MARC GOMEZ, UN CARNEADE ALLA MILANO-SANREMO 1982 DOPO UNA FUGA INFINITA
articolo di Nicola Pucci
La Milano-Sanremo del 1982 viene ricordata per due motivi, ed è giusto ricordarli entrambi. L’uno, Marc Gomez, è il vincitore, più che sorprendente ad onor del vero, e si rende artefice di una prestazione da capogiro, l’altro, prettamente geografico, registra l’introduzione di un’ascesa, quella della Cipressa, destinata da quell’anno a condizionare più volte le sorti della “classicissima di primavera“.
Marc Gomez, francese di Rennes, classe 1954, di mestiere fa il perito informatico e ha appena lasciato l’università per dedicarsi al ciclismo, visto che se a tempo perso distribuisce i giornali in bicicletta, ha pure ottenuto qualche buon risultato da dilettante, compreso il nono posto nell’edizione del Mondiale di categoria del 1981 disputato a Praga. Il ragazzo veste la maglia della Wolber, e seppur sia già 27enne, è al primo anno di professionismo e debutta proprio in Riviera in una classica-monumento del ciclismo internazionale, ignaro che di lì a qualche ora sarà il primo transalpino a tagliare a braccia alzate la linea d’arrivo di Via Roma da quando vi riuscì Joseph Groussard nel 1963.
Il 20 marzo 1982 la “classicissima” propone un nuovo strappo tra il Capo Berta e il Poggio, la Cipressa appunto, introdotta dal patron Vincenzo Torriani con l’idea di movimentare la corsa nelle sue battute conclusive. Si tratta di un’arrampicata di 5 chilometri che si spera faccia selezione, sia in salita che nell’altrettanto impegnativa discesa, visto che poi il traguardo dista dalla vetta solo 22 chilometri, portando il totale dai canonici 288, rimasti tali dal 1960, ai definitivi 294 chilometri.
Alla partenza da Milano, tra i 260 iscritti alla corsa, il nome che circola sulla bocca di tutti quale favorito è quello del vice-campione del mondo Giuseppe Saronni, tre volte beffardamente secondo nel 1978, nel 1979 e nel 1980, che dall’inizio della stagione ha già vinto Giro di Sardegna, Milano-Torino e Tirreno-Adriatico, mentre il suo storico rivale, Francesco Moser, campione d’Italia in carica, non appare in grande forma. Tra gli stranieri, si teme soprattutto la coppia composta dei due ultimi dominatori, i due belgi Fons De Wolf e Roger De Vlaeminck, che sono pronti a far saltare nuovamente il banco, l’uno confidando ancora nella sua inventiva, l’altro puntando sul suo spunto veloce in caso di arrivo allo sprint, come seppe fare a tre riprese, nel 1973 e nel biennio 1978/1979. L’olandese Jan Raas, altro velocista di rango, a sua volta non è escluso dal pronostico, così come, in casa Italia, cullano qualche legittima ambizione Moreno Argentin, secondo all’ultimo Giro di Lombardia, e i due leader della Bianchi, Gianbattista Baronchelli e Silvano Contini.
Ma i piani dei pretendenti alla vittoria finale vengono già messi in discussione dopo soli otto chilometri, quando un plotoncino di tredici corridori prende cappello dal gruppo e se ne va all’attacco da lontano. Agli iniziatori della fuga, Claudio Bortolotto, Daniele Antinori, Stefano Boni, Cesare Cipollini, Roberto Bressan e il francese Pascal Guyot, si aggiungono Guido Bontempi, Walter Delle Case, Sergio Santimaria, Mauro Angelucci, i francesi Alain Bondue e Marc Gomez e il belga Hendrick De Vos.
Ben presto comincia a piovere ed è anche per questo che gli “sceriffi” del plotone si disinteressano di questa piccola truppa d’assalto. Quando la strada comincia a salire, perde le ruote il solo Cipollini, e gli attaccanti arrivano al vantaggio massimo di 14’24”. Dietro, le cadute fanno svariate vittime, tra cui Rick Van Linden, ma sono soprattutto la pioggia, sempre più insistente, la grandine, pure il nevischio ed il freddo a consigliare un anticipato caldo rifugio a Battaglin, Beccia, Baronchelli, Thurau e Saronni. Sul Passo del Turchino transita per primo in vetta Bontempi che si catapulta in discesa con 1’15” sugli ex-compagni di fuga e oltre undici minuti sul gruppo.
Ripreso Bontempi, che cade verso Oneglia, il gruppetto di testa si sfilaccia e davanti rimangono Gomez, Bondue, Bortolotto, Delle Case e De Vos, mentre nel plotone principale, che conta già numerose defezioni, cominciano a spingere Moser, un pimpante Moreno Argentin, Silvano Contini e lo svedese Tommy Prim, con il margine in vetta al Capo Mele che si è ridotto a 6’28”. Ma la loro azione sembra ormai tardiva.
Ecco dunque la Cipressa, ed è qui che la 73esima edizione della Milano-Sanremo conosce il suo momento decisivo, perché se Bondue, argento alle Olimpiadi di Mosca del 1980 ed iridato in carica dell’inseguimento, che è fortissimo sul passo ma per l’occasione dimostra di cavarsela anche quando la strada sale, scollina in prima posizione, alle sue spalle, in discesa, si accoda proprio Gomez, che sarà un neofita ma ha davvero energia ed entusiasmo da vendere.
Moser, nel frattempo, ha dimezzato il passivo, che ammonta ora a 3 minuti, ma quel che accade alla prima curva della discesa del Poggio ha dell’incredibile perché Bondue, che pareva il più forte, scivola sull’asfaldo reso viscido dalla pioggia e Gomez, incredulo forse ma meritatamente per lo sforzo profuso, può involarsi giungendo in beata solitudine in Via Roma andando a cogliere una vittoria magistrale che davvero nessuno aveva pronosticato.
Bondue, che si era prontamente rimesso in bicicletta ma non riesce a colmare il distacco, desolato, giunge a 10″, con Argentin che dopo 2’01” vince la volata di quel che rimane del primo gruppo di inseguitori anticipando Moser, Prim, Bortolotto e Contini.
Marc Gomez, occhialuto e temerario, che Hinault, bretone come lui, non volle nella sua Renault-Gitane, non darà gran seguito a quel primo, clamoroso successo di una carriera da professionista appena sbocciata, vincendo è vero qualche settimana dopo il prologo alla Vuelta (a cui aggiungerà due vittorie nel 1986, vestendo complessivamente la maglia “amarillo” per nove giorni) e trionfando ai campionati francesi su strada nel 1983, ma dando forza a quel motto che testualmente recita: “carneade chi era costui?“
Commenti
Posta un commento