L’atipica bellezza di Letizia Paternoster


Perché il passo da MiniVos a Paternoster è breve come una pedalata

di Stefano Zago, Suiveur, 22 novembre 2018

Letizia Paternoster è nata a Cles, in Trentino Alto Adige, il 22 luglio 1999. Se gli appellativi non sono mai casuali, ci sarà un motivo dietro quel soprannome affibbiatole da ragazzina: MiniVos. Un omaggio alla dominatrice degli anni 2000: l’olandese Marianne Vos.

Giovane, giovanissima, ma estremamente forte su ogni tipo di percorso, in un mondo che sempre più tende alla specializzazione, Letizia Paternoster è l’esempio della poliedricità, figlia del talento e del lavoro costante: vincente su strada e su pista, si diverte anche nel ciclocross. I numeri ci interessano poco, sono meglio le storie e le vite per narrare gli atleti e le atlete, ogni tanto però aiutano a rendere l’idea del fenomeno di cui si tratta: più di venticinque medaglie nei velodromi di tutto il mondo o in strada sotto il sole o bagnata dalla pioggia, nove europei e cinque mondiali. Una storia giovane che dalla stagione 2018-2019 andrà a impreziosire le fila della Trek Woman. A dirigere la nuova squadra americana sarà Giorgia Bronzini, accanto a Letizia Paternoster correrà Elisa Longo Borghini. Tutti i fari sono già puntati sulle olimpiadi di Tokyo 2020.

Partiamo dall’inizio di questa bellissima storia di biciclette e vittorie: nasci a Cles nel 1999, in Trentino. Una terra consacrata al ciclismo: tantissimi ciclisti e tanti, tantissimi campioni. Come arriva al ciclismo Letizia Paternoster?

È una passione che mi accompagna da sempre. Sin da giovanissima chiedevo ai miei genitori di poter andare in bici e appena possibile scappavo in garage per pedalare col mio triciclo. Ricordo che mia mamma mi rincorreva continuamente. Quando i miei mi accompagnarono per acquistare la mia prima bicicletta, Maurizio Fondriest, molto amico di mio padre, lo convinse ad inserirmi nei ranghi della Cristoforetti Fondriest Anaune. Mia mamma voleva che scegliessi la danza ma per fortuna mio papà non era d’accordo. A quel punto ai miei genitori ho detto chiaramente: “o la bici o il calcio”. Cosi, finalmente, mia madre ha accettato la bicicletta e da quel momento non mi son più fermata.

Quanto ha influito la terra in cui sei cresciuta e i suoi esempi ciclistici?

Il Trentino è patria di tantissimi campioni. Pensavo a Fondriest e sognavo di emulare le sue gesta. Pedalare in Val di Non tra scenari paesaggistici mozzafiato mi ha aiutato a coltivare questa mia passione in sicurezza e spensieratezza.

Nel ciclismo maschile e femminile quali erano i tuoi idoli?

Nel ciclismo maschile certamente Maurizio Fondriest. Nel femminile Marianne Vos e Rossella Callovi, che da poco si era laureata campionessa del mondo donne junior su strada.

Un talento cristallino: vinci su strada e su pista. In pista tutte le specialità sono state un fiorire di medaglie (spesso d’oro). Le hai contate tutte queste scintillanti medaglie?

Non ho mai contato le mie medaglie (sorride). Non appena conquisto un successo mi godo il momento, certo, ma già a partire dal giorno dopo mi focalizzo sul prossimo obiettivo.

Quale è stata la tua più bella vittoria su strada? Ci racconti qualcosa di quell’occasione?

Sicuramente in Lussemburgo, al Festival Elsy Jacobs: il livello altissimo delle altre atlete ha generato in me l’enorme desiderio di impormi. Ho pensato: “Sarà durissima ma darò il mio meglio”. Non mi aspettavo il successo finale, ma nel mio cuore ci ho sempre creduto.

Facciamo un discorso analogo anche per la pista?

Tra le mie più belle soddisfazioni gli Europei dello scorso anno in quartetto, ero ancora juniores. Poi i Mondiali con due medaglie conquistate. Infine, quest’anno, l’Europeo di Glasgow con il bronzo nell’Omnium.

Parliamo di preparazione: similitudini e differenze nella preparazione della stagione su strada e su pista. Modalità e tempistiche di preparazione e differenze nell’approccio atletico a una prestazione piuttosto che all’altra (intendiamo: differenze di gestione di uno sforzo breve o lungo, affiatamento con la squadra, con le compagne del quartetto, attenzioni particolari da porre ecc.)

Su pista riveste straordinaria importanza l’affiatamento fra le ragazze del quartetto, si lavora tanto sulla forza e sull’esplosività. Su strada ci si concentra di più sull’allenamento del fondo, e qui sento di aver tanto da imparare. Ad ogni modo, gli allenamenti su strada agevolano il lavoro in pista e quelli su pista ti danno un colpo di pedale importante per gli appuntamenti su strada.

Dall’Astana alla Trek Woman. Un progetto di altissimo livello con te, Elisa Longo Borghini e Giorgia Bronzini a dirigere. Sei appena tornata dal primo ritiro ufficiale con la nuova squadra: cosa ci dici? Come è andata? Ci parli dell’ambiente, del tuo rapporto con Elisa e degli obiettivi che singolarmente e come squadra avete iniziato a mettere nel mirino per la prossima stagione?

In ritiro mi sono divertita un sacco, ho conosciuto persone splendide. Con le compagne di squadra abbiamo creato un gruppo bellissimo. Giorgia mi ha insegnato tanto, seguo i suoi consigli e ne faccio tesoro per il futuro; Elisa ha sempre la testa sulle spalle e da lei prendo spunto per crescere anche sul piano caratteriale. Comincerò dall’Australia per il Tour Down Under, poi passerò in Nuova Zelanda e Hong Kong per le due prove di Coppa del Mondo.

D’altro canto cosa ti porti dietro dal periodo in Astana (a livello di miglioramenti ciclistici ma anche a livello umano)?

In Astana ho avuto modo di maturare esperienze importanti, momenti certamente significativi per la mia crescita. Un ambiente equiparabile a quello di una grande famiglia: ho lavorato con estrema tranquillità centrando anche obiettivi extra-ciclistici, come quello dell’esame di maturità.

Sei giovanissima: come si coniuga un impegno sportivo di altissimo livello con la scuola e i divertimenti tipici di tutti i ragazzi e le ragazze della tua età? Avverti, in qualche modo, il peso di alcune rinunce oppure no? 

Per quanto mi riguarda non si è mai trattato di rinunce, nel senso che quando scegli un percorso con tranquillità d’animo poi certe scelte non ti pesano. Certo, ho dovuto compierne di importanti ma ho dei sogni da perseguire e la passione è fondamentale per superare ogni difficoltà.

Purtroppo lo sport femminile paga dazio rispetto a quello maschile a livello di trattamento dei media, di risorse e di possibilità, nonostante la medesima fatica e i medesimi sacrifici messi in strada. Provi a fare una breve analisi dei motivi che a tuo parere sono alla base di queste differenze? Hai mai pensato a cosa si potrebbe fare per invertire la rotta?

Al giorno d’oggi c’è ancora grande differenza tra i due mondi, ma è innegabile che nell’ultimo periodo il ciclismo femminile abbia evidenziato una crescita esponenziale. Per invertire la rotta credo sia necessario che il panorama femminile goda di maggiore visibilità, di pari passo aumenterebbero le risorse economiche ed in tal modo sarebbe più semplice ridurre il gap col ciclismo maschile. Ritengo, però, che siamo sulla strada giusta.

Incontri una bambina che vuole correre in bici: un consiglio. Un consiglio che ti sentiresti di dare a chi intraprende oggi l’avventura in sella.

Non ho dubbi, le direi: “Divertiti!”. Soprattutto quando si è alle prime armi è fondamentale divertirsi, viceversa, si farebbe enorme fatica a sostenere determinati sacrifici e ad acquisire una caratteristica chiave nel ciclismo, ossia quella della costanza. E poi non mollare alle prime difficoltà: il ciclismo è un mondo irto di ostacoli, ma come si dice nel nostro ambiente: dopo una dura salita c’è sempre il tratto in discesa.

Commenti

Post popolari in questo blog

Dalla periferia del continente al Grand Continent

Chi sono Augusto e Giorgio Perfetti, i fratelli nella Top 10 dei più ricchi d’Italia?

I 100 cattivi del calcio