LULA “IL ROSSO” MILEI “IL NERO” ANTIPATIA E INSULTI MA OTTIMI AFFARI


3 Jan 2025 - Corriere della Sera / Sette
DI SARA GANDOLFI

Sono gli ultimi duellanti dell’ideologia. Il rosso e il nero. L’ex operaio metalmeccanico, storico leader del Partito dei lavoratori, contro l’economista da talk show, guida del neonato movimento La Libertad Avanza. Il portabandiera della sinistra terzomondista, che rialza la testa all’ombra della Cina, e il portavoce del turbo-capitalismo populista, un ossimoro di tendenza sotto l’ala USA di Trump. Il brasiliano Luís Inácio Lula da Silva, 79 anni, e l’argentino (ora con passaporto italiano) Javier Gerardo Milei, 54, non si sopportano, e non fanno nulla per nasconderlo.

Divisi dai modelli – lo Stato sociale keynesiano versus l’anarco-liberismo del laissez-faire – sono i rivali alla guida delle due più importanti economie dell’America Latina, che cercano un posto al sole nel futuro Nuovo ordine mondiale. Con obbiettivi opposti: Lula difende il multilateralismo e rivendica «una nuova governance globale» perché «l’esclusione dell’America Latina e dell’Africa dai seggi permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU è un’inaccettabile eco delle pratiche di dominio del passato coloniale». Milei all’opposto dichiara il suo «disprezzo per le Nazioni Unite» e si fa alfiere di «un’internazionale di destra contro il socialismo woke» che riunisce da Donald Trump a Giorgia Meloni, passando da Viktor Orbán, Najib Bukele e pure dall’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro. A proposito di alleati “potenti”, i due leader hanno visioni opposte pure sul patron di X, il social network che in Brasile è stato sospeso per 40 giorni dalla Corte Suprema: Milei considera Musk «un genio del calibro di Leonardo» mentre la moglie di Lula lo ha redarguito pubblicamente «Non ho paura di te Elon, vaff…».

Anche nelle scelte personali, i duellanti sono agli estremi. Lula è stato sposato per trent’anni con Marisa, fino alla sua morte, e nel 2022 è convolato a terze nozze con la sociologa Rosangela da Silva, detta Janja, di un ventennio più giovane, che da allora gli è sempre al fianco con malcelato scorno dello staff presidenziale. Javier è invece uno scapolo impenitente, difensore dell’amore libero e istruttore di tantra, con qualche fidanzata procace alle spalle, che ha scelto come fedele partner d’affetti e d’affari la sorella minore Karina, «il mio Capo» e per molti osservatori l’eminenza grigia del “fenomeno Milei”.

Da oltre un anno Lula e Javier se ne dicono di tutti i colori, insulti che travalicano, e di molto, i limiti delle normali relazioni fra capi di Stato. Il più duro, come da personaggio, è lo scapigliato Milei che fin dalla campagna elettorale, nel 2023, sommerse con una serie di variopinti epiteti – da «comunista» a «corrotto» – il presidente brasiliano, rieletto l’anno precedente per la terza volta non consecutiva. Lula reagì disertando l’insediamento del vicino alla Casa Rosada. Lo scorso giugno, la tensione tra i due leader si è alzata ulteriormente, allorché il brasiliano ha preteso scuse pubbliche dall’argentino, «perché ha detto un sacco di sciocchezze». Scuse, ovviamente, mai arrivate.

I due leader si sono incrociati per la prima volta faccia a faccia durante il G20 a Rio de Janeiro, in novembre. Nessun incontro bilaterale, solo un saluto e una foto formale, con tanto di broncio. E Milei si è «parzialmente dissociato da tutti i contenuti legati all’Agenda 2030». I duellanti si sono poi rivisti al vertice MerCoSur durante il quale hanno siglato l’intesa con l’Unione Europea, marcando ancora una volta le loro differenze di vedute.

Si salutano a denti stretti e si guardano in cagnesco, ma i loro due Paesi continuano ad essere ottimi partner commerciali. Nonostante le tensioni diplomatiche, secondo i dati del 2024, il Brasile resta la principale destinazione delle esportazioni argentine (16,6%) e l’origine delle importazioni (22,8%) e l’Argentina è il terzo tra i maggiori fornitori del Brasile, dietro Cina e Stati Uniti. D’altronde, come ha sottolineato il vice-presidente del Brasile, Geraldo Alckmin in una recente intervista al Corriere, «non si tratta di rapporti personali, ma di relazioni fra Stati. E le relazioni fra Brasile e Argentina sono sempre state buone. L’unica vera discussione fra i nostri due Paesi è sul calcio». Gli affari restano affari.

Nemici con visioni opposte del mondo ma pur sempre leader infarciti di Realpolitik. Lula è diventato con il tempo un socialista pragmatico. Rispetto agli anni dei primi due mandati, dal 2002 al 2010, oggi guida un Paese più debole economicamente ma con una minore diseguaglianza, una delle piaghe contro cui l’ex sindacalista più ha combattuto. Sostenitore di un’economia guidata dallo Stato, ancora oggi cavalca i temi della giustizia sociale, dell’uguaglianza di genere e della lotta al razzismo. Fumo negli occhi per l’argentino Milei, che definisce lo Stato come «una prigione da abbattere».

I due colossi si misurano, dati alla mano. Il Brasile guida la crescita dell’America Latina. Ha chiuso il mese di novembre con il più basso livello di disoccupazione dal 2012 (6,4%), una crescita del PIL stabile intorno al 3,3% e il tasso di povertà estrema più basso degli ultimi 11 anni. La stampa filo-governativa parla di “effetto Lula”, anche se un’indagine della società di consulenza Quaest sostiene che il 90% del settore finanziario valuta negativamente il governo, a causa della preannunciata riforma fiscale che aumenterà le tasse per i redditi superiori a 50.000 reais mensili (meno di 8.000 euro). A conferma di tale sfiducia, il Brasile oggi soffre la più grande fuga di capitali stranieri degli ultimi otto anni, secondo i consulenti di Elos Ayta.

In Argentina l’austerità imposta da Milei comincia a dare qualche frutto a livello macro-economico. Il saldo fiscale chiuderà l’anno in pareggio dopo 15 anni di deficit, grazie ad un’aggressiva correzione della spesa e a massicci licenziamenti nel settore pubblico. L’inflazione è stata imbrigliata al 120% annuo e si prevede che continui a scendere nel 2025 con una ripresa dei salari reali. Il PIL, però, cala ancora del 3,8 per cento, in attesa del previsto rialzo l’anno prossimo, e metà della popolazione si trova in stato di povertà secondo l’Istituto di Statistica Argentino.

Alla fine due variabili sembrano favorire Milei su Lula. La prima è l’età (e la salute) del presidente brasiliano che si sta riprendendo dopo un’emorragia cerebrale e si appresta a spegnere il prossimo anno ben ottanta candeline. Il secondo è il vento di destra che spira dagli Stati Uniti di Trump.

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