Charlie Parker, il fragore del jazz


Il Manifesto
Sabato 15 Marzo 2025
Pagina 20

ANNIVERSARI » SETTANT’ANNI FA MORIVA IL RE DEL BEBOP, PROTAGONISTA CRUCIALE DELLA MUSICA AFROAMERICANA

LUIGI ONORI
 
«Bird si è disintegrato in suono puro»: parole di un accorato jazzman udite dopo la scomparsa dell’altosassofonista da Robert George Reisner. Storico dell’arte, collaboratore dell’Institute of Jazz Studies e organizzatore dei concerti dei pomeriggi domenicali al newyorkese Open Door - dove spesso Charlie Parker aveva suonato negli ultimi anni della sua vita - Reisner nel 1962 pubblicò un importante libro di testimonianze (Bird: The Legend of Charlie Parker). In esso la baronessa Nica de Koenigswarter, nel cui appartamento all’Hotel Stanhope Bird morì, ribadì che «nell’istante del trapasso vi fu un tremendo scoppio di tuono. Al momento non ci feci caso, ma poi ci ho pensato spesso».

CON DIZZY E BUD 

Disintegratosi in puro suono, forse trasformandosi in un tuono fragoroso, Charlie «Bird» Parker morì settant’anni fa a New York, il 12 marzo 1955 alle ore 20.55. La notizia diventò pubblica solo il 15 marzo, quando la scomparsa venne annunciata dai quotidiani e, a stretto giro, dai giornali scandalistici: «È morto Charlie Parker, maestro del jazz» (New York Times); «Il re del bop muore nell’appartamento di un’ereditiera» (Daily Mirror); «Bird nel boudoir della Baronessa» (Exposé; sulla stessa ed equivoca lunghezza d’onda altre testate popolari quali Confidential e Lowdown). Non si può certo dire che la scomparsa dello straordinario altosassofonista afroamericano - trentaquattrenne, almeno a livello anagrafico, tossicodipendente da quando aveva quindici anni - giungesse inaspettata, anche se il creatore del rivoluzionario bebop (insieme a Dizzy Gillespie e Bud Powell) era sempre e vittoriosamente risorto da crisi, depressioni, malattie, ricoveri in ospedali e cliniche psichiatriche, arresti...

Già nel 1948, nello stesso anno in cui sposò la terza moglie Doris Sydnor a Tia Juana (Messico), era stato informato, dopo una visita medica, che la sua salute era gravemente minata. All’inizio del 1954 patì un serio attacco d’ulcera e il suo fisico mostrava sintomi di polmonite, diabete e cirrosi epatica. Il dottor Robert Freymann, medico personale della baronessa Nica che stilò il primo certificato di morte, indicò come cause del decesso ulcere allo stomaco, polmonite, cirrosi epatica in stato avanzato e, forse, un attacco cardiaco. L’autopsia e il medico legale affermarono, dal canto loro, che la morte era dovuta a polmonite lobare. In entrambi i casi l’età di Parker venne stimata tra i cinquanta e i sessant’anni (ne aveva poco più della metà).

Bird - per quanto animato da un’energia vitale incredibile, da un’intelligenza vivacissima e sostenuto da un fisico fuori dal comune - era consapevole di aver bruciato, forse dissipato, il proprio tempo, vivendo con una velocità e un’intensità pari a quelle del suo jazz, innovativo in tutti i suoi elementi: ritmo, armonia, improvvisazione, solismo ipercinetico, pubblico e finalità, compiutamente artistiche e lontane dalla funzionalità danzabile dello stile swing. Il bebop era la lingua degli hipster, incomprensibile agli square.

VERSI PROFETICI 

«I suoi due ultimi anni - ha scritto Gianfranco Salvatore nel suo bel libro Charlie Parker. ‘Bird’ e il mito afroamericano del volo (2005) - furono all’insegna dell’alcolismo, dei malanni che si moltiplicavano e si complicavano, di un senso di frustrazione ormai cronico, e di alcune tragedie».

Parker incontrò Robert G. Reisner - con cui non erano mancati dissidi, in quanto organizzatore - a una festa di Capodanno per l’inizio del 1955. Si strinsero la mano e parlarono di programmi futuri. Bird gli confidò: «Sai Bobby, non avrei mai creduto di vedere il 1955».

Reisner replicò chiedendo se avesse letto le Rub’ayyat di ’Umar Khayyam (poeta e matematico dell’undicesimo secolo). Charlie Parker, che aveva una cultura sterminata e una memoria prodigiosa, sorrise e declamò versi profetici dell’autore persiano: «Vieni, empi la coppa, e nel fuoco di primavera getta il tuo invernale saio di contrizione; l’uccello del tempo non ha più molto da frullar le ali, e l’uccello è in volo». La lirica sembrava scritta apposta per Bird.

Uno degli ultimi ingaggi del sassofonista afroamericano si ebbe venerdì 4 e sabato 5 marzo 1955 - una settimana prima della morte - al Birdland di New York, locale così chiamato in suo onore che Parker aveva inaugurato nel dicembre 1949. Il gruppo era stellare con il trombettista Kenny Dorham, il pianista Bud Powell, Charles Mingus al contrabbasso e Art Blakey alla batteria. «Il venerdì - ha testimoniato Mingus - era stato perfetto. Tutto normale, niente fesserie. Bird era grande come sempre, e suonava perfino delle cose insolite». Nella serata di sabato, invece, i due set furono un disastro: oltre ai ritardi di Bird, Dorham e Blakey, Bud Powell non era in grado di suonare, confondeva i brani e sbagliava i tempi, nonostante le precise indicazioni di Parker che ebbe un forte alterco con il pianista sul palco. Nel secondo set le cose non andarono meglio e fu Bird stesso, che nel frattempo si era ubriacato, a perdere vistosamente colpi, tanto che il gruppo suonò quasi sempre senza di lui. Oscar Goodstein, uno dei fondatori del Birdland, incolpò del disastro l’altosassofonista, cacciandolo via dal locale. «Bird - ha narrato sempre Mingus - gli ricordò con chi stava parlando, e se ne andò maestosamente. Ritornò più tardi, si avvicinò al bar, appoggiò la sua guancia umida alla mia e disse, ’Mingus, me ne andrò presto in un posto dove non darò più fastidio a nessuno’».

Già nel 1954 (a fine agosto) una scrittura di Charlie Parker, sempre al Birdland e per tre ipotetiche settimane, si era conclusa tragicamente. Bird era stato licenziato perché si comportava in modo anomalo, suonando brani diversi da quelli, concordati, che eseguiva l’ensemble d’archi che lo accompagnava. Vengono in mente le parole del sassofonista Johnny Carter (Charlie Parker) nel racconto di Julio Cortázar L’inseguitore (El perseguidor del 1959, strutturato sull’arte di Bird): «Questo lo sto suonando domani (...) Johnny si picchiava la fronte e ripeteva, ’Questo l’ho già suonato domani, è orribile’». Nella realtà l’altosassofonista non si riprese mai dalla morte per polmonite della figlia Pree, avuta nel 1951 da Chan Richardson e nata con una grave malformazione cardiaca.

Forse per questo dopo il licenziamento dal Birdland, cercò di uccidersi ingollando tintura di iodio e un flacone intero di aspirine. Fu salvato dalla compagna (con cui viveva more uxorio dal 1950) Chan che, udendolo gridare, telefonò alla polizia che arrivò nel loro modestissimo appartamento nell’East Village alle 5 di mattina. Parker fu ricoverato nella Divisione psichiatrica dell’ospedale Bellevue (lo stesso dove finirà il suo cadavere il 13 marzo 1955), curato e dimesso dieci giorni dopo.

LE FONTI Le fonti concordano abbastanza sulle circostanze della morte di Bird. Si trovava nell’appartamento - all’hotel Stanhope di New York - della baronessa Pannonica (Nica) de Koenigswarter. Mecenate e amica di molti jazzisti, da Art Blakey a Thelonious Monk, lo aveva ospitato dopo una breve visita del sassofonista - passato a salutarla prima di recarsi a Boston, per un ingaggio - dato che si era sentito molto male da lei. Visitato e curato dal medico personale di Nica (il dottor Freymann che voleva farlo ricoverare in ospedale ma accettò di assisterlo «in casa», visto il suo assoluto rifiuto), Parker chiese di poter vedere in tv il programma The Dorsey Brothers Stage Show in onda alle 19.30. Venne fatto accomodare in poltrona davanti al televisore, dopo aver preso i medicinali prescritti (si ipotizzano iniezioni di glucosio e vitamine, penicillina), ben coperto e in compagnia di Janka, la figlia di Nica, con cui giocò un po’ a carte. Dopo la sigla del programma tv (Getting Sentimental over You, eseguita da Tommy Dorsey con il suo trombone sweet), si esibì un giocoliere in un numero di vaudeville che, molto probabilmente, Bird aveva visto da ragazzo a Kansas City nel 1933. Lo fece ridere di gusto «con la sua risata profonda e aperta» (come raccontò Ross Russell, produttore discografico e scrittore, nel suo libro Bird Lives!del 1973) ma la risata divenne presto un grido strozzato. Nel giro di pochi minuti il sassofonista morì (ore 20.55), appena prima che arrivasse il dottor Freymann chiamato da Nica che, nel frattempo, aveva disperatamente assistito Bird con la figlia Janka. Il medico telefonò alla polizia di New York denunciando la morte di un suo paziente ed entro un’ora la polizia giunse con il medico legale. Nica e Freymann furono interrogati a lungo e fornirono informazioni sulla visita casuale, la degenza e la morte dell’amico Charlie Parker. All’una del 13 marzo il corpo dell’altosassofonista venne portato all’obitorio del Bellevue Hospital.

Il giorno seguente Nica cercò in ogni dove, persino all’Open Door, l’ultima compagna di Bird Chan Richardson (madre di Pree, deceduta a due anni di polmonite, e di Baird, nato nel 1952) per avvertirla della morte di Parker ma non la trovò. La baronessa non parlò con nessuno della scomparsa del sassofonista e ci fu un «buco» di 48 ore fino a che la notizia trapelò dal Bellevue.

Ciò su cui le narrazioni non concordano (i citati libri di Robert G. Reisner del 1962 e Ross Russell del 1973, quello di Carl Woideck Charlie Parker. Vita e musica del 1996 e il più recente La Baronessa. La Rothschild ribelle musa segreta del jazz di Hannah Rothschild, edito nel 2012 e tradotto in italiano nel 2024) è la durata della degenza di Parker all’hotel Stanhope. In Reisner, Nica affermava che il suo amico sassofonista «quella sera si era fermato un attimo prima di partire per un ingaggio allo Storyville di Boston. Lo strumento e i bagagli erano rimasti in macchina».

Parker rifiutò di bere alcolici e prese a vomitare sangue; Nica chiamò il medico che voleva portarlo in ospedale ma Bird rifiutò. Ecco, allora, l’idea di tenerlo in cura nel suo appartamento. La prima affermazione sembra far riferimento a una visita il 12 marzo; più in là la baronessa dice che «il dottore veniva tre volte al giorno e tutte le volte che lo chiamavo.

Sapeva che la situazione era seria». Ciò fa supporre una degenza più lunga.

In Russell - che ha, però, pubblicamente ammesso di aver romanzato i fatti - si parlava in modo dettagliato di una degenza di Parker dal 9 al 12 marzo all’hotel Stanhope, con particolari da confermare (i litri di acqua ghiacciata bevuti per placare i dolori causati dalle ulcere, la terapia). Sono invece confermate le parole che il medico rivolse a Nica sulla gravità del caso: «Devo avvertirla che quest’uomo può morire in qualsiasi momento. La cirrosi è a uno stadio avanzato e così le ulcere allo stomaco.

Non deve uscire di qui se non in ambulanza». Ha, altresì, riscontro il fatto che, dopo un leggero miglioramento, il sassofonista e la baronessa avessero fatto ascoltare al dottor Freymann, a latere di una sua visita, le incisioni di Just Friends e April in Paris realizzate da Parker per l’etichetta Mercury con archi e legni.

Hannah Rothschild - pronipote di Pannonica - afferma nel suo libro che Parker bussò alla porta dell’appartamento della prozia la notte del 12 marzo 1955 e il fatto di accoglierlo fu «una decisione che diede il via a cento teorie cospirative e creò di lei un’immagine pubblica negativa, associata a varie illazioni».

Per l’autrice e regista, che ha realizzato un lungo lavoro di inchiesta per il suo interessante e documentatissimo testo, «dopo più di mezzo secolo la morte di Charlie Parker e il coinvolgimento della Baronessa continuano a generare stravaganti teorie». Lei stessa ritiene un personaggio controverso e ambiguo il dottor Robert Freymann e riporta una testimonianza del critico Ira Gitler che avrebbe visto la sera del 14 marzo, con Parker all’obitorio, Nica e Art Blakey insieme in un locale. Dal canto suo Carl Woideck ha affermato che «secondo un altro racconto, circolato per diversi anni, Parker sarebbe morto per lesioni interne causate dalla rissa con un altro musicista.

Una delle versioni di questa storia sostiene che l’ipotesi della morte nell’appartamento allo Stanhope Hotel sia stata inventata per proteggere il musicista che picchiò Parker». Su una valutazione, tuttavia, Hannah Rothschild ha indubbiamente ragione: «Nica, per un momento di impulsiva generosità, rimase senza casa (fu cacciata dall’hotel Stanhope, ndr) e senza marito (si stava separando da Jules de Koenigswarter ed era in ballo l’affidamento dei figli, ndr) e fu perseguitata».

SENZA UN SOLDO 

In ogni caso - dopo accesi contrasti tra la compagna Chan Richardson e la terza moglie Doris Parker - il corpo di Bird fu consegnato ed esposto alla Unity Funeral Home. Il funerale si svolse dopo qualche giorno, il 21 marzo 1955 nella chiesa battista abissina della 138ma Strada. La bara fu portata a spalla dai trombettisti Charlie Sheavers e Dizzy Gillespie, dal pianista Lennie Tristano e dal batterista Louie Bellson, accompagnati da tantissimi altri jazzisti e jazziste.

Per realizzare la cerimonia religiosa si era molto spesa Hazel Scott - pianista, cantante e attrice, amica e coetanea di Charlie Parker - che era moglie del pastore Adam Clayton Powell. Il rito funebre fu tenuJulio Cortàzar Il persecutore (Einaudi, Torino 1965) Julio Cortàzar (disegni di José Munoz) L’inseguitore (Roma, Edizioni SUR 2023) Ross Russell Charlie Parker (Milano Libri Edizioni 1978) Robert G. Reisner La leggenda di Charlie Parker (Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1980) Gianfranco Salvatore Charlie Parker.

‘Bird’ e il mito afroamericano del volo (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo 2005) Carl Woideck Charlie Parker. Vita e musica (EDT/Siena Jazz, Torino 2009) Hannah Rothschild La Baronessa. La Rothschild ribelle musa segreta del jazz (Neri Pozza Editore, Vicenza 2024) to dal reverendo David Licorish che, tra l’altro, disse che Bird era venuto al mondo per rendere felice il prossimo e che, se fosse stato ancora vivo, avrebbe esortato i suoi colleghi a darsi da fare, perché la vita non è un sogno vuoto.

Il grande altosassofonista, a parte una polizza assicurativa per mille dollari, era morto senza un soldo. Così furono numerose le serate di beneficenza come quella al Blue Note di Filadelfia e quella organizzata a Stoccolma da una rivista jazz svedese. Il memorial più importante fu quello del 2 aprile 1955 alla Carnegie Hall di New York, a tre settimane dalla scomparsa di Charlie Parker. La sala si riempì completamente nei suoi 2.760 posti ma centinaia di appassionati rimasero fuori. Il recital iniziò a mezzanotte e finì alle 3’40 senza riuscire a dare spazio ai jazzisti e alle jazziste che volevano testimoniare il loro affetto per Bird; durante il suo svolgimento venne fatta ascoltare una registrazione di Now’s the Time, brano scritto da Parker, che gli spettatori ascoltarono in piedi. Tra gli artisti che suonarono - presentati dal dj e musicista Al «Jazzbo» Collins e dai critici-produttori Leonard Feather e Barry Ulanov - ci furono Billie Holiday, Lester Young, Hazel Scott, Dizzy Gillespie, Art Blakey, Oscar Pettiford, Tony Scott, Horace Silver, Stan Getz e Gerry Mulligan. L’incasso di 5.740 dollari servì a dar vita ad un fondo alla memoria «in modo che il denaro - come precisò Robert Reisner - fosse in amministrazione fiduciaria per conto dei due figli di Parker» (Leon Francis Parker, nato nel 1937 dalla prima moglie Rebecca Ruffin; Baird Parker, nato nel 1952 dall’unione con Chan Richardson). Una vita, quella dell’altosassofonista originario di Kansas City, complessa come la sua eredità sia materiale che musicale.

L’EREDITÀ 

Fu subito chiaro a tutti che la scomparsa di Charlie Parker era, artisticamente, irreparabile ma che la sua produzione discografica e concertistica aveva lasciato un enorme patrimonio sonoro per le generazioni contemporanee e a venire.

«La maggior parte dei solisti, al Birdland, aspettava l’ultimo disco di Parker - disse Charles Mingus - per sapere cosa suonare. E adesso?

Bird non è morto: è nascosto da qualche parte. Ritornerà con della roba nuova che spaventerà tutti a morte». Le scritte murarie «Bird lives», comparse a New York dopo la morte, lo confermarono.

Da parte sua il contrabbassista gli dedicò nel 1960 un brano bellissimo, Reincarnation of a Lovebird.

Max Roach affermò che «Bird era una specie di sole che irradiava l’energia che noi aspiravamo da lui. E stiamo ancora là ad aspirare. Il suo vaso traboccava. In qualsiasi situazione musicale le sue idee rimbalzavano ispirando chi gli stava intorno. Il suo modo di suonare influenzava tutti gli strumenti sul palco (...). Bird immaginava impasti di ogni genere. Voleva incidere con Yehudi Menuhin e un’orchestra di almeno quaranta elementi. Preparava degli schemi per legni e voci (...)». Nel 1959 uscì il suo album-tributo The Max Roach 4 Plays Charlie Parker per l’etichetta EmArcy, con brani parkeriani da Yardbird Suite a Billie’s Bounce.

Eppure era vero che a Bird il molto e il grandioso che aveva inventato con il bebop stava ormai stretto. Lo testimoniò il compositore Edgar Varèse: «Passò a casa mia un sacco di volte (...). Era animato da un entusiasmo travolgente. Entrava ed esclamava, ’Mi prenda come prenderebbe un bambino. E mi insegni la musica. Io so scrivere solo a una voce. Voglio una struttura. Voglio scrivere partiture per orchestra’ (...). Era sincero, e alla fine mi ripromisi che avrei trovato il tempo per mostrargli alcune delle cose che voleva conoscere. Partii per l’Europa e gli dissi di chiamarmi dopo Pasqua, quando sarei stato di ritorno. Charlie morì prima di Pasqua».

Quest’esigenza profonda di Bird venne anzitempo intuita da Lennie Tristano e tra i due c’erano stima e rispetto profondi. «Lui voleva essere riconosciuto come artista (...) voleva essere riconosciuto dai compositori (...). Nel 1949 Bird mi disse che in questo particolare linguaggio (il bebop, ndr) aveva detto tutto ciò che poteva. Voleva sviluppare qualcosa di diverso, nello stile o nell’esecuzione (...). La sua musica si era stilizzata (...). La musica di Bird è perfetta, scientifica. Se fosse stato un compositore, avrebbe potuto scrivere centinaia di composizioni (...). Il materiale che inventava sul momento nei suoi assoli avrebbe potuto essere trasformato in preludi, fughe, sinfonie e concerti». Tristano nel 1955 scrisse, suonò e registrò - per tre pianoforti sovraincisi - il brano Requiem dedicato all’amico Charlie Parker: un preludio dal carattere classico cui si collega un profondo e arcaico blues, in una delle pagine più toccanti e intense del jazz di tutti i tempi.

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