Il Portogallo che ha cambiato il mondo e ha salvato l’anima
Dove finisce la Terra Paese mediterraneo e confine atlantico, popolato dagli eredi di navigatori e di coloni
Pubblichiamo un estratto del libro-reportage di Giovanni Valentini, intitolato “Là dove comincia il mare”, in libreria dal 16 maggio per i tipi di Castelvecchi Editore.
15 May 2025 - Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini © 2025 Lit edizioni s.a.s. – per gentile concessione
Molti pensano che il Portogallo sia un Paese “africano”, dove fa sempre caldo ed è sempre estate. E in effetti a Lisbona, una Capitale dove si respira aria di vacanza tutto l’anno, accade spesso di vedere per strada turisti in maniche corte, short e infradito anche in pieno inverno. Ma questo è un Paese mediterraneo a pieno titolo; anzi, si può dire anglo-mediterraneo perché la sua proiezione sull’oceano Atlantico – con 832 chilometri di costa – e la sua storia di impero marinaro, lo collocano naturalmente fra l’europa e l’inghilterra, a cui contendeva tra il Cinquecento e il Seicento il controllo mercantile dei traffici di sale, tè e spezie.
Un Paese mediterraneo, dunque, per cultura e tradizione più che per la geografia. Ma con la differenza che non ha un clima continentale bensì oceanico, caratterizzato da una forte escursione termica: per cui, nella stagione estiva, si può passare da una punta di 35-36 gradi o anche più a mezzogiorno fino a un minimo di 18 o anche meno la sera. E dove la brezza che si alza da ovest al tramonto, prima di attraversare la penisola iberica e diventare il “ponentino” romano, è un vento teso e freddo che arriva direttamente dall’atlantico.
Il Portogallo fa parte a pieno titolo dell’europa, di cui rappresenta l’estremità occidentale: non a caso viene attribuito a Vladimir Putin il “sogno” di un’Eurasia che arrivi da Vladivostok fino a Lisbona. Qui lo spettacolo quotidiano del sole che cala e si dilegua nell’oceano è incomparabile. E trasmette la sensazione di avere, appunto, un mondo alle spalle.
Bisogna inoltrarsi sulla litoranea e andare un pomeriggio a Cabo da Roca, la punta più a ovest di tutto il continente, una quarantina di chilometri a nord-ovest di Lisbona, per assistere a un tramonto mozzafiato, dalla scogliera a 140 metri di altezza sull’Atlantico. Aqui onde a terra se acaba e o mar começa, “qui dove la terra finisce e comincia il mare”, si legge su una stele con il verso di Luís de Camões, il maggior poeta portoghese, morto nel 1580.
Oppure, si può scendere a sud per ammirarne un altro, suggestivo e indimenticabile, a Cabo de São Vicente, vicino Sagres in Algarve, che è nello stesso tempo il punto più occidentale e meridionale dell'Europa. D’estate, all’ora del tramonto, mentre i grandi gabbiani volteggiano a bassa quota lanciando le loro grida disperate per salutare il sole che s’immerge nell’Atlantico, frotte di persone a piedi, in bicicletta, in moto o in auto, avvolte nelle felpe con cappuccio d’ordinanza, sciamano in processione verso l’oceano per prendere posto sulle rocce e ammirare uno spettacolo incomparabile. E appena il grande disco rosso s’immerge nel mare, la temperatura cala di colpo e il freddo umido s’insinua nelle ossa.
Mediterraneo ed europeo, il Portogallo assomiglia all'Italia più che a qualsiasi altro Paese del continente. Un finis terrae che rivela diverse affinità con la “mia” Puglia: dal paesaggio all’agricoltura, dalla consuetudine con il mare alla cultura della vite e dell’ulivo, dall’olio al pane. Se ne possono individuare più agevolmente i segni identitari nella campagna e nei piccoli centri portoghesi, dove la vegetazione, le chiese e i colori delle case richiamano alla memoria il panorama rurale pugliese.
Questa striscia di terra lunga poco più di 500 chilometri, per una larghezza di appena 200 fino al confine con la Spagna, è una sorta di penisola protesa a Sud verso l’Africa. Un ponte naturale che s’allunga su un altro continente. Se ne trovano ancora oggi le tracce nella lingua, nell’architettura, nel cibo e soprattutto nell’integrazione fra bianchi e neri.
Su questo humus, la xenofobia o il razzismo non hanno mai attecchito. La convivenza è pacifica e la commistione si riconosce spesso nei tratti somatici dei portoghesi, soprattutto in quelli delle donne, combinando i caratteri distintivi delle rispettive etnie. Qui è cominciato e finito il colonialismo, durato circa 600 anni: in Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, negli arcipelaghi di Capo Verde e São Tomé, fino alle vastità del Brasile, lo Stato più esteso e popoloso dell'America Latina.
Un Paese “così vicino e così lontano” è diventato nel corso dei secoli il “primo villaggio globale”, per citare la definizione coniata dal giornalista francese Martin Page nel libro così intitolato, in cui racconta “come il Portogallo ha cambiato il mondo”. Per merito, in primo luogo, dei suoi famosi navigatori ed esploratori – da Ferdinando Magellano a Vasco da Gama e tanti altri – che esportarono e importarono usi e costumi in tutto il globo.
Poi, nel corso del Novecento, gli abitanti di quella che era stata la nazione più ricca d'Europa persero la loro antica potenza: “I loro diritti minerari in Africa centrale furono presi dai britannici. La loro partecipazione militare da parte alleata nella Prima guerra mondiale fu breve, ma disastrosa”.
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