IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Gli Scapigliati: Baronchelli

IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90

Con quell’espressione un po’ così, con quella faccia un po’ così, Giovanbattista Baronchelli (che Adriano De Zan pronunciava come una poesia marinettiana) fu uno dei corridori-simbolo del moserismo. 

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Arrivò tra i grandi ancora bambino, reduce da un’accoppiata Giro baby-Tour de l’Avenir mai realizzata prima. Il problema forse fu quell’impatto clamoroso, deflagrante, con il circo dei pro’. 

L’esordio al Giro 1974, nemmeno ventunenne, alimentò nei suoi riguardi speranze messianiche. 

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Il giorno del giudizio universale fu il tappone delle Tre Cime di Lavaredo, che arrivò con una generale corta e Eddy, reduce da una bronchite primaverile, in rosa pallido. 

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Amarcord. Alcuni, per esempio Ernesto Colnago, fecero capire all’orco belga quanto sarebbe stato gradito da tutti il trionfo di uno sbarbatello italico ma Merckx fece finta di non capire. Sul tratto più duro recuperò quasi mezzo minuto all’uomo della Scic: salvò il Giro per dodici secondi, rimandando di poco, almeno così si disse all’epoca, il primo trionfo del futuro dominatore del ciclismo nostrano.

Sliding Doors, chissà come sarebbe proseguita la carriera del Tista con quella maledetta maglia rosa portata a Milano. 

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I suoi limiti caratteriali si mescolarono con una sfortuna poulidoresca nell’anno di grazia 1977: arrivò al Giro dopo aver vinto il Romandia e lo perse dall’improbabile Michel Pollentier, improvvisatosi capitano della Flandria dopo la caduta (e il ritiro) dell’irresistibile Freddy Maertens. 

Il duello casalingo con Moser ebbe risvolti calcistici, con Gibì e i compagni della Scic malmenati (...) durante la Cortina-Pinzolo, la frazione che condannò alla sconfitta Moser. 

In molti considerarono propedeutica (sic) per la vittoria iridata di Cecco, l’arrotata di un’automobile venezuelana che lo costrinse a disertare il mondiale: un mese e mezzo dopo, al Lombardia, Baronchelli raccolse la sua vittoria più bella e importante. Staccò nel diluvio il nemico fasciato d’arcobaleno e s’involò solitario al traguardo. 

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Alla Bianchi-Piaggio (1980), con Giancarlo Ferretti diesse, ebbe la stagione più continua e produttiva: si aggiudicò corse da aprile a ottobre. Nel giorno più esaltante, al mondiale di Sallanches, beccò la pagliuzza più corta nelle fattezze di Bernard Hinault. Su quel percorso spezzagambe fu l’ultimo ad arrendersi alla furia del francese: ennesimo segnale di un malocchio cosmico. 

Nel 1981, a Praga, completò il quadro: in fuga con Robert Millar (oggi Philippa York), fu rincorso dal povero Miro Panizza, che si giustificò con brutale sincerità: «Il Saronni mi aveva promesso, in caso di sua vittoria, venti milioni». 

Ultima fermata prima del viale del tramonto, il curioso abbinamento con l’ex (?) antagonista Moser nella Supermercati Brianzoli del giemme Gianluigi Stanga. 

Nel 1986 indossò la prima maglia rosa della carriera dopo il successo di Nicotera poi, nella tappa-chiave di Foppolo, non riuscì a limitare i danni contro gli scalpitanti Roberto Visentini e Greg LeMond. L’entourage della squadra ne accolse la sconfitta come una resa: volarono parole grosse all’indirizzo del bergamasco, che nella serata lasciò carovana e gruppo sportivo. 

Sarebbe ricomparso un mese dopo in divisa Del Tongo, ultimo sgarbo del clan-Saronni verso lo Sceriffo, in una rivalità ormai agli sgoccioli: la piccola vendetta si consumò al Giro di Lombardia, nel quale Gibì precedette con un magistrale contropiede due califfi quali Sean Kelly e Phil Anderson. 

Baronchelli, quello vero, finì la sua missione in quel pomeriggio di tiepido autunno: peccato che il ciclismo non fosse solo il Giro dell’Appennino, la classica ligure da lui dominata per sei anni consecutivi. 

Per il Tista la terribile Bocchetta fu sempre facile da scalare, molto più agevole di quella montagna invalicabile che si sentì nel cuore per tutta la carriera. «Io mi sento come la povera gente: debole. E quindi facile da maltrattare».

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