La Rivoluzione incompiuta


Germania Ovest 1974: Germania Ovest-Olanda 2-1

Sono trascorsi trent’anni dalla rivoluzione del Calcio Totale, il vento nuovo che, come ogni rivoluzione, scommetteva tutto sull’Idea e sulla sua forza di imporsi e di diffondersi. Vincere divertendo, l’affascinante scommessa. Vinta, ma difficilmente riproducibile.

La finale

Ai Mondiali, la più grande finale di sempre. Forse. 

Avvio memorabile, prima e dopo il fischio di Jack Taylor, prestante macellaio di Wolverhampton designato a dirigerla. La tradizionalmente impeccabile macchina organizzativa teutonica si inceppa per colpa di un granellino sotto forma di bandierina. 

Nel primo Mondiale «blindato» della storia, figlio della psicosi post-Monaco ’72, ci si dimentica infatti delle bandierine del corner. Alla bisogna provvedono solerti ancorché non giovanissimi inservienti, sotto lo sguardo divertito degli 80 mila dell’Olympiastadion. Davanti al curioso siparietto, persino i principi Ranieri abbandonano il loro regale aplomb concedendosi un bonario sorriso. 

Pronti-via, con 15-tocchi-15 (Cruijff-Van Hanegem-Neeskens-Krol-Rijsbergen-Haan-Suurbier-Haan-Rijsbergen-Haan-Cruijff-Rijsbergen-Krol-Van Hanegem-Neeskens-Rijsbergen-Cruijff) l’Olanda tiene palla ma non guadagna metri. 

Il "Papero d’oro" allora parte palla al piede e innesta il turbo, lasciando sul posto Vogts. L’olandese entra in area e da dietro lo stende Hoeness, accorso in raddoppio. Taylor è tanto vicino quanto coraggioso e dopo appena 53” di gioco fischia il rigore per gli ospiti. È il primo penalty assegnato in una finale mondiale. E Maier, dopo 1’18”, è il primo tedesco a toccare il pallone: per raccoglierlo in fondo al sacco. Per i bianchi la partita «comincia» sotto di un gol. 

Ai tempi, mancando l’invasiva e invadente presenza delle pay-tv, la lettura del labiale è esercizio poco praticato e capitan Beckenbauer può permettersi di mandare a quel paese Taylor a modo suo: «You are an Englishman!», sei proprio un inglese, che, detto da un tedesco ad un cittadino della Perfida Albione, suona assai peggio dell’italicissimo «vaffa» riservato da Giorgio Chinaglia al Ct Ferruccio Valcareggi nella gara contro Haiti. 

Sul dischetto va Johan II, Neeskens. La sua battuta è forte e centrale, Maier ne rimane fulminato: 1-0 per l’Olanda dopo 2’ di gioco. I piani tattici della vigilia sono già carta straccia. Tutti meno uno, la marcatura di Vogts su Cruijff. Dopo 3’25” il duello ha già prodotto troppe scintille e “Big Jack” non ci sta. L’asso olandese è un osso duro e per morderlo il cagnaccio tedesco deve stenderlo due volte in 120”, più che sufficienti anche per un arbitraggio forzatamente «all’inglese» come quello del Collina dell’epoca: semaforo giallo per Vogts. 

Tutto fa pensare a una gran partita, ma la gara si addormenta. Assorbito il colpo del subitaneo svantaggio, la Germania Ovest non si perde d’animo e comincia a riorganizzarsi. Ai teutonici monta la rabbia ma non il nervosismo, che invece inizia a pervadere gli arancioni. 

Al 23’ c’è un contrasto al limite dell’area olandese tra il centravanti Müller e il suo marcatore Rijsbergen. Ha la peggio il difensore, che resta a terra dolorante. Müller ha qualcosa da ridire e protesta passando accanto a Van Hanegem. 

Appena il tedesco gli dà le spalle, “der Kromme” – il Gobbo, come lo chiamano i tifosi del Feyenoord per la sua caratteristica andatura ricurva – gli molla una spintarella. Gerd cade come tramortito accentuando clamorosamente l’entità dell’impatto. Il telecronista inglese, scandalizzato, ne bolla il comportamento con un inequivocabile «very unprofessional, very ungentlemanly», per nulla professionale e parecchio antisportivo. Bilancio: Müller impunito e Van Hanegem ammonito, ma qui urge spiegazione. 

Durante la Seconda guerra mondiale il povero Wim aveva perso l’80% della famiglia: padre, sorella e due fratelli, tutti sterminati dai nazisti. Per lui quella contro i tedeschi non poteva essere una partita come le altre. 

Al 25’ altra svolta. Neeskens sfonda a destra e mette in mezzo, i tedeschi intercettano e ripartono. La manovra si sviluppa secondo il classico asse Beckenbauer-Overath, da questi per Hölzenbein sull’out di sinistra. Breitner depista in sovrapposizione, intanto l’ala intravede un varco e vi si infila. Dalla trequarti, la sua progressione si fa irresistibile e la difesa olandese ha il torto di non chiudere in tempo. Al tedesco non pare vero e appena vede l’ingenuo Jansen tendere la gamba per contrarlo, trascina ad arte la propria «cercando» il contatto. Rigore bis. E 1-1 dell’implacabile Breitner, il più «olandese» dei bianchi. Jongbloed (senza guanti!) non accenna nemmeno al tuffo. Ma si riscatta nove minuti dopo e su chi non ti aspetti. 

Al 34’ Vogts abbandona Cruijff per cercare gloria in attacco. Scambio volante con Müller e, solo soletto davanti al portiere, bordata a mezza altezza sulla quale il tabaccaio (la vera professione del “portiere matto”) si supera. Punizione a pallonetto di Beckenbauer dal limite, Jongbloed alza sopra la traversa. Botta di Hoeness che il numero 8 giallo canarino neutralizza in collaborazione con Rijsbergen. Adesso è la Germania a fare paura. Attacca con anche sei-sette uomini alla volta, e fatalmente presta il fianco al contropiede olandese che però ha le polveri umidicce. 

Come quando Cruijff si ricorda di essere Cruijff e se ne va, inseguito da “Kaiser” Franz Beckenbauer, prima di servire Rep sulla sinistra, ma il biondo attaccante sparacchia addosso a Maier. La partita ha un momento di stanca e quando tutti pensano all’intervallo ecco il botto. 

44’: Bonhof si invola sulla destra e mette in mezzo rasoterra. A centro area, Müller è il più lesto di tutti. Sbaglia lo stop ma la palla gli resta lì e con quel baricentro bassissimo gli basta un battito di ciglia per girarsi su se stesso e battere a rete anticipando Krol e Haan. Jongbloed resta in piedi, si volta e guarda la sfera rotolare lentamente verso l’angolino di destra. 2-1. 

Al duplice fischio di Taylor, Van Hanegem tira stizzito la palla contro l’arbitro che però se la prende con l’incolpevole Cruijff. Questi, adamantino di suo, ne approfitta per togliersi qualche sassolino dagli scarpini. Ne viene fuori un’interminabile pantomima che porta un travaso di bile alla «giacchetta nera» (ai tempi si può ancora dire) e ai suoi collaboratori e l’inevitabile ammonizione al capitano olandese. Tutto questo a gioco fermo, mentre i ventidue e la terna si avviano verso gli spogliatoi. 

Michels tenta il tutto per tutto, ma per rimpiazzare lo spento Rensenbrink sceglie René van de Kerkhof anziché Keizer. Schön invece lascia tutto com’è. 

Il secondo tempo scorre via con la Germania padrona del campo. Certo, l’Olanda attacca – non ha scelta – ma la sensazione netta è che si potrebbe giocare per una settimana senza che gli arancioni riescano a realizzare lo straccio di un gol. L’impassibile Ct teutonico azzecca la mossa della vita (Vogts su Cruijff), e la giornata-no del numero 14 più famoso al mondo lo trasforma in mago. 

L’Olanda tiene palla ma non fa male, anzi rischia il terzo gol. Che Müller segna anche, ma inutilmente per via di un inesistente fuorigioco. Inoltre ci sarebbe un rigore – netto – del solito Jansen sul solito Hölzenbein, fotocopia dell’azione dell’1-1 ma a fasce invertite. Triplice fischio di Taylor, Müller si inginocchia e si porta le mani sul volto prima di levare le braccia al cielo. Non ci credeva nessuno, forse nemmeno lui: la Germania Ovest è campione del mondo. In tribuna d’onore Beckenbauer alza al cielo la prima Coppa Fifa. Sipario. 

La generazione di fenomeni crolla sul più bello e, dopo aver deliziato pubblico e critica, torna a casa a mani vuote. Nel calcio succede. 

Come vent’anni prima alla grandissima Aranycsapat di Puskás & C., stavolta tocca all’Arancia Meccanica cedere alla maggiore concretezza teutonica. E senza nemmeno il legittimo sospetto del doping. 

La sfida di quell’indimenticabile 7 luglio a Monaco, Il Nuovo contro la Tradizione, era la contrapposizione di due concezioni del calcio. La vinse la Germania perché, come nella favola, la cicala perde sempre. Ma per dirla alla Sacchi, quell’Olanda, come la Grande Ungheria del ’54, non ha avuto bisogno di vincere, per convincere. Mica male per chi aveva in testa un’Idea meravigliosa sì, ma pur sempre rivoluzionaria.

Christian Giordano ©
Guerin Sportivo ©

Il tabellino

7 luglio 1974, Monaco (Olympiastadion), ore 16
Germania Ovest-Olanda 2-1 (2-1)
Germania Ovest: Maier; Vogts, Breitner; Bonhof, Schwarzenbeck, Beckenbauer; Grabowski, Hoeness, Müller, Overath, Hölzenbein. Ct: Helmut Schön.
Olanda (4-3-3): Jongbloed; Suurbier, Haan, Rijsbergen (De Jong dal 68’), Krol; Jansen, Neeskens, Van Hanegem; Rep, Cruijff, Rensenbrink (R. Van de Kerkhof dal 46’). Ct: Rinus Michels.
Arbitro: Jack Taylor (Inghilterra); guardalinee: Ramón Ruíz Barreto (Uruguay), Alfonso González Archundia (Messico).
Marcatori: 2’ Neeskens (O) rig., 26’ Breitner (GO) rig., 44’ Müller (GO).
Spettatori: 78.000 circa.

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