LE FREAK C’EST CHIC



di SIMONE BASSO
Sport e cultura, venerdì 30 luglio 2021

Ultimo giro di campanella con un taccuino oberato di osservazioni.
Pensieri sparsi, come i chicchi di grandine che scendono – nell’afa tropicale – a casaccio ma non troppo, a segnalare che il cielo dell’Antropocene sta collassando.

1.
A Tokyo si è svolta la "ventiduesima" tappa del Tour 2021: i primi otto di una gara in linea bestiale arrivavano da Parigi.

Nella canicola giap, su un percorso (alpino, anche se all’ombra del Monte Fuji) da Grande Boucle, nel blockbuster “Wout Van Aert contro l’universo” l’oro va a Richard Carapaz.

Un campeon – tosto – che legge benissimo la corsa, la interpreta quasi sempre nel modo giusto: oltre i watt c’è di più.

2.
Il Belgio, con un Van Aert mostruoso, ottimo per quattro quinti (tre più il capitano), paga la scontata (?) tassa Remco Evenepoel.
Portato in Oriente per volere mediatico, impalpabile nel clou, come Vincenzo Nibali: uno a inizio carriera, l’altro all’epilogo.
La differenza è che l’Italia, comunque, non aveva campioni da schierare; i belgi invece ne hanno lasciati a casa, che potevano servire alla causa, tanti.

3.
La grancassa generalista che dipingeva Damiano Caruso e questo Nibali competitivi, in una corsa selettiva di 234 chilometri contro Van Aert e Tadej Pogacar, ha qualcosa della post-verità.

In uno sport professionistico così feroce e spietato, non i giochi dove talvolta si vince imbrogliando e imbrigliando la realtà tecnica e tattica del campo.


4.
Per gli esegeti del ciclismo di una volta, che era meglio anche se faceva schifo, perché c’erano gli italiani protagonisti.

Il numero di Tom Pidcock nella MTB, sull’ennesimo toboga disegnato magnificamente da Nick Floros (un geniaccio), è un altro avviso di chiamata.

La pulce atomica – classe 1999 – quest’anno aveva battuto Van Aert alla Freccia del Brabante, nel 2020 stradominò il Giro baby.

Avendo visto Juan Ayuso (2002) e scorto Cian Uijtedbroeks (un 2003...), pensiamo che – per il movimento tricolore – la notte sia appena cominciata.


5.
Il CIO è un ente procteriano, dalle origini decoubertiniane in poi.

Vedendo (?) il basket 3×3, con quei 12 secondi da Ridolini, e pensando alla breakdance in quel di Parigi 2024 (con gli e-sports all’orizzonte), ci intristiscono l’assenza della corsa campestre e del ciclocross.

Non una considerazione sulle tradizioni, bensì sul momento tecnico di questi sport: sul podio virtuale del ciclismo su strada contemporaneo ci sono due ciclocrossisti (i due Van), il cross-country presta una barca di talenti (africani) al fondo e alla maratona.

6.
L’avevamo annunciata, la (possibile) fasolada olimpica: i prodromi c’erano tutti.

La gara in linea femminile è stata quello e oltre, uno specchio (rotto?) delle contraddizioni del ciclismo rosa.

Con quel percorso (semplice rispetto a quello maschile) e la startlist ridotta (67 atlete e team di due o tre o quattro elementi), la sorpresissima – considerando le olandesi al via (quanto sarebbe stato bello vederle senza i colori nazionali?) – era nell’aria.

7.
La fuga-bidone di Anna Kiesenhofer è stata una coproduzione di tutto il plotone (ristretto) che corre contro le arancioni, e ci stava, che si corrono contro (sic).

Non che fosse la prima volta: soprattutto Annemiek van Vleuten, in una bolla autistica dal 2017, agisce da isolata.

Si aggiunge la beffa organizzativa dell’assenza di comunicazioni via-radiolina, con la cara vecchia lavagna a segnalare la situazione (davanti), a produrre una sorta di beffa.

Vince meritatamente un'atleta quotata – dalle agenzie ufficiali di scommesse – a 501 (!). Era l’ultima della fila..

8.
La ricercatrice austriaca, specializzata in matematica, è la cosa (...) più olimpica, nel termine venduto dal CIO come immaginario (non la realtà del CIO stesso, un ente di lobbying politico e finanziario), accaduta da eoni ai Giochi Olimpici.

Una dilettante, sul serio, ex triatleta e duatleta che apparve (...) al Tour de l’Ardèche nel 2016, vincendo la tappa del Mont Ventoux.

Un anno – il 2017 – alla Lotto-Soudal e la decisione di mollare il (semi)professionismo per coltivare al meglio i suoi studi.

Nessun aiuto dalla sua Federazione, allenamenti autogestiti, e la possibilità – come ricercatrice – di lavorare su progetti di applicazione delle equazioni differenziali nella fisica.


9.
Una lezione (non voluta) di etica sportiva, essenziale, nei Giochi Olimpici caratterizzati dalle stelline che annegano nello stress.

Quei 136 chilometri in testa (e 41 da sola), quasi quattro ore a più di 35 orari, sono un’impresa alla Sergei Soukhouroutchenkov di Mosca ’80 (sì, il babbo di Olga Zabelinskaya che è arrivata nona).

Con la differenza che Sergei quella volta era il favoritissimo della contesa: non lo lasciarono andare via, decise lui (di distruggere gli avversari).

10.
Così all’arrivo, tra le professioniste fregate dalla magata di Kiesenhofer, lo spirito del pomeriggio (bizzarro) al Fuji International Speedway è stato riassunto da Cecilie Utrup Ludwig. “A essere completamente oneste, è stato uno schifo. Penso sia stata una pessima vetrina per il ciclismo femminile... Solitamente il ciclismo femminile è davvero bello. Poi arrivano le Olimpiadi e facciamo un casino del genere...”.

11.
Non si dovrebbero usare foto truccate per promuovere la grandezza, la strapotenza e l’eleganza di Paola Egonu.

A 22 anni, la pallavolista più forte al mondo e un prototipo atletico e tecnico mai ammirato prima.

Le freak c’est chic, a qualsiasi latitudine e senza photoshop.

12.
L’incubo ballardiano del 2020 che ritorna, cioè vedere il tennis di alto lignaggio giocato nel deserto (e in una calura impossibile...), come fosse un challenger di periferia, potrà essere sorpassato solamente dalla tristezza di assistere all’atletica leggera – l’evento dei Giochi – in uno stadio vuoto.


13.
La quantità (spaventosa) dei Bucks sopprime la qualità dei Suns.

Con queste spaziature, estreme, vince chi nega (chiude a doppio giro) gli ultimi due metri sotto canestro.

Milwaukee con Giannis Antetokounmpo, Brook Lopez, Bobby Portis, lo fa meglio di tutti.

14.
Phoenix, pure in gara-5, aveva la chiave per ribaltare l’inerzia tattica: i tiri (creati) dal mid-range.

Le percentuali da tre fanno vincere una partita una, la serie quasi mai: nelle pivotal game si gioca con la palla medica. Era così nel 1994, è così nel 2021.

15.
I Suns sono stati massacrati a rimbalzo: 278 a 234 per Ante e soci.

16.
Vincere col tuo giocatore-franchigia – e boa – che sparacchia col 51 % dalla lunetta, fuori casa, rappresenta l’eccezione, non la regola.

Il quintettone con Jrue Holiday, Ante, Lopez e Portis era il massimo esempio ideologico della pallacanestro di Mike Budenholzer.

17.
Mikal Bridges, Cameron Payne, Cam Johnson, gli stessi Deandre Ayton e Devin Booker. 

La migliore notizia dei Suns è un nucleo giovane fortissimo.

La peggiore è che la firma (il prolungamento della stessa) del vecchio Chris Paul sposterà l’asse: di Team Arizona e della lega.


18.
Giannis scelto alla 15, Khris Middleton dalla G-League, Holiday regalato a novembre.

Essere capaci di gestire la situazione, manageriale (economica e tecnica), fornendo risultati sportivi adeguati (meritati), differenzia l’NBA (e l’NFL) dalle porcate che  (da decenni) subiamo qui in Europa.

E che ci vendono come il prodotto della passione e il “giuoco” del popolo.

19.
A Milwaukee, 17.397 spettatori nel Fiserv Forum, 80mila fuori dell’impianto.

20.
Senza la scavigliata di Kyrie Irving, in Wisconsin sarebbero in pieno processo di ricostruzione. Con Kahwi Leonard sano, Phoenix alle Finals non ci arrivava, e forse pure con Anthony Davis in salute.

21.
Holiday, un piccolo Sidney Moncrief, è stato il segreto di Pulcinella di questi Bucks: 2-way, un clinic difensivo, che cambia su tutte le razze (l’abbiamo visto tenere Ayton...) e offensivamente diventa il collante.

Jrue copre i vuoti di sceneggiatura: era il mestiere dei Dennis Johnson, dei vincenti, una vita fa.

22.
The Greek Freak, la nuova combo-forward, con un dominio del pitturato (dinamico) pari a quello dei (vecchi) centri (statici).

Come Shaquille O’Neal e Moses Malone, ma con la mobilità di Julius Erving.


23.
Non possiede un jumper decente dalla media, come mette la mano sinistra (ad accompagnare lo Spalding) da tre è – tecnicamente – inguardabile.
Inarbitrabile quanto Shaq: l’entrata da triplista, girando su se stesso, è sempre a rischio regolamentare (passi e gomiti sporgenti).
Il più forte rimbalzista dell’NBA, senza fare il tagliafuori.
Ventisette anni, il mondo in tasca e il cielo come limite.

24.
La vicenda di Antetokounmpo e della sua famiglia pare un romanzo (epico, di riscatto).
Il fatto che un nigeriano di Atene, cresciuto negli anni infami di Alba Dorata, sia diventato l’MVP di tutto riabilita l’illusione che – sul pianeta Terra – ci sia una giustizia divina.

25.
Il sistema di coach Monty Williams, un’altra storia incredibile, delle contender era quello – in attacco – di maggiore pregio.
Sviluppato nel flusso dei pick and roll e dei tagli, generando tiri fluidi persino nelle sortite uno contro uno.
Avere Devin Booker – un fuoriclasse: già oggi la migliore off guard mai avuta dai Suns (che pure ebbero Paul Westphal e Hubert Davis...) – aiuta e non poco.

26.
Con Dario Saric sul parquet, il lungo che mancava alla rotazione (corta), è probabile che la parata l’avremmo vista in Arizona.

27.
I Suns perdono l’anello in una gara-4 comandata tatticamente, smarrita alla voce palle perse e intangibles.
I Bucks si assicurano il banner in gara-5, a dispetto di un finale dove – con l’inerzia a favore – fermano la palla, si incartano in isolamenti, giocano col cronometro. E spadellano (4 su 9) ai liberi.

28.
Nel quartetto dei proprietari dei Bucks che alzavano il Larry O’Brien Trophy, c’era Jamie Dinan. L’imprenditore che nel 2019 tentò con Alex Knaster, e la supervisione di Gianluca Vialli, di comperare la Sampdoria. Respinto da Massimo Ferrero con tanto di ironia mezzo stampa: ma cosa ne sanno gli americani?

29.
Nel 2014 la franchigia dei Bucks fu venduta dallo storico presidente, Herb Kohl, per 550 milioni di dollari. Oggi, vale un miliardo e 625 milioni.
Er Viperetta, con la Samp nelle sabbie mobili, spera nell’omologazione dei concordati per non fallire (definitivamente).

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