta di riunione [con i corridori] che hai avuto. Va bè lui, i soldi… cazzo… però la Navigare così è bello no? Scusami, hai tutti i tuoi ex corridori… Tutti quanti. Un anno, l’abbiam fatto. Dopo tre anni che avevo smesso. Abbiam fatto una riunione di tutti i vecchi… “Vecchi”, insomma…».

- Vabbè che Reverberi son 53 anni che è dentro il ciclismo, in tutto? Sai quanti…

«Eh, ma però vedi è uno che alla fine ha sempre ragione. I corridori li tira fuori. È bravo… È bravo».

- Tu sei stato con stanga sei stato in piccole medie e grandi squadre, ne abbiam parlato e riso anche con Stanga, la Carrera era abbastanza all’avanguardia in quegli anni, non dico che era il Team Sky [Ineos dal 2019, nda] di oggi perché c’era meno forbice tra le medio-piccole e le grandi, però anche per esempio loro son stati i primi in Italia a prendere il pullman usato dalla PDM – Stanga lui dice che è stato lui il primo.

«No-no-no, allora, è così: la Carrera aveva un… non aveva un pullman, aveva un van e però non so cosa… non portava corridori… Stanga è stata il primo noi come Château d’Ax…».

- La motorizzazione non voleva omologarglielo.

«Eh sì, perché avevamo preso un pullman inglese, a due piani. Alla Château d’Ax».

- A due piani non me lo aveva detto

«Sì, sì, era un pullman rosso inglese, fece il Giro d’Italia, noi ci cambiavamo in quel pullman lì. E su questo c’ha ragione Stanga, è vero».

- Argentin vi prendeva in giro: Noi prendiamo i corridori loro prendono il pullman. Per dirti com’era percepito… Ferretti invece mi ha detto, ma lei con ’sto pullman… Ferretti invece aveva comprato un mini-van da nove posti, piccolino.

«Sì-sì, la Fassa Bortolo era, me lo ricordo. Me lo ricordo. Adesso se non hai il pullman non sei una squadra».

- Volevo chiederti com’era la Carrera, se era così all’avanguardia come tutti mi han detto.

«Be’, era la squadra di riferimento degli anni Ottanta».

- Anche per il look, poi era una delle poche italiane a fare il Tour che ai tempi dovevi sganciare 100 milioni di lire…

«Ottanta. Ottanta milioni, sì. Ti dico questo perché quando ero alla Malvor, Zandegù pagò 80 milioni per andare al Tour. Eh era la squadra sì era più una squadra internazionale. Anche se c’era Moser e Saronni, per. Saronni, Beppe, era uno che andava poco al Tour. Solo nell’87…». [Fu l’unico Tour di Saronni, che si ritirò alla 13ª tappa; quattro invece le sue partecipazioni alla Vuelta, nessuna delle quali portata a termine; nda]

- Uno e mezzo ne ha fatto…

«No, uno».

- Uno Moser, uno e mezzo Saronni...

«Si ritirò, Beppe. Era l’87».

- Ma era una bufala che Pietro Scibilia, suo patron alla GiS, gli diceva: Per me conta più il Giro di Puglia che il Tour.

«Eh, questo non lo so. Mi sembra un po’… Non lo so, però… Eh, però, sai, anche per esempio anche noi Château d’Ax erano tutti sponsor italiani…».

- Certo. Con un mercato italiano…

«Con un mercato italiano».

- Quindi il centro dei…

«Il centro era in Italia. Del Tongo doveva vendere in Italia, non deve vendere in Francia».

- All’epoca.

«Oggi, esatto, il ciclismo è talmente globalizzato che se non vai lì… Ma è normale, quello voglio dire».

- Ma tu che adesso se di qua della barricata, intanto ti chiedo se il ciclismo ti diverte ancora o se ci sono troppi soldatini.

«No, guarda adesso… adesso come adesso è stancante. Ma stancante nel senso di noioso. Tu guarda le corse».

- Però qualche eccezione c’è

«Sììì…».

- Sagan che vince così la Roubaix…

«Lascia perdere quello. Ma io parlo di corse a tappe. Corse a tappe, non c’è un giorno, pronti-via va via la fuga e la riprendono a dieci km dall’arrivo. È tutto il giorno così, cioè… è noioso».

- E cosa si può fare per spezzare questa monotonia?

«Anche la vuelta sta provando a fare tappe più brevi così però alla fine c’è poco da fare è la mentalità dei direttori sportivi, dei corridori che deve cambiare. Adeso ti dico non è possibile vai a rivedere il Giro di quest’anno. Tutti i giorni, l’unico giorno in cui non vanno in fuga è quando c’è la cronometro [sorride, nda] perché sennò tutti i giorni c’è via la fuga. Pronti-via, va via la fuga e la riprendono a dieci-quindici chilometri…».

- …quando vogliono loro…

«Quando vogliono loro. È diventato noioso. Infatti io ogni tanto parlo con Mauro e dico Mauro cazzo cioè una noia mortale. Mortale,. Mortale, veramente. Non lo so, sinceramente, o provare cambiare un momentino, vedere…».

- La vedi difficile quindi con le radioline, con gli srm e i wattaggi, tutto quello che vuoi una Sappada con il presunto tradimento, una La Plagne con l’ossigeno, oggi sarebbero impossibili?

«Nooo, impossibile».

- Perché Roche non farebbe quello sforzo per andare a prendere Delgado perché con le radioline gli direbbero: Guarda, ti mancano…

«Però sai è anche vero che il ciclismo deve modernizzarsi non può rimanere ancora ai tempi di Coppi e Bartali. Adesso faccio un esempio di Coppie e Bartali. Cioè, anche lì, un esempio: è vent’ anni che c’è il peso della bicicletta [fissato] a 6,9 [chili]».

- Che forse non è più attuale…

«Ma no, ma scusa, la Formula Uno ogni anno si migliora, le MotoGP ogni anno migliorano. Eh cazzo, guarda le biciclette, i telai, come sono migliorati nei vent’anni. Vuoi che un Pinarello, o… faccio un Colnago un grande nome, vuoi che non faccia una bicicletta che pesa cinque chili? Ma se vogliono te la fanno».

- Ne ha fatta una da cinque e mezzo nel 1972 a Merckx per il record dell’ora…

«Cioè ,voglio dire, ma perché la tecnologia non deve andare avanti nel ciclismo».

- E perché non si abbassa questo limite?

«Boh, perché, guarda, ci sono delle teste all’UCI meglio non parlarne, cioè ma c’è un capitolo intero, guarda. Un capitolo intero. C’è gente che proprio, credimi, sinceramente, non lo so… Non so come facciano a lavorare lì’ veramente cioè… boh, non lo so… a me piacerebbe sapere anche tutti i criteri del loro nei confronti dell’Italia perché loro veramente…».

- Perché solo dell’Italia?

«Perché non si lamentano del Tour?».

- Eh forse perché sono pappa e ciccia con l’Aso, non lo so… penso.

«Noi l’anno scorso abbiamo avuto, per quella storia del poliziotto che poverino non c’entrava niente perché lui era al di qua, era sulla linea, cazzo, scusa un attimo, ma c’ha una strada che è larga venti metri, venti metri, il poliziotto si ferma per… sulla linea bianca per far passare il gruppo, per andare dietro a prendere gli altri gruppi dietro, i corridori ritardatari, e se tu guardi bene il filmato al rallentatore, vedi che c’è una squadra che stava arrivando Sky, da questa parte, e una squadra che la chiude, e viene lì il giorno dopo, arriva una lettera via email dall’UCI di mandar via il poliziotto, dio… Aho! Ma noi mandiamo via voi, no il poliziotto! Il poliziotto è l’ì a fare il suo dovere. Voglio cedere se hai mandato una lettera al Tour per quello che è successo…».

- All’Alpe d’Huez…

«Dell’Alpe d’Huez oppure dei poliziotti che spruzzano il… A parte che se succedeva in Italia il poliziotto era già che… era poverino [in galera, nda noi]… Però voglio dire…».

- E invece dei fumogeni lì cosa mi dici? Alla Sanremo, eh…

«I fumogeni, alla Sanremo, sempre, sul Capo Mele c’è sempre…».

- Mi ricordo che anno era…

«No, c’è sempre».

- No, quando è iniziato.

«Ah, sarà dieci anni».

- Il processo di emulazione dal calcio.

«Sì, va né ma solo lì, in Italia c’è solo quello e basta. Eh ma sai…».

- Io allo Zoncolan c’ero, e non è successo niente. È vero che ci sono gli Alpini, la Protezione Civile…

«Sì, però quello che è successo a Nibali è successo a 4 km dall’arrivo, no? Però, guarda, la differenza tra l’Italia che gli alpini son messi lì, lì eran gli ultimi due chilometri».

- Lì, allo Zoncolan?

«Allo Zoncolan… Io, che faccio la corsa con i corridori, sulla moto, ti dico che poteva benissimo succedere anche in Italia, eh».

- No, pensavo mi dicessi che nessuno ha parlato anche di Nibali, anche lui forse qualche responsabilità ce l’ha o no? O succede e basta?

«Nooo, lì secondo me lì la colpa del Tour non è derivata dal fatto che… cioè io ho sentito dire anche in televisione “mettiamo le transenne”. Ma ragazzi, sapete cosa vuol dire… Anche l’Alpe d’Huez: sono tredici chilometri di salita…».

- Ma è vero o no che costerebbe “solo” 180 mila euro in più transennare tutto?

«Nooo, ma dove?!. Ma dove…».

- No, ti chiedo perché tu sei dentro, io non so quanto potrebbe costare.

«Ma figurati. Allora, tredici km di salita son 26 km di transenne. E 26 km di transenne sai cosa vuol dire, i costi? - primo. Ma costano una follia, primo; secondo…».

- Dammi un ordine di grandezza: voi transennate gli ultimi tre km, giusto?

«Ma non lo so, perché noi facciamo gli ultimi tre, più quattrocento metri dopo, però abbiamo anche transenne su tutto il percorso, gli ultimi trenta chilometri, però va bè, lascia perdere quello, gli ultimi tre. Perché noi facciamo… non posso quantificarlo, perché facciamo un contratto annuale quindi non riesco a quantificarlo».

- Però voi non avete il potere di dire tipo li voglio più coperti lì o meno coperti là?

«Sì, sì, sì».

- Quello nel contratto c’è?

«Noi decidiamo dove metterli, quello sicuro».

- Il forfait è solo sulla cifra, non su quanti ve ne servono e dove…

«No, abbiamo uno standard di dieci chilometri da, faccio un esempio…».

- E decidi tu dove metterle.

«Dove metterli, sì. Lo standard di arrivo è quello. Poi la rimanenza sappiamo che c’è una curva “pericolosa”, allora le porti lì. però quello è una roba che poi il… chi fa le transenne è 50 anni che è con noi, cioè “con noi”, prima il vecchio proprietario poi adesso questi due nuovi, che loro portano sempre due-tre km di transenne in più. Sempre. E quindi poi sai alla fine, è tutto un forfait e quindi una mano lava l’altra. Ma cioè sentir dire anche in televisione “ah, dobbiamo..:”:. Si ma poi la gente, anche se metti le transenne…».

- Le scavalca…

«Scavalca. [sorride amaro, nda] Quindi non pensare che…».

- Quindi non è un problema di costi, mi stai dicendo questo?

«No, quello che volevo dirti è che il problema, secondo me di quello che è successo, il problema è che il Tour de France è che gli son andati via due manici veramente forti, importanti. Uno è Laurent Bezault che p un ex corridore che correva con me e l’altro è l’ex direttore di corsa che è [Jean-François] Pescheux.

- Sì, di Pescheux sapevo…

«Perché se tu guardi la salita, le moto della polizia son state sempre lì vicino, se capitava in corsa, e Pescheux era dietro nella macchina con il presidente di giuria, stai tranquillo che le faceva “allungare”».

- Ma perché invece adesso… non hanno lo stesso polso? Lo stesso senso della corsa?

«Non hanno… No., è che è cambiato proprio completamente il management proprio di tutto il Tour, non hanno magari esperienza, non lo so… però, sai, difatti Bezault se n’è andato perché doveva prendere lui il posto di Pescheux, quando hanno invece preferito un altro che non aveva l’esperienza e tutto quanto allora ha detto sapete cosa vi dico? Andate affanculo, me ne vado».

- Ed è andato a fare altro o…

«È andato a fare altro. È andato… adesso lavora per la UCI per il settore sempre in strada però africano, perché lui ha sposato… la moglie è africana.. e segue tutto quello che c’è, le corse in Africa. Ecco, secondo me è mancato quello. Manca quello al Tour. Poi manca… vedi tante cose, a partire dalla sicurezza a tutto...».

- È talmente gigantesco che… sta inghiottendo se stesso, no?

«Sììì, poi anche il fatto di secondo me sbagliano anche loro a istigare anche la gente contro Froome, poi gli sputi, gli tiran la piscia, cioè… Cercare di dargli un pugno, voglio dire…».

- Anche Thomas non solo Froome…

«Eh sì tutta la squadra no nel senso… in Italia… infatti se senti Brailsford, cosa ha detto, diecimila volte meglio l’Italia. Però sai il Tour è talmente gigante…».

- Ma voi come vivete questo rapporto con loro?

«Eh noi lo viviamo…».

- Perché, vista da fuori, Christian Prudhomme viene da voi e sembra quasi che venga lì a imparare, anche no?

«Ma guarda che quando c’era Bezault che lavorava per il Tour sai quante volte che… perché correvamo assieme siamo molto amici, mi chiamava per dire…».

- Per chiederti: ma tu come faresti per…?

«No, no: mi diceva, ma se tu guardi le cartine, le altimetrie del Tour, le nostre son veritiere, quelle del Tour, no. Sono… mi chiedeva chi le faceva. Oppure le prime strisciate che c’erano per strade sulla linea d’arrivo, perché in Italia da parecchi anni non si può più verniciare, allora avevamo – non noi, il fornitore ha “inventato” le pubblicità che… removibili. E loro… ma tante cose loro ci hanno chiesto…».

- E vale anche il viceversa?

«No, noi non abbiam mai chiesto… Nooo, noi proprio non chiediamo mai niente ai francesi anche perché siamo un po’…anche perché non per vantarsi ma come organizzazione siamo molto superiori a loro».

- In che cosa?

«In tutto: in sicurezza, in… ecco, noi magari pecchiamo un momentino sulle evacuazioni. Però le evacuazioni… il problema è sai cosa c’è? Che loro hanno una polizia sola, avendo la Gendarmerie…».

- Invece i nostri si fanno la guerra tra di loro?

«No, noi se poi sai cosa c’è? che tu ai francesi all’estero gli dici “stai fermo”, stai fermo, anche il pubblico. In Italia, cioè gli dici: “Stai fermo”, ti giri di là, è già passato».

- Questo però è in contraddizione con il fatto che (anche in Francia) scavalcano le transenne…

«Va bè, ma le scavalcano dappertutto…».

- Lì c’è anche il fattore-alcool specie lì all’Alpe d’Huez, che è talmente particolare…

«Lì, guarda… E comunque, ti dico: c’era molta meno gente rispetto agli altri anni, eh».

- Questo me l’hanno detto in diversi…

«Io, visto… in televisione ti dico che c’era molta meno gente, ma si vedeva. Gli olandesi erano molto meno rispetto...».

- Perché?

«Perché han fatto magari durante la settimana».

- Ah, perché non era nel weekend...

«Noi cerchiamo sempre di mettere il sabato la domenica, invece loro l’han fatto di giovedì». [12-esima tappa Tour 2018, il 19 luglio: un giovedì]

- M’è andato l’occhio qua, perché correva sempre in decima quindicesima posizione a destra del gruppo.

«Mah, non lo so, non ho mai…».

- Questa è la caduta di Pila…

«Qua, è a sinistra però…».

- Invece l’altro era un maestro…

«Non lo so, lui sempre al vento, glielo dicevamo sempre».

- Maini m’ha detto: ci credo che è bravo a cronometro, per lui tutte le corse erano a cronometro…

«Sì, sì, sempre al vento».

CHRISTIAN GIORDANO ©

NOTE

[1] A mettere in bicicletta Allocchio sono stati Luigi e Antonio Salis (il primo meccanico di Stefano), due fratelli sardi di Jerzu emigrati a Milano negli anni ’60.

[2] Mario Schifano (1934-1998), artista, pittore e regista, fu insieme con Franco Angeli e Tano Festa uno dei punti di riferimento nella pop art italiana ed europea.

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