Un Rombo nel cielo
Nessuno ha mai segnato quanto lui con la maglia azzurra nonostante due gravi infortuni. Quello scudetto indimenticabile a Cagliari
GIGI GARANZINI
Martedì 23 gennaio 2024 - La Stampa - Nazionale
Avrebbe fatto una gran fatica anche il sommo Brera in un momento come questo. A maggior ragione perché amava Giggirriva più di ogni calciatore, o prestipedatore, della storia. Figurarsi un pensionato della penna cui era toccato l’onore, il grande onore, un paio di anni fa di prestare a Gigi la penna affinché si decidesse, una volta per tutte, a raccontare in prima persona la storia della sua vita. E che storia.
«Vado per gli ottanta»: così l’aveva incominciata. Con un mezzo ghigno scaramantico: ma chi andava a pensare ci fosse anche del profetico, visto che gli ottanta sarebbero arrivati soltanto il 7 novembre prossimo venturo. Fosse stato per Brera, d’altra parte, la leggenda si sarebbe chiusa molto ma molto prima. Perché i veri, grandi eroi, secondo il maestro, meriterebbero di morire giovani, nel pieno della loro gloria, e andrebbero trasportati in Olimpo su un carro di fuoco. Toccò a lui invece quella fine, in età matura: e non ho dimenticato il turbamento con cui Riva la rievocò. Era stato Brera, e chisennò, a battezzarlo Rombo di Tuono. Dopo un’Inter-Cagliari a San Siro, decisa da due fantastici gol del più grande attaccante della storia del calcio italiano: un tuono che sempre più si caricava ogni volta che Gigi toccava il pallone, sino a travolgere ogni resistenza. È stato il più grande attaccante italiano di sempre. Lo racconta il suo score in maglia azzurra, i 35 gol un 42 partite. E quanti di più sarebbero stati se per due volte, nel ’67 col Portogallo e nel ’71 con l’Austria, non gli avessero spaccato una gamba. Non solo perché entrambe le volte ci vollero per mesi per guarire e rientrare: ma perché la gravità e la conseguenza delle lesioni gli accorciarono brutalmente una carriera chiusa alla soglia dei 31 anni. Credete che Gigi invecchiando rimpiangesse un po’ più di cautela con quegli avversari di allora? In un calcio in cui lo slogan era palla contesa-palla alla difesa e il VAR era di là da venire anche e soprattutto in materia di brutalità verso gli attaccanti? Anch’io ci ho provato nel corso dei nostri incontri. E con tutte le cautele del caso, ma sei sicuro Gigi che fosse il caso di rischiarla sempre la gamba con i macellai dell’epoca? Rispose duro, alzando la voce di un buon mezzo tono. Io sapevo giocare solo così: se il problema era togliere la gamba quando tirava una brutta aria, me ne stavo a casa mia.
Hombre vertical, se ce n’è stato uno. In campo e fuori, nella vita professionale come in quella di tutti i giorni. Nei suoi 79 anni solo una volta ha cambiato idea: quando arrivato a Cagliari dal Legnano pensò che sarebbe ripartito l’indomani perché troppo diverso era quel mondo rispetto a quello in cui era cresciuto. A incuriosirlo prima e a stregarlo poi non fu la Sardegna dell’Aga Khan, che in quegli anni stava decollando. Fu quella dei pescatori, dei pastori, il Supramonte e gli stazzi non i gioielli della Costa Smeralda. Fu quella dei sardi che impararono a conoscere e ad amare un sardo più sardo di loro che mai e poi mai avrebbe tradito né l’isola né la maglia rossoblù. Ci provarono in tanti, e si parla dei grandi non degli avventurieri d’oggidì dei fondi sovrani quando non delle agenzie di scommesse. Il primo a capire che proprio non se ne poteva parlare fu Angelo Moratti: una volta resosi conto che all’Inter non sarebbe riuscito a portarlo, anche se l'Inter era stata il primo amore di Gigi, lo blindò al Cagliari rafforzando la società sarda per blindarlo dalla concorrenza. L’ultimo ad arrendersi Giampiero Boniperti che per Riva arrivò ad offrire Bettega, Gentile e altri ancora più un paio di miliardi di allora: e a cui Riva rispose che l’offerta era semplicemente immorale. Seguirono scintille prolungate, che non impedirono alla Juventus di continuare a provarci nonostante Riva, causa postumi da fratture, non fosse ormai più lo stesso Riva. Gigi mi ha raccontato che in qualunque città andasse a giocare, prima o poi si palesava un emissario che gli proponeva di telefonare a Boniperti. Mai successo. Fu Gigi, tanti ma proprio tanti anni dopo a chiamare Boniperti per il compleanno dei 90. «Aspettavo questa telefonata da cinquant'anni» rispose un po' commosso Boniperti.
Non so quanto Giggirriva esca da queste righe frettolose e dolenti. Poco in rapporto alla grandezza del campione, del personaggio e della persona. E allora, per il campione rimando alle immagini che documentano, inequivocabilmente, e a differenza che per altri della sua epoca, ai fuoriclasse di oggi e non escludo di domani. Per il personaggio posso testimoniare che la sua biografia "Mi chiamavano Rombo di tuono" è una spremuta di testimonianze e ricordi certamente ristretta ma di assoluta fedeltà. La persona è quella che due anni fa, giusto di questi tempi, mi accolse nel salotto di casa, mi chiese che progetto avessimo la Rizzoli e io, e si accese la prima sigaretta. Pomeridiana, perché come è noto Gigi la mattina nemmeno si allenava. Risposi che i casi erano due. O partivamo dal dato di fatto che lui oggi avrebbe giocato a destra, come i mancini attuali più grandi, oppure mi avrebbe semplicemente raccontato la sua vita. Due boccate delle sue, non da abatino, e la sentenza: ti racconto la mia vita. L'ha narrata senza maiuscole, alla sua maniera. Ed è stata, e rimarrà un'emozione incancellabile. Addio Gigi, come ci ha insegnato il maestro, ti sia lieve la terra.
GIGI GARANZINI
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