Biografia di Mario Fossati



Monza 29 settembre 1922 – Milano 2 dicembre 2013. Giornalista. Grande cronista di cavalli, ciclismo, boxe. Alla Gazzetta dello Sport dal 1945 al 1956, poi al Giorno fino al 1982 e infine a Repubblica.

• Cresciuto in una famiglia povera, al padre il regime fascista aveva tolto lavoro e passaporto. Sopravvissuto alla campagna di Russia, finì per occuparsi di ciclismo in Gazzetta quasi per caso: lui, coppiano, era vicino di casa di Fiorenzo Magni (1920-2012), il “terzo uomo”, quello che lottava con i due giganti del ciclismo italiano del dopoguerra, Fausto Coppi (1919-1060) e Gino Bartali (1914-2000). Fu Gianni Brera (1919-1992), allora direttore della Gazzetta, a mandare Fossati al seguito di Coppi: documentato e asciutto nella sua prosa.

• Gianni Clerici: «Come ti ho conosciuto, vecchio Mario, tu stavi alla Gazza che ancora faticava a tornare rosa, per la penuria di carta, subito dopo la guerra. C’eri andato, in Russia, con l’ottavo Fanteria, per uno spintone inflitto a un professore della seconda liceo. Perso lo status di studente, ti avevano subito arruolato. “Ben ti sta” ti aveva detto un padre esemplare, sindacalista cattolico dei popolari di Sturzo. Ho passato infinite sere, tra una tappa e l’altra del Giro, a sentirti raccontare storie che parevano nuovi capitoli de Il sergente nella neve di Rigoni Stern. Accerchiati nella sacca sul Don per tre mesi, liberati dai tedeschi, ritirati sparandovi addosso con gli alleati rumeni. Ricordo che mi avevi detto come, di quattordici amici dell’osteria Robbiati di Monza, tu fosti l’unico a ritornare. Non è solo fortuna. Ci vogliono anche qualità, per cavarsela. E immaginazione. Una volta che ti chiedevo se ti fossi rifugiato in montagna, nel 1944, mi avevi risposto che il luogo più sicuro, per sfuggire alle retate, ti era parso San Siro. Ma certo, l’ippodromo, avevi confermato. Federico Tesio, il protoallenatore, aveva avuto garanzie che, almeno lì, i tedeschi non avrebbero messo naso, se non per scommettere. In quella zona franca, si incontravano gappisti, partigiani, ricercati. Né mancava il giovane Luchino Visconti, geniale nel dirigere cavalli, non meno di quanto sarebbe stato in seguito con gli attori. Finita la guerra, si erano dischiuse a metà le porte della Gazzetta. Collaborazioni, partite di serie C. Fino all’arrivo di un tuo coetaneo, che già avevi sfiorato, cercando di intrufolarti tra i paracadutisti: Gianni Brera, giovanissimo direttore. In un mondo di tecnici che non sapevano scrivere, e di retori che ignoravano la tecnica, era penetrato un lampo di intelligenza, e di cultura. Retour de Paris, dove aveva studiato atletica, Brera aveva raccolto attorno a sé gente quale Gigi Gianoli, Giorgio Fattori, Gian Maria Dossena. Ti aveva mandato a studiare ciclismo, e avevi fatto in fretta. Ne avevi conosciuti tanti, e amati tanti. Gente coraggiosa, quei ciclisti, gente capace dell’umanità dei poveri. Tu, che ricco non eri, né mai saresti diventato, ti ci eri felicemente imbrancato. Ti stimavano. Vivevi con loro, rischiavi spesso la pelle con loro, giù dalle discese. Ricordo le mie prime esperienze, con l’autista Pep che piombava sulle curve sterrate in controsterzo, a cento l’ora: “Ti abituerai - mi avevi sorriso”. “Certo, a Wimbledon è più tranquillo”. Tra tutti gli eroi della bicicletta, il prediletto non poteva essere che Coppi. Ormai che tutto è consegnato alla storia, si può addirittura dire che, in un Giro ormai destinato a Koblet, dopo un gentlemen agreement, Coppi sarebbe rimasto nel gruppo, se tu non l’avessi provocato, non l’avessi pungolato ad attaccare nuovamente, contro ogni patto, quello svizzero che, sopra i millecinquecento, diveniva simile ad un cicloturista asmatico. Un pezzetto del Giro 1953 è anche tuo, vecchio Mario, anche se, con la tua fanatica onestà calvinista, non cessi di rimproverartelo. “Non è ancora nato il prete dal quale Fossati accetterà di confessarsi”, mi disse una volta Gino Bartali».

«Mario era un comunista di quelli puri e duri, lo dico per chiarezza, lui non avrebbe mai usato questi due aggettivi. A 90 anni sperava ancora in un mondo migliore, più giusto, e nella sua quotidiana mazzetta di giornali oltre alla Gazzetta e a Repubblica c’è stata fino all’ ultimo giorno l’Unità. Non che gli importasse molto del Pd e dei Ds, era timbrato Pci e quando i reduci furono stati chiamati a riconsegnare le armi non si presentò. Una pistola però l’aveva seppellita lungo un’ansa del Lambro,“perché non si sa mai”» (Gianni Mura) [Rep 3/12/2013].

«Se un ciclista ricco mangia tre filetti e uno povero un panino, quello ricco è dopato».

«Rifiutava di scrivere libri per modestia, non sentendosi all’altezza del compito - resta un notevole rammarico nell’analisi della carriera fossatiana. In compenso combatteva battaglie civili e alcune le vinse, come quella per la difesa dell’ippodromo di San Siro dalla speculazione edilizia: l’ecologia era l’altro suo cavallo di battaglia. A proposito di cavalli, non smetteva di parlarne, se lo andavi a trovare nella sua casa del Sempione, dove la moglie Cornelia, compagna dei tempi di scuola sposata nel ’66, lo rimbrottava per le sue lunghe tirate contro il giornalismo cialtronesco e incline alla lacrima facile o al dileggio immotivato. “Sei un brontolone, non ti va mai bene niente”. Ma aveva spessissimo ragione. Personalmente - l’aneddoto vale a raccontare l’uomo - ricordo il giorno in cui tutta la redazione si complimentava con me per un articolo che voleva essere commovente. “Il pezzo fa schifo”, mi disse Mario lapidario e mi spiegò pazientemente il perché. Aveva ragione, ovviamente» (Enrico Currò, autore fra l’altro di una tesi di laurea dedicata alla carriera giornalistica di Mario Fossati) [Rep 2/12/2013].

• «“Sono vecchio, sono inutile”, ripeteva, ma per i colleghi più giovani, quelli che al di là della testata s’erano abbeverati al suo modo di scrivere, la porta di casa era aperta, sempre. Andare a casa di Mario era come per un cattolico andare a Lourdes. Mario è stato nel giornalismo sportivo come il cinema neorealista contro i telefoni bianchi, è stato Ungaretti che invadeva il campo di d’Annunzio, è stato il lampo lungo di uno stile asciutto che andava dritto al cuore senza pretendere di andarci. Per questo, sì, maestro a te, Mario Fossati. Per quello che hai scritto, per come hai vissuto e perché non hai mai inteso essere un maestro. A una certa età si capisce che questi sono i maestri migliori, e chi non lo capisce vada pure a scopare il mare» [Mura cit.].

«Il bravo giornalista è quello che scrive la verità» (Mario Fossati).

GIORGIO DELL’ARTI, scheda aggiornata al 27 febbraio 2014

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