TRENT’ANNI DOPO L’ERA MANDELA ADDIO OCCIDENTE PER XI & PUTIN
SONO AUMENTATE DISOCCUPAZIONE E CRIMINALITÀ, NELLE TOWNSHIP SI MUORE ANCORA PER UN FARMACO CHE MANCA
3 Jan 2025 - Sette
DI CARLO BARONI
Ci sono Paesi antichi che sanno coniugare solo al futuro. Non vivono il presente e rimuovono il passato. Come eterni adolescenti che faticano a crescere. Il Sudafrica è uno di questi Paesi. Sospeso tra uno ieri da dimenticare e un domani da sognare (più che da inventare). L’intera Africa australe è come una matrioska che bisogna aprire per scoprire che dentro ce n’è un’altra. Una terra in continua evoluzione. Qui la Storia si è scritta con tutte le sfumature degli inchiostri. Ci trovi la rabbia e l’amore. I pregiudizi più biechi e gli ideali più elevati. Charles Darwin era convinto che questa fosse la culla dell’umanità. Forse anche perché è la terra dove tutto sembra prendere Vita.
A trent’anni dalle prime elezioni libere, dal primo presidente nero (Nelson Mandela) il Sudafrica si trova di fronte a un nuovo inizio. L’ennesimo. La Rainbow Nation ha i colori sbiaditi di chi si era illuso. I numeri sono impietosi. Sono aumentate disoccupazione, criminalità, incertezza sociale. Il divario tra ricchi e poveri è più ampio. E non importa sapere che tra i benestanti adesso c’è anche una fetta della nuova élite nera. Nelle township si sta male come sempre. Si muore per un farmaco che manca, troppi bimbi non sanno cos’è un banco di scuola o un libro. Per mesi, anche nelle grandi città come Cape Town e Johannesburg, è mancata la corrente elettrica per ore. E la crisi energetica non c’entrava. Perché il Sudafrica è un Paese ricco di tutto. Il blackout era causa di una cattiva organizzazione delle risorse e di aver messo le persone sbagliate nel posto che non erano in grado di ricoprire. Le diseguaglianze si combattono e si sgretolano con leggi adeguate. Ma per i pregiudizi radicati, da una parte e dall’altra, l’antidoto è aprire le menti a nuovi orizzonti. Senza spaventarsi se nel pacchetto delle sorprese salteranno fuori anche i problemi. Il Sudafrica all-inclusive non può accettare solo il bello e il buono. Qui si è sviluppato un colonialismo diverso dal resto del Continente. Gli europei sbarcati al Capo di Buona Speranza (e dobbiamo risalire fino al 1652) erano venuti per restarci, non solo per sfruttare terre e popoli. I discendenti dei boeri sono africani a tutti gli effetti. Come gli zulu, i bantu, gli xhosa. Una tribù bianca, unica nel suo genere. Per questo in Sudafrica non succederà (non dovrebbe, almeno) capitare quello che è successo in Zimbabwe, Angola e Mozambico. Dove i colonizzatori inglesi e portoghesi erano solo ospiti di passaggio. Ospiti che la facevano da padroni. Con tutto lo strascico di ingiustizie e rancori sfociati, una volta cambiato il corso della Storia, nella loro cacciata frettolosa dal Paese che si erano scelti. I bianchi sudafricani scontano ancora, e giustamente, il peccato dell’apartheid. Ma sono e vogliono restare parte di una stessa comunità. La scelta, davvero inclusiva, di inserire nella Costituzione anche la loro lingua, l’afrikaans (un misto di olandese antico, tedesco e malese), insieme con altri dieci idiomi è la prova di una volontà di costruire insieme.
Le sfide prossime saranno decisive per stabilire la rotta. Il Sudafrica, per decenni è rimasto agganciato alle democrazie liberali dell’Occidente, persino quando a guidarlo era Nelson Mandela: adesso è diventato il paladino di quei Paesi (post-terzomondisti con le economie emergenti) che vorrebbero cambiare gli assetti geopolitici del pianeta. Il Sudafrica fa parte dei Brics, anzi ne è Paese fondatore, ed è stato anche capofila di scelte molto estreme in politica estera. A cominciare dal farsi promotore dell’accusa di genocidio contro Israele per la crisi di Gaza. I legami con Mosca stanno diventando più solidi che con Londra e Washington. Quasi una nemesi storica: i governanti dell’ultimo Sudafrica a guida bianca, chiesero, alla nuova classe dirigente nera, in cambio della demolizione dell’apartheid, di troncare i rapporti (segreti, ma noti a tutti) con l’allora Unione Sovietica. Questo accordo garantì un’indipendenza senza bagni di sangue alla Namibia e una transizione pacifica in Sudafrica. Esito inedito per tutto il Continente dove la decolonizzazione era coincisa con rivoluzioni violente, dal Congo all’Algeria. Ora la Russia di Putin, e la Cina di Xi Jinping, guardano al Sudafrica come partner commerciale e militare privilegiato per avere accesso alla gestione dei beni dell’area e come alleato importante in chiave geostrategica.
Ma la partita è ancora in corso. Le ultime elezioni, nel maggio scorso, hanno disegnato uno scenario imprevisto. L’African National Congress che governava da trent’anni non ha più la maggioranza assoluta. Per restare al potere ha dovuto accettare di aprirsi a una coalizione. Aveva davanti due strade: un’intesa con i partiti estremisti di matrice ancora marxista e profondamente ostili all’Occidente o tentare una soluzione creativa. Ha scelto la seconda, imbarcando la Democratic Alliance, il partito dei bianchi guidato da John Steenhuisen (un cognome tipicamente afrikaner). Difficile pensare a un tentativo di rimettere indietro le lancette della Storia, più probabile un tentativo di condivisione vera del potere. Quel potere che, dopo Mandela, ha riproposto alcuni dei difetti endemici delle nuove élite, a cominciare dalla corruzione della classe dirigente che aveva portato anche all’incarcerazione dell’ex presidente Jacob Zuma. Sarà un bianco a realizzare il sogno di Mandela?
Nella Provincia del Capo, dove i vigneti fanno da sentinella agli oceani, c’è una cittadina che si chiama Franschhoek, l’angolo dei francesi. Qui gli ugonotti perseguitati in Europa trovarono la forza di ripartire. A Nord Est, lontano dalle rotte turistiche, si può trovare un villaggio xhosa: Mvezo. Ci giocava un bambino dal nome profetico, Rolihlahla, che significa attaccabrighe. Poi lo cambiarono in Nelson. Ecco se la matita della Storia (e della Politica) riuscisse a disegnare un’autostrada che congiungesse Franschhoek a Mvezo per il Sudafrica, forse, sarebbe finita questa eterna adolescenza inquieta.
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