Osvaldo Boccingher: «Sappada, perla che non andava persa»


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per RAINBOW SPORTS BOOKS ©

Osvaldo (per tutti Aldo) Boccingher è un sappadino doc. Lo incontro alla presentazione della 15-esima tappa del Giro 2018. Trentun anni dopo, Sappada è di nuovo arrivo di tappa. E la sua calda voce baritonale trasmette, se possibile, un entusiasmo che sembra lo stesso di quella storica prima volta. Chi meglio di lui può raccontare cosa significhi, per l'intera comunità, il ritorno della corsa rosa nella cittadina appena passata dal Veneto al Friuli.

Auditorium di Cima Sappada
Sappada (Udine), sabato 28 aprile 2018

- Osvaldo Boccingher, che effetto le fa essere qui a presentare la tappa di Sappada trentun anni dopo quella, per tanti motivi storica, del Giro 1987 da lei per primo organizzata?

«Io ero il Presidente del Comitato di tappa. E allora ero anche il presidente dello Sci Club Sappada. Lo sci è lo sport che qui a Sappada è di casa. Avevamo un consigliere dello Sci Club che un giorno mi telefona e mi dice: Guarda, c’è un mio ospite, qui, del circolo di Mestre, che mi dice: "Perché non fate una tappa del giro d’Italia?". Be’, dico, potremmo incontrarci. Ci siamo incontrati, con questo signore, e dice: io potrei proporvi una tappa del Giro. Pensavamo: mah... Un giorno arriva e dice: ho parlato con la direzione, anche col patron Torriani eccetera. Benissimo, ci siamo incontrati e ho detto: partiamo subito. E abbiam fatto la richiesta».

- Questo quanto tempo prima della tappa?

«Poco prima. Ai primi di luglio. Subito ho coinvolto l’amministrazione comunale, perché era logico, e la Comunità montana. Poi ci siamo sentiti con la Regione Veneto. L'assessore al Turismo della Regione era un altro amico di Sappada, anche lui veniva a soggiornare a Sappada, e in tempo breve abbiamo fatto la richiesta. [La tappa] ci è stata assegnata e siamo partiti subito, coinvolgendo tutte le associazioni, sportive, culturali eccetera. Poi ho fatto una riunione con tutti: c’è questa opportunità, e tutti quanto hanno aderito. E ci è stata assegnata la tappa Jesolo-Sappada».

- Come mai hanno scelto lei come presidente del comitato di tappa?

«Perché questo signor De Pol, che era consigliere dello Sci Club Sappada, e amico appunto di questo signore di Mestre, disse che la domanda doveva essere redatta non dal Comune ma da un ente sportivo o da un gruppo sportivo, quindi l’abbiamo fatta come Sci Club Sappada. Difatti nelle cartelline abbiamo messo "Comune di Sappada" e "Sci Club Sappada"».

- Ma lei mai avrebbe immaginato di presiedere una tappa del genere?

«Mai avrei immaginato. E la ciliegina sulla torta fu proprio a Cleva, a tre chilometri da qui: questa salita al 17% che ha messo in crisi Visentini, senonché Roche è partito e poi ha vinto l’olandese van der Velde, che ha vinto anche il giorno dopo, la tappa era Sappada-Canazei. Oltretutto qui, oggi arrivano più elicotteri, ma lì vedere alla sera che è arrivato poi l’elicottero della Carrera…».

- In quei giorni c’era il G7 a Venezia, e per motivi di sicurezza non lo fecero atterrare a Sappada perché in Veneto c’era il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan. Così i Tacchella dovettero raggiungere in auto l’hotel Corona Ferrea e arrivarono verso le 21. Se lo ricorda?

«Ah, sì, sì. E difatti questo era è un ulteriore elemento di...».

- Trentun anni dopo, lei che emozioni vive adesso che il Giro torna a Sappada?

«Vedo questo entusiasmo che c’è e questo mi fa piacere. L’entusiasmo dei giovani, degli altri gruppi sportivi. Ho visto Silvio Fauner e gli altri proprio con entuasiasmo, perché è un veicolo anche per la nostra Comunità. E ritornando lì, dopo questo “fattaccio” [sorride], chiamiamolo così, seguivo un po’ le riviste e i giornali, continuavano a scrivere “il fatto di Sappada”. Addirittura uno scrisse: "Visentini non riesce a mandar giù il rospo di Sappada”. Sappada, Sappada. Il tradimento, il golpe. Ecco, questo fa piacere, no? Io spero e mi auguro che siano in gamba e che riescano anche adesso ad avere un grosso risultato. Poi, per me, vedere questa marea di gente all’arrivo, è stata una cosa eccezionale. Il giorno dopo ricevere i complimenti del patron Vincenzo Torriani ci ha fatto un grande piacere. Lui era entusiasta. Si cerca di dare il massimo. Io sono convinto che anche questa volta riusciranno a dare il massimo. Speriamo in una bella giornata. Lì mi ricordo che - adesso non so se c’è ancora la prassi - il presidente di comitato era invitato nella tappa del giorno prima, che allora arrivava a Jesolo. Quindi sono sceso con mio figlio, pioveva a dirotto. Siamo stati là, io e mio figlio, in macchina e dico: ah, se domani è una giornata così… La giornata invece era splendida. Quindi anche questo ha contribuito».

- Invece voi sappadini come avete preso il passaggio dalla provincia da Belluno a Udine?

«Abbiamo già avuto dei contatti, anche la chiesa, siamo sotto la diocesi di Udine. Dal lato del turismo, abbiamo una grossa affluenza del Friuli Venezia Giulia. Ne abbiamo anche dal Veneto, naturalmente. Quindi, si spera, che abbiano un po' più di attenzione verso la montagna. Il Veneto è molto grande. Se noi partiamo dal Po fino ad arrivare qui, è molto grande, quindi siamo fiduciosi che il Friuli Venezia Giulia almeno abbia un occhio di riguardo e di sensibilità. Poi, dei miracoli, purtroppo, non se ne fanno. Anche dal lato sportivo, i vari sci club, oggi il Camosci, il calcio, sono tutti col comitato del Friuli Venezia Giulia e quindi c'è giù questo collegamento, questo contatto, sempre verso il Friuli. A me personalmente, io avevo ottimi contatti con il Veneto, dispiace che i politici del Veneto non si siano battuti per non lasciar scappare una perla come Sappada». 

- Questo, in un certo senso, è già indicativo?

«Forse non se l'aspettavano una cosa così repentina, così veloce. Però avrebbero dovuto almeno dimostrare di tenerci. Perché una perla come Sappada non andava persa. In questo ho un po' di rammarico verso i politici del Veneto».

- Dal punto di vista dell'identità, il sappadino si sente più veneto o friulano?

«Sappada è un'isola etnico-linguistica. Noi parliamo un dialetto tedesco. "Plodn" è Sappada nel dialetto tedesco sappadino. Noi siamo proprio un'isola, un'enclave. Non siamo veneti e non siamo friulani. Ecco perché è un'isola».

- C'è il rischio di non appartenere a nessuna delle due regioni, o vi sentite un po' di tutte e due?

«Ci si sente un po' di tutte e due, però proprio di un'isola linguistica. C'è poi un altro comune, Sauris, che è in Friuli Venezia Giulia. Quindi c'è quasi più contatto con il Friuli, come tutela delle minoranze. D'altro canto se, e questo forse dispiace, da anni l'Università di Padova - con il dipartimento di dialettologia della facoltà di lingue - faceva un convegno a Sappada. E lo faceva a Sappada proprio per queste minoranze. E quindi perdere queste opportunità dispiace. È un peccato». 

- Quindi è una questione non soltanto economica, ma anche culturale. Si può dire così?

«Sì, si può dire così. E poi un contatto, in particolare con la chiesa, c'è sempre stato».

- Come è avvenuto il passaggio? Avete votato con un referendum?

«Sì. E poi c'è da dire questo: Sappada ritorna al Friuli, perché fino al 1852 noi eravamo con la Provincia del Friuli, poi siamo stati staccati. E quindi è un ritorno».

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