Solo i francesi possono parlare “de nos amours”


Le occasioni dell’amore 
Stéphane Brizé firma la commedia romantica delle feste: preparate i fazzoletti

Federico Pontiggia
21 Dec 2024 - Il Fatto Quotidiano

Un uomo, una donna, per dirla con Claude Lelouch, e un punto fermo, “Mi hai lasciata”, che non sarà a capo, ma daccapo. Succede ne Le occasioni dell’amore, traduzione del distributore I Wonder dall’originale francese Hors Saison, per cui possiamo gettare il cuore oltre l’ostacolo di un’offerta cinematografica stentata: è per distacco il miglior film sotto l’albero, e l’investitura gli sta perfino stretta.

Ci voleva un regista tutto impegno come Stéphane Brizé, che con il feticcio Vincent Lindon ci ha portato in lungo e in largo per fabbriche e picchetti, da La legge del mercato a Un altro mondo, per ridare all’amore quel che si merita: la realtà e, non esageriamo, la verità. Come se tutti gli impeti sociali, le passioni civili, i movimenti dal basso confluissero laddove pompa il sangue e… finisce il cinema: quello delle smancerie e delle mance all’inverosimile, ovvio, ma anche quello disperatamente romantico e impossibilmente bello.

Non ce ne voglia, Truffaut non abita qui, ché "fuori stagione" non è solo il titolo d’elezione, ma l’amor che move la macchina da presa e l’altre stelle: i divi ci sono, Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, però le sottrazioni reciproche, gli atti mancati, le divisioni senza dividendi ne segnano i caratteri.

Scene da un matrimonio che non fu, coiti molto interrotti, pulsioni frenabili, e l’amour fou preso a schiaffi dalla quotidianità e messo al tappeto dall’evidenza: “La verità è che sono un uomo banale”, concilierà il Mathieu di Canet. L’ha amata Alice (Rohrwacher), e quindici anni più tardi la ritrova: attore di successo, se l’è data a gambe a dieci giorni dalla première teatrale, per rifugiarsi in una spa con vista sul passato, ossia “la sfigata” che lasciò “per una più bella di me”.

Battezzato alla Mostra di Venezia nel 2023 (come può non avendolo premiato dormire la notte il già presidente di giuria Damien Chazelle?), il mélo è servito, il porto franco ripara relitti, la stagione dell’amore, cantava Battiato, viene e va. La fotografia di Antoine Héberlé immalinconisce; le musiche di Vincent Delerm sfinano, e scarificano; il combinato disposto è il caro vecchio “vorrei ma non posso”, e viceversa: la dimensione erotica è eroica, l’insoddisfazione à la carte – il pesce macellato col metodo ikejime, che “muore vivo” con chiara valenza metaforica.

Sursum corda, spenderete otto euro per il biglietto, e altrettanto per i fazzoletti, e ne vale dannatamente la pena: Guillaume Canet è il fico della porta accanto, l’uomo che non dovrebbe eppure chiede, e sopra tutto dà, una prova di fascinazione e azione; Alba Rohrwacher non è mai stata tanto brava, così soavemente e drasticamente precisa – e che la misura aurea l’abbia trovata Oltralpe facesse riflettere, qui.

E di Brizé, che dire ancora? Istruisce la sintesi perfetta di lacrime e sorrisi, desideri e rimpianti, ieri e oggi, con licenza di domani: “Ci sono le persone come te e ci sono le persone come me”, e ci sono le persone come noi. E questo è il nostro film: da lunedì in sala.

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