FOOTBALL PORTRAITS - Eusébio, il mio nome è Nessuno


di CHRISTIAN GIORDANO
Eurocalcio, n. 53 – marzo 2005

Nessuno: così lo chiamavano da ragazzino, orfano e povero, nel natio Mozambico. Crescendo, grazie al calcio è diventato qualcuno: la Pantera Nera, la risposta afroeuropea alla Perla Nera Pelé

«Nacque destinato a lustrare scarpe, vendere noccioline o borseggiare la gente distratta. Da bambino lo chiamavano Ninguém – niente, nessuno – (…) Fece il suo ingresso sui campi correndo come può correre solo chi fugge dalla polizia o dalla miseria che gli morde i talloni. E così, tirando e zigzagando, divenne Campione d’Europa a vent’anni. Allora lo chiamarono la Pantera». Nera. Ecco come l’uruguayano Eduardo Galeano descrive il leggendario Eusébio in Splendori e miserie del gioco del calcio, autentico testo sacro di ogni devoto a calcio e letteratura. Tra grandi, si sa, ci s’intende. 

Eusébio da Silva Ferreira nasce nel gennaio 1942 in una modesta dimora di Mafalala, “bairro” alle porte della capitale mozambicana, che per liberarsi del passato coloniale (quasi 500 anni di dominazione portoghese) ha barattato il nome da esploratore, Lourenço Marques, con quello di un fiume, l’attuale Maputo. Sul giorno di nascita, esistono poche certezze. Una di queste riguarda le disastrate condizioni del Mozambico, se possibile peggiorate con l’ascesa al potere di António de Oliveira Salazar, Presidente do Concelho de Ministros de Portugal dal 1932 al 1968. Le poche infrastrutture restavano riservate ai bianchi e agli “asimilados” africani; e fra le priorità di un regime autoritario (eufemismo) non rientrava certo l’ufficio anagrafe. Questo spiega almeno in parte le discordanti versioni in materia: il 25 secondo i biografi ritenuti più attendibili e qualcuno dei suoi otto tra fratelli e sorelle, il 5 stando al diretto interessato, il 21 per altre fonti. Il quartogenito di Elisa Anissabeni, rimasta vedova quando Eusébio ha solo 5 anni, eredita dal padre, anch’egli centravanti, la passione e il talento per il calcio. Gioca, in grandi spazi aperti e spesso scalzo, «dalla mattina alla sera, ma fino a 12 anni non ho mai visto i pali di una porta». Campione juniores dei 400, 200 e 100 metri, forma con altri ragazzini di Mafalala una squadretta, “Os Brasileiros”, così chiamata in ossequio alla loro ammirazione per la Seleção. Curiosamente, è allora che i compagni cominciano a chiamarlo “Ninguém”, Nessuno. Un nomignolo che sparirà a suon di reti. 

UN INCONTRO FORTUNATO
Il calcio organizzato lo conosce da 15enne, allo Sporting Clube Lourenço Marques, nel quale esordisce alla sua maniera, segnando tre gol. Vi approda però solo perché scartato, per due volte, dal Desportivo, la squadra dove gioca il suo idolo Mário Esteves Coluna, grande regista anche lui prodotto di Lourenço Marques, ma di 7 anni più grande, che sarà suo compagno al Benfica e nella nazionale lusitana. «Jogar no Desportivo, vestir a sua camisola era o meu sonho» confesserà anni dopo, da campione affermato, Eusébio. Un sogno rimasto inappagato e che a distanza di mezzo secolo gli lascia ancora l’amaro in bocca, più che per il doppio rifiuto, per il modo in cui i dirigenti lo avevano trattato: «Non mi diedero nemmeno l’equipaggiamento per allenarmi. Mi sentii offeso e così decisi di andare allo Sporting. In fondo, per me contava solo giocare». Nella primavera del 1960, per motivi misteriosi, è in tournée a quelle latitudini il Ferroviario, modesto club dell’entroterra paulista allenato da José Carlos Bauer, ex centromediano del Brasile ai Mondiali del 1950 e del 1954. Per una di quelle casualità che rendono tanto affascinanti il calcio e la vita, Bauer, uomo di profonda cultura calcistica, osserva su uno spelacchiato campetto un ragazzino di pelle nera, fisico flessuoso e movenze feline che punta a rete a velocità supersonica. Bauer chiede informazioni e prende nota. Il suo occhio esperto coglie subito che a quella forza della natura nessuno ha insegnato la parola “tattica”, figuriamoci il significato; ma anche che quello è un diamante grezzo dalla classe innata. Sul resto ci si può lavorare. Al ritorno Bauer fa scalo a Lisbona per andare a trovare l’antico maestro Béla Guttmann, ungherese giramondo che allenava il Benfica e che era stato suo allenatore al São Paulo nel 1957-58. Dopo aver guidato, fra il 1949 e il 1956, Padova, Triestina, Milan e Lanerossi Vicenza, Guttmann aveva lasciato l’Italia perché accusato di omicidio colposo per un incidente automobilistico nel quale avevano perso la vita due bambini. Terrorizzato dal processo e dall’incubo di finire in prigione, aveva preso il primo aereo per il Brasile dove, nel giro di due settimane, era stato ingaggiato dal club paulista. 

CAMPIONE CONTESO
Bauer segnala a Guttmann quel promettente 18enne mozambicano e gliene parla in termini entusiastici: «Ho visto un negretto (oggi suonerebbe un filino politically incorrect, ma allora si parlava così, nda) formidabile che corre i 100 metri in 11 secondi e che col pallone sa fare tutto». Guttmann, allenatore colto e pragmatico, spedisce in loco un emissario del club (forse l’osservatore Serafin Batista) poi verifica di persona. La mossa anticipa l’interessamento della Juventus, allertata da Ugo Amoretti, ex portiere bianconero (1936-40) che si trovava in Mozambico per lavoro; ma soprattutto scatena la guerra tra le due sponde del Tago. Lo Sporting ritiene Eusébio un suo tesserato e si appella alla Federcalcio in un contenzioso che dopo oltre sette mesi lo vede perdente. Sulla riva opposta si sentono in una botte di ferro. «Se Bauer ritiene che il ragazzo valga 20 mila dollari (la cifra richiesta dal Lourenço, nda), allora quel ragazzo deve essere bravo» dice Guttmann al proprio presidente. Cinque settimane dopo, Eusébio firma l’accordo e vola assieme all’ungherese alla volta di Lisbona. 

STORIA E LEGGENDA
Questa è la versione, riportata dal libro International Football Book No. 9, pubblicato nel 1967 dalla casa editrice londinese Souvenir Press. Un’altra, non meno attendibile, e per certi versi complementare, si basa sul teorema che vuole lo Sporting Clube fondato da tifosi dello Sporting Lisbona e quindi una sorta di sua succursale. In effetti, le due società collaboravano da anni e problemi non c’erano mai stati anche perché non c’erano mai stati fenomeni (quindi “torte” da spartire) come Eusébio. Nel calcio, ieri come oggi, andava di moda setacciare le (non ancora ex) colonie alla ricerca dei migliori talenti. In quella stagione, la 1960-61, lo stesso Benfica, che avrebbe vinto la sua prima Coppa dei Campioni, ne schierava quattro: il centravanti e capitano José Águas, il portiere Costa Pereira e i centrocampisti Joaquim Santana e Coluna. Secondo la leggenda, quando lo Sporting convoca Eusébio a Lisbona per un provino, i primi a presentarsi all’aeroporto sono gli uomini del Benfica. Ancora libero da vincoli contrattuali, il giocatore viene nascosto, assieme a due componenti lo staff tecnico del club, in un alberghetto di un villaggio di pescatori, in Algarve, nel Portogallo del sud, dove passa le giornate ad allenarsi sulla spiaggia. Da lì al tesseramento nella formazione riserve, il passo è breve. 

LISBON LIONS STORY
Al debutto in prima squadra, in amichevole, il mozambicano non tocca palla. Cresciuto in un calcio primordiale, al contatto con quello “europeo” si trova spaesato. Ascoltato l’accorato sfogo del talentuoso ma acerbo virgulto, Guttmann gli concede una seconda chance: contro il First Vienna. Eusébio sembra trasformato. Ai consueti movimenti da gazzella con cui detta il passaggio ai propri centrocampisti, aggiunge un repertorio da centravanti completo, capace di giocare prima punta o in appoggio alla torre e di battere a rete con terrificanti shoot di destro e di sinistro (meglio il secondo). In più, segna una doppietta. Guttmann, che pure ne ha viste tante, si lustra gli occhi per l’incredulità.

EUSéBIO vs PELé

Neanche un mese dopo il successo continentale, il Benfica è invitato dal Racing Club per l’annuale Torneo di Parigi. Al Parco dei Principi affronta il Santos di Pelé, autore di una tripletta già nel primo tempo. A 30’dalla fine, con i brasiliani avanti per 5-0, Guttmann lo butta nella mischia al posto della mezzala Santana. Al cospetto della Perla Nera, Eusébio perde la partita (3-6) ma realizza, al campione del mondo Gilmar, tutti i gol della squadra, dalla quale, ovviamente, non esce più. L’8 ottobre 1961 esordisce (con gol) in nazionale, 4-2 esterno al Lussemburgo in un match di qualificazione al mondiale cileno. Pochi mesi dopo, grazie anche alle prodezze del suo “puntero”, il Benfica torna in finale di Coppa dei Campioni. Il 2 maggio all’Olympisch Stadion di Amsterdam, pur essendo campione in carica, affronta da sfavorito il Real Madrid di Di Stéfano, Puskás e Gento. Dopo 23’ le Merengues conducono 2-0 (Puskás). Il Benfica rimonta con Águas e Cavém ma al 38’ il Colonnello fa tris. Nella ripresa, dopo il pareggio di Coluna (51’), si scatena “A Pantera Negra”. Prima si procura e trasforma il rigore del 4-3, quindi firma con una bordata su punizione il 5-3 che a vent’anni e mezzo lo issa sul trono d’Europa. 

K.O. CON LE MILANESI
Mentre in patria vince tutto (in 15 stagioni, 11 campionati e 5 Coppe nazionali più 7 titoli di capocannoniere), in Coppa dei Campioni raggiunge altre tre finali ma le perde tutte. A Wembley ‘63, 1-2 col Milan (al quale segna il gol dell’illusorio vantaggio). A a San Siro due anni dopo, 0-1 con l’Inter. Di nuovo a Wembley, nel 1968, 1-4 ai supplementari contro il Manchester United. Sconfitte non prive di recriminazioni. «Senza nulla togliere al Milan – ricorda –, fummo penalizzati dall’infortunio a Coluna (Pivatelli gli fratturò un piede con un’entrataccia da tergo, nda), perché all’epoca non c’erano le sostituzioni». Nel 1965, anno in cui vince il Pallone d’oro davanti proprio agli interisti Facchetti, uno degli avversari che più ha ammirato, e Suárez, ci si mette anche la pioggia: «Tradito dal pallone viscido, Costa Pereira si fece passare tra le gambe il tiro di Jair. Una papera storica». Contro i red devils, a pochi minuti dal 90’, una gran parata di Alex Stepney gli nega il gol che in tutta probabilità avrebbe significato la Coppa. Anziché rammaricarsi o imprecare al destino cinico e baro, Eusébio corre a complimentarsi con l’avversario, gesto ripagato dagli astanti con un’ovazione interminabile. 

IL MONDIALE DEL 1966
Del resto il pubblico inglese lo conosceva bene per averlo ammirato al Mondiale di due anni prima, chiuso da capocannoniere con 9 reti (16, comprese quelle nelle qualificazioni) e al terzo posto, il miglior risultato nella storia del Portogallo. Memorabili, al Goodison Park di Liverpool, la sua doppietta al cospetto del malconcio Pelé (che col Santos lo aveva battuto nell’Intercontinentale 1962), e la quaterna (con 2 rigori) nei quarti contro la Corea del Nord, passata dallo 3-0 del 24’ al 3-5 conclusivo. Naturalmente il suo zampino c’è anche nel quinto gol, sottoforma di assist di José Augusto. Ancora una volta però, Wembley non gli porta bene. Sotto 0-2 in semifinale con i padroni di casa, riapre la gara segnando dal dischetto ma l’Inghilterra resiste e va in finale. Al triplice fischio di Schwinte, le lacrime del mozambicano fanno il giro del mondo. Neanche il tempo di asciugarle e segna all’URSS nel 2-1 che vale il terzo gradino del podio. 

INTERISTA MANCATO
Le prodezze mondiali di Eusébio convincono il patron interista Angelo Moratti a fare l’impossibile per non ripetere l’affaire-Pelé, sfumato, si dice, per un soffio. Nella primavera del 1966, assieme alla moglie il portoghese trascorre due settimane di vacanza sul lago di Como. Questo, perlomeno, è ciò che racconta ai giornalisti. In realtà è lì per firmare un triennale con l’Inter e trovare casa; un’operazione da 500 milioni di lire, metà al Benfica e metà al giocatore. La casa viene trovata in fretta, ma in estate la Corea del Nord rovina tutto: la débâcle azzurra di Middlesbrough porta la Federcalcio alla chiusura delle frontiere e quindi addio Eusébio, che non la prende benissimo: «Maledissi i nordcoreani, strappai il contratto e rimasi al Benfica». Nel 1974, dopo anni di dolori al ginocchio sinistro e sei incidenti cui erano seguiti altrettanti interventi chirurgici, la Pantera Nera deve rassegnarsi a praterie meno logoranti, e pazienza se sono quelle sintetiche della NASL, la North American Soccer League. 

GLI STATI UNITI
Eusébio vi debutta nel 1975 con i Boston Minutemen poi firma per i Toronto Metros, che trascina al titolo 1976 dopo una stagione da 40 punti e un gol nel Soccer Bowl vinto per 3-0 sui Minnesota Kicks. Ci riprova in Messico, vincendo il campionato a Monterrey. L’anno seguente è ai Las Vegas Qucksilver, poi scorrono i titoli di coda, in senso letterale perché sulla sua vita girano un film, “Sua Majestade o Rei”. Eusébio torna a Lisbona, come commentatore tv e monumento in carne e ossa del calcio portoghese. Quello in bronzo, svelato per il suo cinquantesimo compleanno, è all’esterno dell’Estadio da Luz, a imperituro ricordo che «fu un africano del Mozambico il miglior giocatore di tutta la storia del Portogallo: Eusébio, gambe lunghe, braccia cadenti, sguardo triste». Indovinate chi l’ha scritto.
CHRISTIAN GIORDANO
Eurocalcio, n. 53 – marzo 2005


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