Moreno Argentin, campione d'intelligenza


di Gino Sala

Tanto di cappello davanti al ritratto di Moreno Argentin. Per due motivi: primo per aver vinto fior di corse, secondo per essere stato un direttore sportivo in bicicletta. Pedalatore di un'intelligenza acuta, capace d'intuire e di suggerire, di proporre e di lanciare un compagno di squadra, di sostenerlo nei momenti più difficili. Per dirne una, senza di lui il russo Eugenio Berzin non avrebbe vinto il Giro d'Italia 1994 davanti a Pantani e Indurain. Un'occhiata, un "aspetta", un "vai" erano segnali della massima importanza per l'atleta che difendeva gli stessi colori di Moreno. Era un indirizzo della massima importanza, un appoggio decisivo.

L'unica volta che Argentin non mi è piaciuto è stata quando durante la Settimana Siciliana del '92 invitò l'intero gruppo a scioperare contro la disposizione federale di usare il casco e in proposito ricordo una vivace discussione tra il cronista e il corridore nato a San Donà di Piave il 17 dicembre 1960 e professionista dall'80 al '94. Una carriera splendida, nella quale campeggiano il campionato del mondo di Colorado Spring '86, quattro Liegi-Bastogne-Liegi, due Giri delle Fiandre e due Freccia Vallone, due campionati italiani e un Giro di Lombardia. Vincitore tredici volte nelle tappe del Giro d'Italia e due volte nel Tour de France, compagno d'avventura per tanti anni, gradito ospite nella sua camera d'albergo dove si discuteva di tanti argomenti.

Un pensatore e all'occorrenza un polemista, sicuramente un pedalatore che sapeva distinguersi in tanti modi. Ecco perché quando è sceso dalla bici mi aspettavo un Argentin diverso, un uomo nei panni del dirigente, con le ambizioni e le capacità che gli derivavano dalla sua esperienza.
Sapete: sono sempre stato e rimango ancora un sostenitore dei ciclisti che dopo aver concluso l'attività agonistica portano la loro esperienza nei vari organismi e se qualcuno mi ha deluso perché arrendevole e soggiogato da personaggi per niente raccomandabili, altri hanno dato prova del loro valore. Vorrei però che un giorno o l'altro un ex corridore occupasse uno dei massimi incarichi, cosa realizzabile se nella stanza dei bottoni esistesse la democrazia e non giochi di potere che ci hanno dato un "politicante" come Verbruggen al comando dell'Unione Ciclistica Internazionale.

Tornando a Moreno qualcuno si chiederà il perché del suo distacco dall'ambiente e la risposta che ho ricevuto dall'interessato è la seguente: «Ho constatato a mie spese di trovarmi alle prese con meccanismi che non mi hanno permesso di realizzare il lavoro e i progetti che avevo in testa. Purtroppo il ciclismo vive di logiche non sempre credibili. Da qualche anno sono un amministratore di società immobiliari che segue esterno uno sport dal quale ho ricevuto tante soddisfazioni e dove per emergere è necessario una totale applicazione e la massima volontà. Chi non fatica non raccoglie... ».

Ho poi chiesto ad Argentin un parere su Damiano Cunego. Giusto o no che nel 2005 il giovane campione vada al Tour dopo aver disputato il Giro? Una domanda che ha ricevuto un "no" secco e perentorio. «Perché rischiare? Diamogli il tempo necessario per una buona crescita». Esatto, o meglio un giudizio con il mio pieno consenso.

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