Gigi Riva - di Lamberto Artioli
"Brebbia, 16 giugno 1960. Anche quest'anno ha riscosso un grandissimo successo l'edizione del torneo a sette disputato presso il campo sportivo dell'oratorio. Meritatamente ha vinto la squadra del Leggiuno sulla Gaviratese per 8 a 4. Tutti da elogiare i giovani vincitori. Un plauso particolare al piccolo Riva autore di ben quattro reti e sicura promessa del calcio italiano".
Questa notizia, pubblicata dalla Cronaca Prealpina di Varese, porta la firma di Enzo Zuin. Fu lui, quando Riva aveva appena 15 anni, a scoprire quel giocatore che Gianni Brera molti anni dopo avrebbe soprannominato "Rombo di tuono".
"Non tocca la palla da latino," scrive lo stesso Gianni Brera, "non ha neppure il destro come dovrebbe avere un giocatore della sua fama, però la sua classe ha pochissimi eguali al mondo. La sua struttura morfologica è del grande atleta nordico: spalle ampie, fianchi sottili, gambe leggermente ipertrofiche, non abnormi. Il suo scatto è così imperioso da riuscire spesso travolgente. I suoi stacchi sono violenti e insieme coordinati. È intelligente fino alla temerarietà. Nel Rinascimento sarebbe diventato capitano di ventura, uno sicuramente nato per conquistare città e castella. Riva ha la forma mentis e la struttura fisica dell'eroe come ci ha insegnato a vederle la storia, non solo sportiva".
Luigi (Gigi) Riva nasce a Leggiuno (Varese) il 7 novembre 1944. Mi ha raccontato, tra l'altro, sua sorella Fausta: "La nostra infanzia è infelice perché il destino prima ci toglie il papà che lavorava come sarto e parrucchiere e poi la mamma. Gigi gioca a calcio nella squadretta dell'oratorio il cui campo è sistemato proprio dietro casa nostra. Entra a far parte della squadra ragazzi del Leggiuno e siccome è molto bravo, a ogni fine partita riceve in premio burro, carne, uova e salumi che porta a casa per noi. Poi, come operaio, lavora in una fabbrica di bottoni per ascensori. Nel 1961 gioca per il Laveno. Prova per l'Inter, ma viene bocciato".
nel 1962 Riva passa al Legnano per un milione e mezzo di lire ed esordisce in serie C il 21 ottobre nel campionato 1962-63. Lo acquista quindi il Cagliari, in serie B, per 37 milioni. È il 13 marzo 1963. La promozione della squadra sarda è immediata: Gigi Riva debutta in serie A il 13 settembre 1964 contro la Roma, all'Olimpico.
Il gol è il suo mestiere. Sempre con la maglia rossoblù, segna nella sua carriera 156 gol per un totale di di 289 partite. Gioca in nazionale 42 volte (non sempre esaltando, per la verità) e realizza 35 gol, più di tutti i grandi del presente e del passato e supera lo stesso Giuseppe Meazza che ne aveva realizzati 33. Porta il Cagliari allo scudetto nel 1970, diventa il simbolo della Sardegna e non solo calcistica.
Non c'è squadra di rango che non voglia acquistarlo, anche per due miliardi di lire. Nel luglio del 1973, inviato dal Corriere della Sera, sbarco in Sardegna alla ricerca del calciatore in procinto - si diceva - di passare alla Juventus. Riva - presumendo il massiccio assedio da parte dei giornalisti - era rimasto per due giorni nascosto. Nella sua casa di Is Mortorius nei pressi di Cagliari c'è solo una domestica. Il giardino dà su una spiaggia. All'ancora, vedo un motoscafo pronto, eventualmente per sottrarlo all'assedio. Quattro amici-gorilla "vegliano" su di lui e sulla sua casa. Nessuno sa dove sia. Faccio in tempo a lasciargli, sul cuscino del suo letto, in due giorni diversi, due messaggi: lo prego di un'intervista appena rientrerà a casa.
Il 14 luglio mi riceve, scusandosi: "No," mi dice subito, "alla Juventus non ci vado, per nulla al mondo. Non si può trattare un essere umano come uno straccio, un ferrovecchio e io rifiuto questo comportamento. Sono qui da dieci anni: questo mare lo sento ormai dentro di me come i prati di Leggiuno, e i dirigenti del Cagliari - improvvisamente - dopo che mi avevano assicurato che non sarei mai stato messo in vendita, trattano del mio trasferimento alla Juventus come se il mio parere non contasse nulla. Un giorno ho letto un giornale che diceva del mio ormai avvenuto trasferimento a To4rino e l'ho scaraventato per terra, indispettito e pieno di rabbia. Ma chi credono che io sia? Sono un calciatore e va bene, ma sono anche un uomo e come tale voglio essere trattato. E poi, via, Bettega, Cuccureddu, Musiello e Gentile più 400 milioni di lire per me: non è una follia? Ma non capiscono che trasferendomi alla Juventus e dandomi un valore di due miliardi e 300 milioni di lire mi condurrebbero alla pazzia? Sarei obbligato a segnare almeno due gol per partita. No, questo non è più gioco del calcio, diventa una maledizione. Io gioco al calcio per divertirmi, non per rovinarmi l'esistenza. Questo devono sapere di me e di come la penso.
Altri miei articoli uscirono in quei giorni di luglio sullo stesso giornale e sempre da Cagliari. Uno aveva questo titolo: "Se venderà Riva rapiremo il presidente del Cagliari". Il sommario di quella corrispondenza diceva: "Il postino ha recapitato missive provenienti anche dal Belgio, dall'Inghilterra e dalla Francia: tutte esprimono gli stati d'animo più disparati e le minacce più bellicose". Altro titolo: "A Cagliari avvertono: se vendete Gigi Riva daremo l'assalto al Palazzo della Regione. Lo bruceremo".
Ha scritto tra l'altro Sandro mazzola nel suo pensiero più sotto pubblicato: "Ha avuto moltissima sfortuna: senza incidenti avrebbe potuto giocare ad altissimo livello almeno per altri tre anni". Riva è stato vittima, infatti, di tre gravi infortuni. Il primo porta la data del 27 marzo 1967: durante la partita Italia-Portogallo a Roma, in uno scontro con il portiere Américo, si produce una frattura all'unione fra il terzo medio e il terzo inferiore del perone sinistro. Tre ore dopo, in ospedale, ha la forza di sorridere e di giustificare l'avversario. Resta inattivo due mesi, ma vince ugualmente la classifica dei cannonieri con 18 gol (classifica che lo vedrà ancora primo nel 1969 con 20 gol e nel 1970 con 21). Il secondo si verifica il 31 ottobre 1970, a Vienna. Contro l'Austria, si scontra con Hof e riporta la frattura del perone destro con strappo dei legamenti. In clinica rincuora i compagni andati a trovarlo. Resta inattivo per quattro mesi e mezzo. Il terzo, infine, è del primo febbraio 1976: uno strappo all'adduttore del tratto prossimale della coscia destra durante la partita Cagliari-Milan gli impone lo stop definitivo.
Alto 1,80 per 78 chili, Gigi Riva possedeva nel piede sinistro la forza esplosiva di un bazooka. Si svegliava sempre alle dodici del mattino ("Prima di mezzogiorno non ci sono per nessuno, allenatore e presidente compresi," diceva), ma si allenava anche ogni giorno intensamente con gli altri. Poi, a parte, per un'oretta almeno, si divertiva a scagliare palloni nella rete. "Ottanta rigori-cannonate al giorno tirava nella mia porta, " disse un giorno il portiere del Cagliari, Enrico Albertosi, "e sbagliava soltanto quando mi tirava addosso".
Il gol era la sua vita. Una volta - e l'episodio che riporto corrisponde a verità - presentarono a Gigi Riva uno sconosciuto di Orgosolo. "Un giorno o l'altro ti rapiremo," gli disse quel tale. "Fate pure," rispose Riva, "a me basta una fetta di pane e un po' di salsiccia. però pongo una condizione: dovrete rapire anche il portiere di riserva del Cagliari perché io possa allenarmi e tirare in porta quanto mi piace".
Questo era Gigi Riva, il miglior giocatore italiano del dopoguerra - secondo me e anche secondo Nando Martellini - e terzo di tutta la storia del calcio in Italia, dopo Giuseppe Meazza e Silvio Piola.
LAMBERTO ARTIOLI - "I più grandi"
Aveva un gioco completamento diverso da quello di Garrincha, anche se sarebbe andato perfettamente d'accordo col giocatore brasiliano: perché Riva era un'ala che convergeva al centro e aspettava il pallone buono per concludere. Riva non era un'ala nel senso tradizionale della parola: era soltanto un goleador. La sua dote maggiore: il senso della rete. Si può aver tiro e potenza, ma se non si ha il fiuto del gol, la palla non va tra i due pali. Il suo tiro micidiale faceva il resto. Quando era in area, anche se controllato, riusciva a girarsi fulmineamente sulla destra per trovare spazio e tempo per calciare di sinistro. Era furbo e potente.
GIACINTO FACCHETTI
94 volte nazionale azzurro. Cassano d'Adda (Milano).
"Potenza fisica enorme, progressione in corsa e tiro micidiale, salto di testa a volte prodigioso, coraggio eccezionale, forza di volontà invidiabile. All'occorrenza, in campo, sapeva anche dialogare. Ma è chiaro che Riva esprimeva tutto se stesso quando era lanciato a rete oppure sui cross. Grande lottatore, con lui in campo la partita finiva al novantesimo minuto, era un pericolo sempre incombente". Con lui come avversario, la vittoria non era mai sicura. Cercava la marcatura perché sapeva che avrebbe vinto il duello: era sicuro e convinto dei propri mezzi in maniera incredibile. Ho visto pochissimi giocatori calciare al volo come Riva: forse Nyers aveva la stessa pulizia e la stessa potenza. Ha avuto molta sfortuna: senza incidenti avrebbe potuto giocare ad altissimo livello almeno per altri tre anni.
SANDRO MAZZOLA
70 volte nazionale azzurro. Milano.
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