Froome vuole riscrivere la storia del ciclismo
di Umberto Preite Martinez
4 dicembre 2017, Ultimo Uomo
Chris Froome ha annunciato la sua presenza al Giro d’Italia e adesso ha la possibilità di vincere quattro Grand Tour consecutivi per la prima volta nella storia
Il 12 giugno 1994 è stato il giorno in cui il Giro d’Italia ha visto per l’ultima volta sulle sue strade la presenza del più forte ciclista da corse a tappe in circolazione in quel momento. Allora Miguel Indurain, sull’ultimo gradino del podio di Milano, finì per guardare il russo Evgenij Berzin in Maglia Rosa festeggiare la sua unica vittoria al Giro d’Italia. Era la prima volta dal 1991 che qualcuno riusciva a battere Miguelón in un Grande Giro, dopo che lo spagnolo aveva vinto tutto, comprese due doppiette Giro-Tour consecutive nel biennio ‘92-’93. Da quel giorno del 1994 nessuno dei più grandi campioni del ciclismo mondiale all’apice della carriera aveva più corso il Giro d’Italia di sua volontà.
Non lo ha mai corso Lance Armstrong nell’epoca dei suoi sette trionfi francesi, e neanche Contador quando era al picco. Le sue uniche presenze di quel periodo risalgono al 2008 e al 2011, quando fu costretto dagli organizzatori del Tour a non presentarsi al via della Grande Boucle per le opache vicende di doping che hanno caratterizzato la prima parte della carriera del ciclista di Madrid.
Oltre l’impossibile
L’ultima presenza al Giro di Chris Froome, il più forte interprete delle corse a tappe dai tempi di Miguel Indurain, risaliva al 2010, quando era stato squalificato alla 19esima tappa. Nel frattempo, ha vinto quattro Tour de France e una Vuelta.
In occasione della presentazione del percorso, Froome ha interrotto questi sette anni di assenza annunciando, senza abbandonare il suo tradizionale ermetismo, la propria partecipazione al Giro d’Italia 2018. Non è una decisione del tutto inaspettata. Froome lo aveva lasciato intuire al termine della Vuelta, quando aveva chiuso la sua storica doppietta, suscitando immediatamente le fantasie più spinte di tanti appassionati che da vent’anni aspettano di ammirare un’impresa del genere.
L’obiettivo più evidente del ciclista keniota è quello di spingere le frontiere della propria legacy ancora più avanti, provando a realizzare una doppietta che lo proietterebbe nell’Olimpo dei grandi profeti di questo sport, chiudendo un cerchio aperto nel 1949 da Fausto Coppi e interrotto nel 1998 da Marco Pantani. In mezzo, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche e Indurain.
In questo modo Froome romperebbe parte della logica che regge il ciclismo contemporaneo, facendo contenti molti appassionati che vorrebbero uno sport meno specializzato, fatto di ciclisti meno calcolatori. Ma il Giro d’Italia per Chris Froome non è solo il tentativo di emulare i grandi campioni del passato. È la possibilità di superarli tutti in un colpo solo vincendo quattro Grandi Giri consecutivi: Tour e Vuelta 2017, Giro e Tour 2018.
Negli ultimi anni è sembrato sempre più chiaro l’intento di Froome di non limitarsi a vincere ma di provare a spostare l’asticella di quel che si può fare nel ciclismo sempre un po’ più in là. Non si accontenta solo di dominare il Tour de France in lungo e in largo, cosa per cui verrà ricordato, al netto dell’enorme vicenda doping, anche Lance Armstrong.
L’impressione è che Froome cerchi di abbattere record per essere amato da tutti: se vincere Tour e Vuelta non è bastato ad attirare le simpatie degli appassionati, forse ci riuscirà vincendo Giro e Tour. Che viva quindi la sua devozione al ciclismo con la malinconia di un innamorato in faccia al tramonto, consapevole, o forse solo illuso, che qualcuno, da qualche parte, ricambia il suo amore. Perché Froome è una figura divisiva, da molti considerato un po’ il paradigma dei ciclisti contemporanei, freddi e anaffettivi.
Gli ostacoli tra Froome e la vittoria al Giro
Vincere il Giro d’Italia per Froome non è un’impresa impossibile. Certamente difficile, ma ci sono alcuni fattori da considerare.
Innanzi tutto le date: il Giro d’Italia terminerà a Roma il 27 maggio; il Tour de France partirà dalla Vandea il 7 luglio, sei settimane dopo, a differenza delle solite cinque. Questo grazie ai Mondiali di Calcio di Russia 2018, a cui la Francia parteciperà. Gli organizzatori del Tour de France, in accordo con l’UCI (l’Unione Ciclistica Internazionale), hanno deciso di posticipare il Grand Départ di una settimana per evitare la concomitanza con le fasi finali della Coppa del Mondo, sperando in un buon risultato della Nazionale transalpina.
L’ultima volta che accadde una cosa del genere fu proprio nel 1998, quando per non sovrapporsi ai Mondiali di Francia ‘98 si posticipò la partenza del Tour. Una settimana che permise a Marco Pantani di recuperare le energie spese per vincere il Giro d’Italia.
Una settimana, quindi, che potrebbe rivelarsi decisiva anche per le ambizioni di Froome. Va detto che fra Tour e Vuelta 2017 passavano però solo quattro settimane, un arco di tempo che gli ha permesso di sfruttare solo un unico, grandioso ciclo di forma. In quel caso Froome è riuscito a mantenere una buona condizione correndo in Francia in crescendo – ma senza mai strafare – e in Spagna in calando – riuscendo comunque a mantenere nelle ultime tappe il vantaggio acquisito nella prima settimana e nelle prove a cronometro.
Una strategia che difficilmente potrà utilizzare nel 2018: se sei settimane sono troppe per essere coperte da un solo “ciclo” di forma, possono però bastare per scaricare e riprendere un nuovo ciclo. Con sole cinque settimane fra Giro e Tour, invece, sarebbe stato impossibile sia mantenersi in forma tra una competizione e l’altra sia staccare la spina e ricaricare le batterie in un secondo momento.
Di certo, però, Froome non arriverà al Giro d’Italia al top della sua condizione fisica. Cercherà di gestire le energie, perché al di là di tutti i discorsi possibili sui picchi di forma e sulla preparazione atletica, uno sforzo di tre settimane come può essere la Corsa Rosa nelle gambe si fa sempre sentire. E forzare troppo la mano al Giro può essere fatale nei momenti cruciali del Tour.
Froome cercherà quindi di correre il Giro limitando il più possibile il dispendio di energie fisiche e mentali per poi dare tutto al Tour, dove i suoi avversari lo aspetteranno al varco, agguerriti e pronti ad approfittare di ogni suo piccolo momento di appannamento.
Gli antagonisti
La scelta di Froome di correre il Giro d’Italia porterà gli altri grandi nomi a puntare forte sul Tour de France, sperando che Froome sbagli qualcosa nella preparazione della Grande Boucle, o semplicemente che le fatiche del Giro gli facciano perdere brillantezza al Tour, quanto basta per batterlo.
Tom Dumoulin, che fino a pochi giorni fa si diceva molto affezionato al Giro d’Italia e intenzionato a tornare per difendere la sua Maglia Rosa, ha corretto un po’ il tiro durante la presentazione del percorso, lasciando aperte le porte di una sua partecipazione al Tour.
Vincenzo Nibali ha già annunciato, nonostante la sua grande diplomazia, che nel 2018 ha nel mirino Tour de France e Mondiale. Nairo Quintana, dopo due anni di preparazioni sballate e obiettivi clamorosamente falliti, ha deciso anche lui di puntare tutto sul Tour de France. Romain Bardet, infine, punterà come al solito tutte le sue fiches sul Tour de France, forse non ha nemmeno mai neanche concepito l’esistenza di altre corse al di fuori dei confini francesi (alcuni ironizzano che abbia corso la Vuelta 2017 solamente perché si partiva dalla Francia).
Visto che gran parte degli avversari più temibili si concentreranno sul Tour de France, al Giro resteranno pochi grandi nomi a fargli da concorrenza. In questo senso, gli avversari più credibili, anche osservando il percorso del Giro, saranno probabilmente Fabio Aru e Mikel Landa.
Il sardo ha già avuto a che fare con Froome nelle ultime due edizioni del Tour de France, uscendo ridimensionato dal confronto. Aru negli ultimi anni sembra aver perso la spinta che all’inizio sembrava doveva portarlo in alto. L’ultimo risultato degno di nota di Fabio Aru è la vittoria della Vuelta 2015. Da allora il buio quasi totale, a parte qualche fiammata fine a se stessa, come la bellissima vittoria a La Planche des Belles Filles di quest’anno.
Mikel Landa invece ha sempre corso da gregario sia nell’Astana sia nella Sky, tranne in rare occasioni dove ha però mostrato poca tenuta psicofisica ed è sempre naufragato lontano delle posizioni di alta classifica.
Entrambi potranno rivelarsi all’altezza solo se sapranno dimostrare di aver messo a posto i loro difetti di sempre: l’incostanza nell’arco delle tre settimane, la tenuta fisica e mentale, oltre alle difficoltà a cronometro.
In caso contrario, anche un Froome a mezzo servizio e i soli 45 km a cronometro previsti nel percorso basteranno al Team Sky per controllare la corsa e accompagnare in facilità il suo capitano fino a Roma, con in tasca il primo tassello del puzzle del suo incredibile record, senza neanche perdere per strada troppe energie.
Il discorso cambierebbe di molto se anche Dumoulin decidesse di correre il Giro d’Italia. In quel caso Froome non potrebbe limitarsi a dominare tutti a cronometro per poi controllare il gruppo in salita.
Se consideriamo i dati del Tour de France 2017, infatti, Fabio Aru ha perso complessivamente a cronometro da Chris Froome 3,15 secondi al chilometro. Nella cronometro di Marsiglia, Landa ha invece perso da Froome 2 secondi al chilometro. Ciò significa che Aru dovrebbe recuperare in salita al Giro 2018 la bellezza di 2’19” e qualche spicciolo, mentre a Landa servirebbero “solamente” 1’28”. Il problema è che nessuno dei due ha mai dimostrato di poter realmente mettere in difficoltà Froome in salita.
Non abbiamo dati precisi per confrontare invece Chris Froome e Tom Dumoulin nelle loro prestazioni a cronometro di quest’anno. Troppo diverse le cronometro del Giro rispetto a quelle di Tour e Vuelta, sia come chilometraggio che come altimetria, e troppo diversa la condizione fisica con la quale si sono presentati al Mondiale di Bergen. Osservando però i dati delle medie orarie nelle cronometro del Giro di Dumoulin, e le stesse medie di Froome nelle crono di Tour e Vuelta, e considerando anche i diversi tracciati, i due sembrano equivalersi.
Una situazione inedita per Froome che si troverebbe forse per la prima volta nella sua carriera a non poter fare affidamento sul suo strapotere nelle prove contro il tempo e dovrebbe a quel punto cercare di far saltare il banco in salita. Nel percorso del Giro 2018 ci sono però ben quattro tappe unipuerto (Etna, Montevergine e Campo Imperatore solo nei primi dieci giorni, più Pratonevoso), dove Dumoulin ha già dimostrato negli anni di andare fortissimo, intervallate da qualche tappa più nervosa, con molti strappi nel finale.
Le tappe in cui Froome potrebbe davvero far valere la sua superiorità in salita e nelle doti di fondo sono le ultime due tappe di montagna, la Venaria-Jafferau e la Susa-Cervinia. Un totale di 395 km in due giorni, con tante salite lunghe e dure dove Dumoulin potrebbe pagare dazio.
Dovesse partecipare Dumoulin, insomma, per Chris Froome sarebbe molto più dura. Affrontare Tom Dumoulin al Giro significherebbe però eliminarlo dalla competizione per il Tour de France un mese e mezzo dopo. Anche quello potrebbe essere un vantaggio non da poco.
Il Quinto Tour
D’altra parte, in questa impresa folle di Froome, una vittoria al Giro acquista di valore realmente solo se viene accompagnata successivamente da una vittoria al Tour. Un’impresa del genere – vincere quattro grandi corse a tappe in fila – oscurerebbe persino il raggiungimento del quinto Tour de France in carriera, un record che per qualunque altro ciclista è già praticamente impensabile.Se vincere il Giro d’Italia sembra essere ancora un’impresa abbordabile, a seconda della startlist, i giochi sono invece molto più complicati al Tour de France.
Innanzi tutto la scelta degli organizzatori di ridurre al minimo i chilometri a cronometro non deve aver fatto piacere a Froome. Il percorso sembra su misura per i suoi avversari, su tutti Nairo Quintana e Romain Bardet: tante tappe di montagna, pochi tapponi veri e propri, cronometro ridotte ben al di sotto di un ideale minimo sindacale.
Ma lo scarso chilometraggio delle tappe alpine e pirenaiche, se da un lato favorisce in un ipotetico testa a testa i suoi avversari, dall’altro rende molto più semplice per il Team Sky tenere chiusa la corsa. In un percorso più breve Froome può gestire i suoi gregari in maniera meno dispendiosa, dovendo coprire ognuno distanze minori e potendo perciò conservare tante preziose energie per le fasi finali delle tappe.
Un percorso strano, quindi, che se a prima vista sembra studiato per far perdere Froome, a un’analisi più approfondita risulta aperto a tante soluzioni diverse. Tutto dipenderà dalla capacità degli avversari di far perdere il controllo della situazione al Team Sky, eventualità che oggi sembra comunque improbabile.
I compagni
Sotto il luccicante annuncio di Chris Froome si nascondono anche delle delusioni. Quella di Geraint Thomas, ad esempio, il suo più fedele gregario che da anni aspetta la sua occasione. All’ultimo Giro d’Italia era stato mandato dalla Sky come capitano (insieme al poco convincente Landa) ma la sfortuna ha voluto che lasciasse la corsa anzitempo. Nel 2018 dovrà rientrare nei ranghi e accompagnare il suo capitano al Giro nel solito ruolo di ultimo uomo.
Allo stesso tempo, la perdita di Mikel Landa, passato alla Movistar di Quintana e Valverde, non dovrebbe essere un grande problema per la Sky che può sempre contare sullo stesso Geraint Thomas, ma soprattutto su Wout Poels, Michal Kwiatkowski e Gianni Moscon, oltre al giovanissimo Pavel Sivakov e al nuovo arrivato David De La Cruz. Una corazzata senza apparenti punti deboli, tutta al servizio del capitano Chris Froome.
È probabile che questi nomi verranno in parte divisi fra Giro d’Italia e Tour de France, per garantire a Froome di avere dei gregari in perfette condizioni per entrambe le corse a tappe.
Ma anche ipotizzando di avere al Giro i soli Thomas e Moscon e al Tour de France i vari Poels, Kwiatkowski e De La Cruz, verrebbero fuori due squadre più che buone per controllare la corsa, soprattutto tenendo in considerazione tutti gli uomini che fanno il lavoro sporco dietro le quinte, come Kiryenka e Stannard, pedine poco appariscenti ma fondamentali in tutte le vittorie di Chris Froome.
L’aspetto di squadra nel ciclismo passa spesso in secondo piano, almeno negli osservatori meno attenti, ma è ciò che rende possibili le vittorie, anche quelle di un talento unico come quello di Chris Froome. Per raggiungere quello che è uno dei più grandi record individuali di tutti i tempi ci sarà bisogno di un lavoro collettivo, che sembra comunque già preparato fino all’ultimo dettaglio.
Froome è a un passo dal riscrivere la storia di questo sport e ha tutte le armi a propria disposizione per poter superare anche quest’ultimo, impensabile, ostacolo. Forse è la consapevolezza del lavoro di squadra dietro le sue vittorie a renderlo così pudico, timido e poco affettato nella celebrazione di se stesso, come anche nel brevissimo video in cui ha annunciato la sua presenza al Giro. O forse è solo timidezza, pudore di uno sportivo che sta cercando di superare ogni singolo limite umano, solo per farsi voler bene.
Umberto Preite Martinez è nato a Strasburgo e vive a Frascati. Studente di Scienze della Comunicazione, è caporedattore di InItaliaNews. Dal 2004 non perde neanche una gara di ciclismo e conosce a memoria l'albo d'oro del Giro della Provincia di Grosseto.
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