Il coraggio e la fiducia: intervista a Marta Bastianelli


La vita di Marta Bastianelli equivale a un paio di esistenze altrui

di Stefano Zago, Suiveur, 2 aprile 109

A Marta Bastianelli piace raccontare: per questo un’intervista con lei non può che essere una storia. Marta vive in maniera primaria l’esperienza della narrazione con la figlia Clarissa, cinque anni a maggio: "Abbiamo un libro di favole: le leggo quasi sempre gli stessi racconti. Ormai li conosce a memoria. È una bambina che viaggia molto con la fantasia, fa ragionamenti da grande, così ho iniziato a inventare io favole per lei. Il fatto è che Clarissa lo capisce. Capisce che sono inventate e si arrabbia".

Le favole sono vere finché ci credi. I bambini credono alle favole dei libri, molto meno a quelle frutto dell’immaginazione degli adulti. Questione di fiducia. La stessa fiducia su cui tanto si sono sempre raccomandati i genitori di Marta: “Fai molta attenzione: non dare fiducia a chiunque. Non tutti sono come pensiamo“. Parole che risuonano nelle orecchie di Bastianelli, da quest’anno portacolori del Team Virtu Cycling, sin da quando era bambina e si allenava a Lariano, Fonte dell’Ontanese. Un chilometro e duecento metri di strada in mezzo ad un bosco: uno spazio creato apposta dai genitori, con un’asta che si alzava o abbassava in coincidenza con gli allenamenti. Sullo sfondo le chiacchierate dei grandi. Lo zio di Marta Bastianelli correva in bici, i cugini praticavano ciclismo, i genitori l’hanno accontentata ma qualche riserva l’avevano: “Il ciclismo era uno sport abbastanza maschilista. Da maschietto. I miei non erano molto d’accordo ma, alla fine, lo sappiamo tutti: un genitore farebbe fare qualunque cosa al figlio pur di vederlo contento“.

Questo è stato il melting pot da cui sono arrivati i risultati e la consapevolezza che la bicicletta poteva diventare un lavoro: il primo piazzamento di rilievo a un Europeo da junior, bronzo a Mosca 2005, poi argento a Sofia 2007 e di nuovo bronzo a Stresa 2008, ma soprattutto oro al mondiale di Stoccarda 2007. Marta Bastianelli è nata a Velletri il 30 aprile 1987: a vent’anni era sul tetto del mondo.

"Non avevo grande consapevolezza. Indubbiamente avevo fatto una bella stagione, una quindicina di secondi posti lo testimoniavano. Ero sempre lì. Non sono stata una novità. Ma non avevo grandi aspettative da me stessa. Non le ho mai avute. Per me era il primo mondiale: era già un successo così. Mi avevano spiegato bene quello che avrei dovuto fare e l'ho fatto. Mi sono fidata del mio allenatore. È andata bene". La fiducia che ritorna. Insieme ai genitori: lì sul traguardo a guardarla. Bastianelli ricorda bene la sua personalità di ragazza ed è convinta di aver colto, forse proprio per colpa di quella personalità, meno risultati di quelli che avrebbe potuto cogliere: "Soffrivo tanto le pressioni. Troppo. L’età mi ha insegnato che queste sono cose superflue. Da giovani è normale subirle. L’esperienza aiuta".

Ad oggi Marta Bastianelli ha superato queste inibizioni psicologiche, ma si ritiene ancora troppo buona: 

"Io credo di essere veramente troppo buona. Anche in gruppo permetto cose che altre ragazze non permettono. Vorrei insegnare a mia figlia Clarissa che nella vita per fare strada non bisogna essere solo buoni. Bisogna essere tosti. Se si è troppo buoni sono tutti pronti a metterti i piedi in testa. Clarissa mi somiglia, è una bambina davvero buona: a tavola, a colazione, se c’è un pezzetto solo di merendina lei ci rinuncia volentieri per lasciarlo agli altri. È una cosa bella. Sono contenta. Ma nella vita non sempre paga. Cercherò di spiegarglielo ed in ogni caso lo capirà con il tempo. La vita glielo insegnerà".

Potremmo dire che Marta Bastianelli abbia le fondamentali caratteristiche caratteriali degli abitanti della sua terra d’origine: il Lazio. Razionale, ironica e disincantata. Una terra che però lei non ha mai vissuto pienamente: 

"Il ciclismo è uno sport duro, sin da bambini. Devi stare tante ore in strada, è impegnativo e pericoloso, ieri come oggi. Da ragazzina, tutti i fine settimana con i miei genitori ci spostavamo in Toscana. Nel Lazio non c’erano gare per le bambine. Hanno fatto tanti sacrifici per me". Una terra che oggi vive con un pizzico di malinconia: "Quando torno a casa mia, vedo i miei luoghi e le mie strade mi prende sempre la malinconia. Torno indietro di tanti anni e mi ricordo cose belle e brutte. Aver cambiato paese è stata una rinascita per me. A Roseto degli Abruzzi c’è il mare. Quando sono giù mi butto lì, in spiaggia".

Razionale quando ricorda i pensieri del momento più difficile della sua carriera e della vita: il biennio 2008-2010. Quella fiducia tradita da persone sbagliate: 

"Volevo tornare per dimostrare la mia serietà, la professionalità nel mio lavoro. Quello che è successo è stato un boomerang di situazioni: mi sono fidata di persone qualificate, con una laurea, che però nell’occasione hanno sbagliato. Quanto mi sono ricordata le parole dei miei genitori sulla fiducia, in quel periodo. In quegli anni ho avuto due incidenti gravissimi: in uno ho rischiato di restare paralizzata e nell’altro, sei mesi prima, mi è esplosa la mandibola e hanno dovuto ricostruirmela. Se le cose fossero andate male oggi non parleremmo dei miei risultati: mi dicevano che al 90% non sarei tornata più in bici. Io sono stata forte, tanto forte, per superare quei momenti. Sono stata pura volontà. Ero sotto squalifica ma continuavo a lottare. Quei due incidenti sono stati il peggio ma chissà perché in pochi ne parlano". Indugiando qualche momento nella discussione, la vena disincantata di Bastianelli le rende chiaro il motivo di questa trascuratezza: "Purtroppo nel ciclismo c’è anche tanta gente ignorante. Giornalisti che cercano notizie da prima pagina e applausi. Cadere per chi va in bici può essere “normale”, per questo si cerca tanto di parlare della squalifica. Ma noi siamo persone. Siamo donne. I nostri sentimenti, i nostri problemi, le nostre difficoltà dove vanno a finire per questi signori?".

Se esistesse un sinonimo delle persone, proprio come esiste per le parole, quello di Marta Bastianelli sarebbe famiglia, comunità o comunque qualcosa che unisce. Ad ogni circostanza della sua vita c’è una frase, un gesto, una persona che incarna il significato di quella circostanza. Così per quei settecento giorni d’inferno: 

“I miei genitori mi hanno sempre detto che il Signore fa capitare le cose più difficili alle persone che hanno la forza per superarle. In quel caso l’ho creduto davvero. Fossi stata un’altra ragazza mi sarei buttata dal settimo piano di quell’ospedale, il Gemelli di Roma. Ho pensato di mollare tutto e se ne sono uscita è grazie alla mia famiglia e al Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre. Hanno capito la mia situazione, la mia buona fede, e mi hanno affiancato. Le persone giuste al momento giusto erano con me. In quell’occasione è nato il mio fans club: chi avrebbe mai detto che potesse nascere un fans club in un momento così brutto?”. 

Con Marta Bastianelli c’era un paese, Lariano, il suo paese, quello che le ha restituito la consapevolezza che "mollare sarebbe stato più un male che un bene". Quello che non l’ha fatta andare a fare l’agente di polizia in anticipo. C’è l’ironia per guardare oltre: “Lo dico sempre: per fortuna che mi sono capitate tutte in quei due anni. Ho pagato il mio debito con la sfortuna e spero di essere a posto per tanto tempo".

In fondo tornare in bici è una parola: la realtà dietro è molto più complessa. La condizione atletica cambia, la personalità cambia, il ciclismo stesso cambia. Serve coraggio. Servono gli attributi. Marta Bastianelli ritrova quel coraggio in Abruzzo grazie a suo marito Roberto, torna in bici e riprende ad ottenere risultati: 

"Roberto è una persona speciale. Indipendentemente dal fatto che sia mio marito. È speciale perché mi ha sempre dato delle motivazioni uniche per fare quello che faccio. Per continuare a farlo. È speciale perché con lui è nata la nostra gioia: Clarissa“. Crediamo che un domani Clarissa ancor prima che fiera di una mamma campionessa del mondo potrà essere fiera di una mamma che delle vita ha capito le poche cose importanti: “La bambina l’ho voluta. L’ho voluta fortemente. Perché poi diciamocela tutta: puoi vincere mondiali, europei e tanto altro. Ma alla fine cosa sono? Sono magliette che ti appendi in casa e nel momento in cui le appendi sono già solo ricordi. In casa siamo sempre soli. Noi siamo donne. Questo conta molto di più. Cerchiamo di dare un’utilità a quello che siamo. Ho voluto avere una bambina e cogliere il momento. Avrei potuto aspettare e perdere il momento. E magari non poterlo più vivere. Tornassi indietro rifarei tutto così. Tutto".

Una decisione che avrebbe potuto mettere in discussione anche il suo lavoro. Una decisione presa non molto tempo dopo il rientro dalla squalifica. Un rischio accettato. Essere ciclista ed essere contemporaneamente mamma richiede grandi sforzi: 

"Mio marito, anch’egli ciclista, dopo la nascita di Clarissa partì per una gara in Thailandia. Quando tornó mi disse: “Marta questo lavoro può farlo solo uno fra noi due. Tu hai passione e talento: è giusto che sia tu a continuare. Lui ed i suoi genitori mi hanno sempre aiutato tantissimo con la bambina. Quando sono lontana da casa e telefono per sapere come sta la piccola cercano sempre di tutelarmi da qualsiasi problema e lasciarmi tranquilla". 

Roberto De Patre, il marito, è cresciuto in una famiglia che ha sempre amato il ciclismo: per il papà di Roberto avere una nuora ciclista è un onore. Lui dopo il ritiro ha iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia. Sono loro e i nonni materni di Clarissa ad aiutare Bastianelli in una vita temporizzata. Altro che cronometro: 

"Intorno alle nove del mattino esco in allenamento e lascio la bimba dai nonni o con mio marito così che la accompagnino a scuola. Il mio allenatore Pino Toni è bravissimo e mi prepara allenamenti molto accurati. Torno e sistemo la casa: mi piace essere presente come mamma e famiglia. Alle tre e mezza del pomeriggio torna la piccola e sto con lei. Una vita frenetica. Certe volte mi chiedo se ne vale la pena. La risposta è ovvia: certo che sì. Nessuno sarebbe disposto a una vita così se non ne valesse la pena".

Clarissa aveva sei mesi quando Marta Bastianelli tornava in gara. Una ripresa in tempo record e un bronzo conquistato ai campionati italiani su pista: la consapevolezza di avercela fatta un’altra volta. Marta Bastianelli non si sarebbe accontentata di una gara ogni tanto: voleva tornare per davvero. Il Team Vaiano le ha dato questa possibilità garantendole insieme la serenità che serve a una mamma-ciclista. E poi tornare a casa e col tempo che passa provare a raccontare a quella bambina perchè mamma deve partire così spesso, perché le valigie sono sempre pronte. Provare a raccontarle il ciclismo. Rispondere alle sue domande e quasi commuoversi vedendo come quella piccola riesca a vivere quel sacrificio di lontananza: “A Clarissa abbiamo sempre spiegato che mamma è lontana da casa per lavoro. Abbiamo sempre cercato di collegare la bicicletta al lavoro. Le dicevamo “Mamma va al lavoro in bici.” Ad un certo punto è venuta da me e mi ha detto: “Mamma ma perché non vai al lavoro in macchina? Così torni prima. Quando parto mi spiace sempre ma lei ha imparato a mentalizzarsi sul ciclismo. Se mi vede giù si preoccupa, cerca di capire cosa mi faccia male, cerca di capire se sono caduta. Se ho bisogno di riposare si riposa con me. Quando sono alle gare però non vuole vedermi. Se vede che cado si spaventa. Se vede che perdo si rattrista e piange: “Mamma è arrivata seconda. Non è giusto: non mi porterà i fiori.” È molto bello tutto questo“.

C’è anche spazio per l’immaginazione. Per disegnare i contorni del futuro di quella creatura che la aspetta a casa in questi giorni di inizio primavera durante i quali Marta Bastianelli è in Belgio: “Sono sincera: vorrei davvero che Clarissa diventasse una sportiva. Non necessariamente una ciclista: una sportiva. Lo sport insegna molto e aiuta a uscire da altre situazioni complesse della vita. Sarei contenta se riuscisse a realizzarsi. A fare qualcosa di importante. A vincere qualcosa. Nella vita, intendo. Nel ciclismo è complesso: se non entri in un gruppo sportivo, essendo un mondo molto povero a livello economico, è quasi impossibile che ti dia da mangiare. Io sono stata molto fortunata: a vent’anni sono entrata nel gruppo delle Fiamme Azzurre. Non tutte hanno questa fortuna. Certo: se mia figlia me lo chiedesse non glielo impedirei. La accontenterei come i miei hanno fatto con me. Le spiegherei anche le difficoltà, però. Oltre a essere un mondo difficile è uno sport che si vive sulle strade e sulle nostre strade c’è poco rispetto. Da parte degli automobilisti in primis, ma anche alcuni ciclisti hanno un modo spaventoso di stare in bici. Si mettono loro stessi nelle condizioni di rischiare, stando affiancati e occupando tutta la carreggiata stradale. A me piacerebbe allestire una squadra per i bambini ma poi con che coraggio potrei rassicurare i genitori, giustamente preoccupati per le nostre strade? I bambini sarebbero in buone mani ma con le condizioni attuali non so quanto questo potrebbe essere sufficiente. Gli automobilisti si sentono padroni del mondo. Servirebbero più spazi. Spazi ciclabili“.

Una mente lucida in continua ricerca di soluzioni a problemi, una mente che non si pone limiti. “Bisogna provare”, questo il mantra. Alle cose non facili Bastianelli è abituata. Come a vincere un Europeo undici anni dopo la vittoria mondiale. A trentuno anni. Parliamo dell’Europeo di Glasgow 2018: “Con la nazionale, purtroppo, negli anni passati non ho avuto un buon feeling: forse io pretendevo troppo da loro e loro pretendevano troppo da me. Sono stata però contenta della fiducia che mi hanno concesso. Le ragazze ci credevano più di me. Lo staff ci credeva. Quella disponibilità mi ha fatto sentire importante. Ha reso realtà quel sogno nel cassetto a inizio anno. La fiducia non è solo importante darla. È ancora più importante riceverla. Quando la ricevi ti senti in grado di fare cose impossibili“.Con i successi di Trentin e Bastianelli, l’edizione 2018 dei campionati europei tenutasi a Glasgow è stata indimenticabile per i colori azzurri.

È questa fiducia che mette Marta Bastianelli in grado di continuare a “volere”: tra virgolette, perché come ci dice lei stessa “nel ciclismo volere non è sempre potere“. Volere è quanto meno provare. Lei proverà a riconquistarsi quella fiducia per il mondiale 2019: 

"Ci si giocherà tutto in una sola giornata. Non si potrà sbagliare, sarà difficile, mi piacerebbe molto esserci. Del resto è questo il ciclismo". 

L’Europeo, la medaglia, la maglia, l’hanno resa più tranquilla: ci dice senza dubbi che quel giorno, il 5 agosto 2018, è stato uno spartiacque. Bastianelli è una donna serena, scevra da inutili ansie: “Ho capito che il ciclismo è una parte della vita ma non è tutto. Io farò di tutto per continuare a ottenere risultati ma se non dovessi ottenerne non ne farò una malattia. Sono serena. Tranquilla. Profondamente diversa dai giorni di Stoccarda 2007".

Parlando di se stessa da giovane Marta parla delle giovani cicliste di oggi: 

“Vedo che c’è molta più professionalità anche a livello giovanile e questo mi fa piacere. Mi auguro che il prossimo anno possano nascere squadre World Tour che permettano alle giovani di avere un approccio diverso con il ciclismo, consentendo così a tutte le ragazze di continuare sulla loro strada. Sulla strada che hanno scelto". 

Molte di queste ragazze avranno come modello Marta Bastianelli ma anche le campionesse hanno dei modelli: magari altre campionesse. Gli atleti e le atlete che piacciono a Marta Bastianelli sono prima di tutto uomini e donne: 

"Nel ciclismo femminile ammiro tantissimo Marianne Vos. Soprattutto per la persona che è fuori dal ciclismo: ci sentiamo spesso via messaggio e mi chiede sempre della bambina. Suo papà e sua mamma appena mi vedono alle gare vengono a salutarmi ed abbracciarmi. A livello maschile mi piacciono molto Peter Sagan ed Elia Viviani: persone molto diverse ma straordinarie. A me sono sempre piaciute persone uniche anche fuori dall’aspetto prettamente ciclistico. Il campione si riconosce prima di tutto giù dalla bici. In bici il personaggio si crea facilmente. Fuori è più difficile. Bisogna restare sintonizzati con il mondo, con l’umano che c’è nel mondo. Se un bambino mi chiede un autografo, io sono contenta di farlo; se mi chiede una borraccia gliela lascio volentieri. Servono persone che si concedano alla gente. Almeno quando è possibile. Al ciclismo non fanno bene gli atleti che snobbano, che non sono disponibili. Ci sono momenti in cui il tempo è tiranno e non è possibile concedersi. Se è possibile però abbiamo il dovere di concederci. Penso sia più bello essere ricordati per le persone che siamo nella vita di tutti i giorni che per i campioni che siamo stati duranti i nostri anni in sella".

La riflessione che fa da chiosa a tutti i pensieri di Bastianelli varrebbe un intero pezzo. Perché questo lavoro non lo si fa per elencare palmarès o tempi. Questo lavoro si fa per sentire qualcosa di diverso. Si fa perché si crede che non ci sia sorpresa più bella della sorpresa di una risposta, della sorpresa delle parole. Si fa, anche, per sentirsi dire da una campionessa europea: 

"Perché sennò cosa resta? Cosa resta di noi, delle nostre fatiche, se non le nostre qualità di uomini e donne? Certo restano le medaglie e le vittorie e resta un lato economico, ciclisticamente parlando alquanto povero, a dire il vero. È abbastanza che resti questo? Per me no. Se resta solo questo, non ha senso".

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