ISRAELE, LA STORIA (4/fine) - Dall’Intifada alla breve illusione della pace


Nel 1987 la rivolta delle pietre sorprese tutti. 
E avviò un processo mai concluso

21 Nov 2023 - Corriere della Sera
Dal nostro inviato a Ashkelon - Lorenzo Cremonesi 

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L’incidente tra la camionetta militare e il taxi carico di pendolari palestinesi di ritorno a casa dai cantieri attorno a Tel Aviv avviene nelle viuzze del campo profughi di Jabalia, tra i più sovrappopolati di Gaza. I quattro morti vengono trasportati all’ospedale Shifa. Si sparge la voce che a ucciderli sia stato il fratello di un commerciante israeliano accoltellato a morte poco lontano il giorno prima. Una vendetta? In realtà non è vero, come del resto spesso sono false o distorte le dicerie che echeggiano nei vicoli della Striscia. Ma basta poco per accendere la scintilla della rivolta.

È l’8 dicembre 1987. Il giorno dopo passa alla storia come la data di nascita dell’Intifada, un termine che in arabo sta per «scrollarsi di dosso» ed era stato utilizzato dalle rivolte irachene contro l’occupazione britannica negli anni Venti. I funerali diventano proteste con lanci di pietre, copertoni in fiamme. I soldati, colti di sorpresa, non dispongono di lacrimogeni o proiettili di gomma, sparano pallottole d’ordinanza. Ogni morto alimenta la rabbia, ogni corteo fermato con la forza diventa occasione di ulteriori scontri. I giovani non inneggiano all’OLP, ci sono poche immagini di Yasser Arafat, come invece era stato nelle rare manifestazioni contro l’occupazione sino ad allora, bensì parlano di «jihad», guerra santa, i loro caduti sono «shahid», martiri come li definisce il Corano. Non c’è una vera organizzazione centrale, mancano capi e direttive.

Nascita di un mito

In breve, l’Intifada paralizza Gaza, raggiunge la Cisgiordania, arriva a Gerusalemme Est. Nasce il mito dei «ragazzi delle pietre», giovani disarmati contro l’esercito più potente nel Medio Oriente. Israele è diventato Golia e Davide lo sfida in casa. Nel suo saggio Il vento Giallo, apparso soltanto pochi mesi prima, lo scrittore israeliano David Grossman aveva messo in guardia sulla situazione esplosiva: nei Territori occupati da due decenni era cresciuta una nuova generazione di palestinesi che, a differenza dei loro padri e nonni traumatizzati dalle sconfitte del 1948 e del 1967, erano pronti a ribellarsi. A peggiorare il quadro era l’Islam politico, cresciuto dall’eclissi di Nasser e adesso arrivato anche nelle strade palestinesi.

Questa fu l’intifada: un movimento spontaneo che prese di sorpresa sia Israele che l’OLP e costrinse a rimettere in questione lo statu quo dell’occupazione di Cisgiordania e Gaza dopo il 1967. Tra il 1987 e il 1993 i palestinesi morti sono stati quasi 2.000, di cui 360 uccisi dagli attivisti interni perché accusati di «collaborazionismo». Le vittime israeliane ammontano a circa 200. Da allora i palestinesi dei Territori occupati hanno avuto un ruolo sempre più importante e con essi i radicali islamici di Hamas, che erano nati a Gaza nel 1988 e tendevano sempre più a monopolizzare le piazze della rivolta. Se ne rese conto presto re Hussein di Giordania, che annunciò la rinuncia a qualsiasi pretesa del suo Paese sulla Cisgiordania, persa nel 1967. Arafat da Tunisi cercò subito di cavalcare la tigre. Ma la sua scelta di sostenere Saddam Hussein dopo l’invasione irachena del Kuwait nel 1990 lo isolò nello stesso mondo arabo. Indebolito tra i palestinesi e marginalizzato sulla scena internazionale, il leader dell’OLP accettò allora di avviare il dialogo con Israele nella speranza di tornare a rappresentare la sua gente. Il piano di pace firmato nel 1993 tra Arafat e Ytzhak Rabin prevedeva un periodo ad interim, durante il quale i palestinesi avrebbero progressivamente assunto il controllo dei Territori. Quindi, la nascita del nuovo Stato palestinese si sarebbe accompagnata nella fase finale alla soluzione delle questioni più spinose, quali la definizione precisa dei confini, e soprattutto la divisione di Gerusalemme. Fu allora che Hamas intensificò gli attentati terroristici col preciso intento di boicottare gli accordi di pace e allo stesso tempo delegittimare l’OLP, che in questa visione tradiva la Waqf, la sacra terra della Palestina Islamica. Dagli Accordi di Oslo nel settembre 1993 al settembre 2000, quasi 300 civili israeliani rimasero uccisi negli attentati-kamikaze.

I nemici degli accordi

Ma tra i nemici del piano di pace c’era anche la destra ebraica, che lanciò un’intensa campagna di militanza e raccolta fondi per costruire nuove colonie e ampliare quelle esistenti con il preciso intento di impedire la nascita dello Stato palestinese. Come Hamas rifiutava il compromesso territoriale in nome dell’Islam, così tanti tra i cavalieri della colonizzazione sostenevano il sacro diritto ebraico a governare la Giudea e Samaria bibliche. Il 25 febbraio 1994 Baruch Goldstein, residente nella colonia di Kiriat Arba, raggiunse la Grotta dei Patriarchi nel cuore di Hebron e massacrò a mitragliate 29 musulmani. Un attacco che rinfocolò il terrorismo di Hamas.

L’assassinio di Rabin

Il colpo mortale al traballante processo di pace fu inferto da Yigal Amir, un 25enne religioso, che la sera del 4 novembre 1995 assassinò a colpi di pistola il premier laburista Ytzhak Rabin davanti a decine di migliaia di persone riunite nel centro di Tel Aviv per una manifestazione in nome del compromesso e contro la violenza. Un momento drammatico e catartico: Rabin da ex militare falco era l’unico leader laburista abbastanza carismatico da poter fare accettare alla maggioranza degli israeliani il principio della resa della terra in cambio della pace. La sua fine fu l’eclissi delle speranze. Tra il settembre 2000 e il 2005 bruciò la Seconda Intifada, molto più sanguinosa della prima: gli israeliani uccisi furono circa 700, quelli palestinesi 3.350. Le violenze seppellirono l’ultimo spiraglio nel Duemila, quando Ehud Barak, un altro premier laburista con il passato glorioso di soldato, cercò di accordarsi con il vecchio capo palestinese; ma Arafat rimase rigido su Gerusalemme. «Non voglio passare alla storia come il responsabile che ha svenduto la terza città santa dell’Islam», confessò prima di morire nel 2004. I tempi stavano cambiando. Ariel Sharon volle il ritiro unilaterale da Gaza nel 2005, ma non lo negoziò con l’Autorità palestinese allora diretta da Mahmoud Abbas a Ramallah, lasciando così che Hamas e Jihad islamica potessero piantare le proprie bandiere sugli insediamenti ebraici appena abbandonati. «Vorrei chiudere i cancelli di Gaza e gettare le chiavi in mare», disse Sharon a marcare la fine del dialogo politico con i palestinesi. Sono seguiti i governi di Netanyahu, la colonizzazione selvaggia e in parallelo la crescita del peso di Hamas, che hanno vanificato qualsiasi prospettiva di accordo.

(4/fine. Le altre puntate sono uscite il 4, l’8 e il 13 novembre)


OSLO 1993

La stretta di mano tra il premier israeliano Yitzhak Rabin (assassinato due anni dopo) e Yasser Arafat, leader dell’OLP, durante la firma degli Accordi di Oslo siglati a Washington il 13 settembre 1993, davanti al presidente americano Bill Clinton. Hanno sancito la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per l’autogoverno (limitato) di parte della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.



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