FOOTBALL PORTRAITS - Cruijff, Nureyev in tacchetti


De Cruijff draaj (The Cruyff Turn), la veronica di Cruijff 

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«Ho giocato ai massimi livelli per diciotto anni e sette volte per la Svezia, ma quel momento contro Cruijff è il ricordo di cui più vado fiero. Non fu umiliante. Non avevo chance. Cruijff era un genio»
– Jan Olsson, vittima


di CHRISTIAN GIORDANO, Federico Buffa racconta Storie Mondiali
(si ringrazia David Winner, Brilliant Orange: The Neurotic Genius of Dutch Football)

Meglio di chiunque altro l’ha raccontato il giornalista anglo-olandese David Winner nel suo Brilliant Orange: The Neurotic Genius of Dutch Football, godibilissimo trattato sulla genialità nevrotica e ossessiva (per lo spazio) che permea ogni forma espressiva olandese. In primis il calcio.

Che il totaal voetbal fosse arte è pacifico. Ma quale arte? La risposta più ovvia è il balletto. Il concetto che quei calciatori in generale e Johan Cruijff in particolare fossero come dei ballerini classici risale al 1973, e deriva dal film-documentario Nummer 14. Il numero-talismano di Cruijff. Diretto da Maarten de Vos e prodotto da Cor Coster, re dei diamanti prima ancora che suocero di Cruijff, fu girato all’apice del grande Ajax, nella stagione 1972-73. E ciò che più colpisce – oggi come allora – non sono tanto gli effetti cinematografici tipo lo schermo splittato de “Il caso Thomas Crawford” né il filmato amatoriale del Cruijff amorevole papà col figlioletto Jordi; o le interviste a Cruijff che guida la sua auto sportiva (una Datsun 240Z grigio metallizzato, targata 49 66 SN) o, infine, lo stesso Johan “casalingo” alle prese con uno dei primi videoregistratori Philips. 

Quadretti familiari poi riproposti ne Il Profeta del gol di Sandro Ciotti (1976), il primo a stupirsi della entusiasta risposta di pubblico alla memorabile “prima” a Bologna. Le immagini che più restano indelebili, anche a quarant’anni di distanza, sono quelle della sua straordinaria grazia, per la prima volta catturata alla moviola.

Il coreografo Toer van Schayk, per esempio, era affascinato dai calciatori di quell’Ajax. «Cruijff era un artista, anche se non credo se ne sia mai davvero reso conto. Lui semplicemente giocava a calcio meglio che poteva. Aveva un’incredibile velocità (in realtà, per sua stessa ammissione, Cruijff aveva un fulminante primo passo, ndr) e un tale controllo del corpo e delle movenze da risultare bellissimo da guardare. Lo vedi subito quanto era aggraziato. Una grazia inconscia, e quindi più bella di una “consapevole”». A ispirare Van Schayk erano le foto pubblicate su giornali e riviste. «Quando cominciavo a studiare la coreografia di solito ritagliavo quelle splendide foto in azione, con i giocatori che creavano composizioni e gruppi “impossibili” anche solo da immaginare: svariati corpi che si libravano nell’aria allo stesso tempo e collidevano. A volte riuscivo a usare quelle composizioni, a ricrearle nella danza». I suoi balletti, però, erano più profondamente ispirati dal Club of Rome (ONG no-profit di pensatori che studia i cambiamenti sociali, ndr) ed esploravano i timori di Van Schayk di un’apocalisse ambientale. «I miei primi balletti trattavano attività umane in apparenza futili che per secoli sembrava potessero costruire un futuro più luminoso, ma poi si erano rivelate autodistruttive. E in quei balletti, la violenza di certe accidentali composizioni di corpi nel calcio, mi tornava utile».

Per il ballerino Rudi van Dantzig, invece, la bellezza era nel calcio in sé – e specialmente in Cruijff. I due diventarono amici dopo che van Dantzig, scomparso il 19 gennaio 2012, girò per la televisione un film su come si allenavano i ballerini classici e i calciatori delle giovanili.

«Normalmente, i calciatori sono noiosi, ma con Cruijff e gli altri era come andare a vedere i fuochi d’artificio. O a teatro per sentire cantare Maria Callas. Cruijff era la Callas in campo. La Callas fu la prima a infiammare una parte all’opera, e la stessa passione la avvertivi in Cruijff e compagni. C’era qualcosa di fortemente drammatico in lui, come in una tragedia greca – una questione di vita o di morte, quasi, anche quando si trattava di giocare una normale partita di campionato. Glielo leggi in faccia anche adesso, negli occhi, anche quando se ne sta lì seduto a guardare – che riflessi! È fantastico da vedere».

«Ma era l’intera squadra a essere ispirata. La loro agilità e quei virtuosismi producevano incredibili “esplosioni” di corpi insieme. Per certi versi tutti loro osavano molto. C’era qualcosa di speciale in quell’intera generazione. Piet Keizer, nel modo di muoversi, sembrava un grosso monolite. Cruijff nelle sue movenze era molto più delicato e aggraziato, come un pesce nell’acqua. Aveva quella rapidità e poi – phwhoosh! – faceva qualcosa di totalmente inaspettato! Andava da una parte e all’improvviso cambiava completamente direzione. Io credo che quel genere di movimenti a sorpresa crei delle fantastiche immagini. I giocatori oggi sono più grezzi, il calcio oggi è più atletico e fisico, ha più forza e velocità; ma è molto meno interessante.

Nel balletto ogni movimento è studiato e talvolta può diventare noioso, se non brutto. Il calcio è istantaneità, è l’impulso del momento; non puoi mai sapere cosa sta per accadere. Cruijff invece sembrava sempre in controllo. Faceva sì che le cose accadessero». Van Dantzig era un amico intimo oltre che collega di Rudolf Nureyev e per la carismatica superstar russa ideò numerosi balletti. Nureyev, secondo Van Dantzig, era affascinato da Cruijff. «Rudolf diceva che Cruijff avrebbe dovuto fare il ballerino. Lo intrigavano le movenze, i virtuosismi, il modo in cui d’un tratto cambiava direzione lasciandosi tutti alle spalle, il tutto sempre con perfetto controllo, grazia ed equilibrio. Era sbalordito dalla velocità di pensiero di Cruijff. Lo vedevi che stava pensando così veloce e in avanti. Come un giocatore di scacchi». Nureyev non andava mai alle partite dell’Ajax, ma le guardava in televisione. «Una prestazione “alla Cruijff” è qualcosa che gli sarebbe piaciuto essere capace di fare. Che magnetismo! E per certi versi, Cruijff fu un ballerino classico persino migliore di Nureyev. Si muoveva “meglio”».

Per il mondo incollato alle tv, il più grande momento di Johan Cruijff fu la sua veronica al mondiale ’74 contro la Svezia. Mentre cercava un varco sulla sinistra, vicino al lato corto dell’area di rigore svedese, si trovò la strada bloccata dall’esperto Jan Olsson, un terzino destro abbastanza robusto. Cruijff si guardò alle spalle per trovare lo spazio per andare a crossare. Quel che fece subito dopo, fu votato come uno dei cinquanta “più grandi gesti tecnici di sempre” dai lettori della rivista inglese Total Football, pubblicata dal settembre 1995 al settembre 2001.

È stato tramandata per generazioni di allievi delle scuole calcio come la “Cruijff Turn” (“De Cruijff draaj” in olandese), la veronica di Cruijff. Persino l’affabile Olsson, che progetta sistemi informatici alla Electrolux e raccoglie fondi per il suo vecchio club, l’Atvidabergs, ne apprezza ancora oggi che se ne parli. Olsson ricorda di aver reagito d’istinto per cercare di impedirgli di crossare. «Sul momento pensai “Non mi scappi”, ma…». Anziché andare al cross, Cruijff sembrò quasi avvitarsi su stesso, toccando la palla all’indietro con l’interno del destro per farsela passare fra le gambe, e cambiando completamente direzione. In una frazione di secondo, era tre metri avanti a danzare verso la porta. Frastornato, Olsson incespicò e cadde e poté solo assistere impotente mentre Cruijff se ne scappava via a disegnare una perfetta parabola con l’esterno destro. Un classico del suo repertorio. Il successivo colpo di testa finì sopra la traversa. 

Solo in seguito, studiando alla tv il movimento di Cruijff, Olsson capì cosa gli era capitato. «La gente me lo chiede spesso. Io rispondo che ho giocato a calcio ai massimi livelli per diciotto anni e sette volte per la Svezia, ma quel momento contro Cruijff è il ricordo nella mia carriera di cui vado più fiero. Ero sicuro che gli avrei rubato quel pallone, invece mi ha fregato. Ma non fu umiliante. Non avevo chance. Cruijff era un genio». Nureyev in tacchetti.
CHRISTIAN GIORDANO
Federico Buffa racconta



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