MAESTRI DI CALCIO - Milutinovic, Cosmopolitan


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di CHRISTIAN GIORDANO © , Guerin Sportivo ©
Rainbow Sports Books ©

Aprile 2002. Al “Brunswick”, desolatamente ipertecnologico bowling club di Kunming, a due passi dal ritiro dove la nazionale cinese prepara il suo primo mondiale, Grant Wahl, inviato di “Sports Illustrated”, sta facendo una partita con il vecchio amico “Bora”, tecnico giramondo conosciuto quando questi, prima di guidare la Cina, era Ct degli USA. 

Bora è sotto di due partite, affrontate però parlottando al cellulare, in italiano, con qualcuno dall’altra parte del mondo, e quindi, si presume, con concentrazione discontinua. In serbo (è il caso di dirlo) ha però il colpo di coda: «Okay, hai vinto due partite, ma la prossima è quella che conta». Adesso si fa sul serio. Bora infila due strike consecutivi e chiude a 169 punti: primo. Dopo il fisiologico urlo liberatorio si volta e regala all’attonito Wahl un sorriso largo e lucente come lo Yangtze.

L’episodio, reale, riflette in pieno vita e miracoli sportivi di un santone delle panchine di quattro quinti del globo. Eccetto l’Oceania, Milutinovic ha allenato, con successo, in ogni continente, applicando ovunque la stessa ricetta: perdi finché vuoi in amichevole, ma vinci, costi quel che costi, quando serve; che per lui significa soprattutto ai Mondiali. Da giocatore non vi ha mai partecipato; da allenatore sembra averli nel sangue.

Velibor (Bora) Milutinovic nasce a Bajina Basta (oggi in Serbia-Montenegro) il 7 settembre 1940, anche se lui, civettuolo assai, proclama di averlo fatto quattro anni più tardi, mentre alcuni almanacchi degli Anni 60-70 lo riportano come «classe 1939».

Come i fratelli maggiori Milos e Milorad entra nel Partizan Belgrado, primo passo di una carriera che con diverse fortune li porterà tutti, chi prima, chi dopo, a vestire la maglia della Jugoslavia: il primogenito ne sarà anche il Ct, nel biennio 1984-85.

A differenza di Milos (183 gol nel Partizan; 16 in 33 presenze in nazionale, con in mezzo due mondiali, Svizzera 54 e Svezia 58, e una tubercolosi), Velibor non è un fuoriclasse dell’attacco, ma “solo” un buon centrocampista. 

Milos (5-2-1933), vinti a Cannes, nel 1951, i primi Europei Juniores, guadagnandosi l’appellativo di “Saeta rubia” (la freccia bionda), lo stesso del futuro madridista Alfredo Di Stéfano, avrà una grande carriera da giocatore (Racing Club Parigi, Bayern Monaco, OFK Belgrado) e una buona da tecnico (allenerà anche in Turchia, Besiktas e Altay Izmir, e i messicani dell’Atlas. Nel 1983 riporterà il Partizan al titolo dopo 5 anni di digiuno, fallendo però con i plavi la qualificazione a Mexico 86). Meno fortunato, sul piano dei risultati, sarà Milorad, mediocre da giocatore e da allenatore (con una parentesi svizzera, al Neuchâtel Xamax). 

Simile, ma non troppo, la strada intrapresa da Bora. Florian Matekalo lo schiera titolare già a 17 anni assieme a Milos, autore di un gol nella finale di Coppa di Jugoslavia ’57, vinta 5-3 in rimonta sul Radnicki, che al 45’ conduceva 3-0. Nel ’68, dopo dodici anni con i bianconeri, anche il più giovane dei Milutinovic appaga la vocazione di famiglia per l’avventura. Emigra in Francia, dove cambia squadra ogni stagione (Monaco, Nizza, Rouen) e in Svizzera (al Winterthur). Nel ’72 cambia addirittura continente approdando ai “Pumas” dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM). Lì, a Città del Messico, conosce una ricchissima possidente terriera, Maria Carmen Mendez, che diventerà sua moglie e gli darà una figlia, Darinka; «nata la vigilia della partita con l’Iraq (l’11 giugno ’86 il Messicani con lui Ct vinse 1-0 e si qualificò per gli ottavi, ndr), l’ultima del primo turno di Mexico ’86, un anno straordinario», ricorda Bora. Diventato, con il matrimonio, cittadino messicano, ai posteri Milutinovic regalerà sul tema una delle sue più celebri boutade e un manifesto esistenziale: «Nascere poveri è una sfortuna, sposarsi una povera è da scemi». 

Prima dell’investitura a Ct della selezione centroamericana, va però raccontato l’avveduto passaggio di Bora dagli scarpini alla panchina. In due anni (1972-74), con Alfonso “El Pescado” (il pesce) Portugal impegnato al fronte degli universitari e con lo spagnolo Ángel Zubieta in panchina già dal 1971, l’UNAM riapre le porte agli stranieri. Oltre a Milutinovic, arrivano giocatori di forte personalità quali Miguel Mejía Barón (futuro tecnico del club nonché Ct messicano), Héctor Sanabria, Arturo Vázquez Ayala, José Luis “Pareja” López, Leonardo Cuéllar (che sulla testa portava, come ha scritto un’ispiratissima penna, «un libertario cespuglio» afro alto 27 centimetri) e il brasiliano Evanivaldo Castro “Cabinho”. Il titolo arriva però solo nel 1976-77 (1-0 e 0-0 con l’Universidad de Guadalajara), prima stagione del centravanti Hugo Sánchez Márquez e ultimo del Bora giocatore, che l’anno dopo rimpiazza il tecnico campione, l’ungherese Jorge Marik, come nuovo Director Técnico. Una tradizione, quella di scegliere come allenatori ex atleti del club, rispettata anche ai giorni nostri proprio con Sánchez.

Nella temporada 1977-78 l’UNAM è solo vicecampione (0-2 e 1-1 con l’Universidad de Nuevo León) e il rammarico è grande perché nel rush finale deve rinunciare a cinque titolari, precettati per Argentina 78 dal Ct messicano José Antonio Roca. L’anno successivo, i Pumas dello stratosferico attacco Sánchez-Cabinho – capocannonieri ex aequo con 26 reti – perdono la seconda di tre finali consecutive, stavolta dal Cruz Azul (0-2 e 0-0). La rivincita (4-1 e 0-1, ma senza Cabinho, ceduto all’Atlante) arriva con il titolo ’80-81, primo alloro di Milutinovic allenatore a tempo pieno. Quel successo, unito a quello contro il Nacional Montevideo nella Copa Interamericana (3-1 a Città del Messico, 1-3 in Uruguay e 2-1 nello spareggio di Los Angeles), gli aprirà porte importanti. 

Nel 1983 la Femexfut, la federcalcio messicana, sceglierà lui per preparare il più grande degli appuntamenti, la Coppa del Mondo che il Paese ospiterà di lì a tre anni. Milutinovic fa le cose per bene e il Messico, dopo un lungo periodo di preparazione, raggiunge il miglior risultato di sempre: i quarti di finale. Eliminati Belgio (2-1), Paraguay (1-1) e Iraq (1-0) nella prima fase, i messicani si sbarazzano della mediocre Bulgaria (2-0) prima di arrendersi, ma solo ai rigori (4-1), alla Germania Ovest poi finalista. Comincia lì il mito del “miracle worker”, specializzato nel portare ai mondiali nazionali di secondo o terzo piano oppure, se già qualificate, di farle rendere come mai in passato.

Nel frattempo però la sua carriera registra qualche passaggio a vuoto. Difficile definire altrimenti le fugaci esperienze con gli argentini del San Lorenzo de Almagro (’87) e all’Udinese (’87-88), fresca di retrocessione in Serie B e in pieno caos tecnico. In Argentina, oltre alla classe di Pedro Larraquy, Blas Giunta e Walter Perazzo, trova il modo di assecondare le inclinazioni offensive dell’uruguaiano José Chilavert, portiere-goleador che tirava le punizioni mirando alle lattine appositamente disposte in fila indiana. In Italia, subentrato a Massimo Giacomini, non ha il patentino e quindi ufficialmente è il dt che affianca l’allenatore Marino Lombardo. Dopo 8 giornate, ecco Sonetti. L’avventura friulana finisce ancor prima di cominciare, ma Milutinovic è un uomo di mondo e non fa una piega: «[Il presidente Giampaolo] Pozzo e [il gm Franco] Dal Cin mi cacciano dopo due mesi (e 8 partite, ndr). Mi telefona Azeglio Vicini e mi dice: “Bora, perché non mi hai chiesto niente su Udine? Ti avrei messo io sull’avviso…” Qualche anno dopo ingaggiano lui e lo cacciano. Allora lo chiamo io: “Azeglio, perché non mi hai chiesto niente su Udine?”». Di sicuro gli avrebbe detto che là nessuno pensava in grande e che un giocatore (pare Odoacre Chierico, ndr) pretendeva il posto garantito.

La stella di Bora sembra tramontare ma è solo un’eclissi. Per Italia 90 lo chiama la Costa Rica, Paese quasi privo di tradizioni calcistiche e che in vista del torneo ha già cambiato tre selezionatori, Gustavo De Simone e la coppia Marvin Rodriguez-Antonio Moyano Reina. Quest’ultimo, vincitore in un primo momento di un ballottaggio interno alla Bernardini-Bearzot, aveva poi pagato con l’esonero le brutte prove della squadra alla Marlboro Cup di Los Angeles. Bora prepara la squadra in quattro e quattr’otto e, nonostante il girone comprendente Scozia, Svezia e Brasile, la porta agli ottavi, dove i Ticos vengono eliminati dalla Cecoslovacchia (1-4). 

Nel marzo ’91, lo chiama Alan Rothenberg, facoltoso avvocato californiano che presiede la United States Soccer Federation. Bora accetta l’ennesima sfida e per un quadriennale da un miliardo di lire a stagione è il nuovo Ct degli Stati Uniti, nazionale di un Paese nel quale il calcio è diffuso solo a livello scolastico (specialmente femminile) e all’epoca privo di un campionato pro da cui attingere giocatori. I pochi pro convocabili giocavano oltreoceano e ciò complicava ulteriormente il lavoro del Ct, che quindi si vedeva costretto a setacciare i campus universitari: Cobi Jones (UCLA) e Alexi Lalas (Rutgers University, poi al Padova) ne sono due esempi.

Ammiratore (a parole) di Arrigo Sacchi, Milutinovic adotta un calcio pratico, attento in difesa e più ancora a «parlare al cuore dei giocatori», magari senza megafono, perché ok il 4-4-2 ma «l’elemento più importante sono loro» e «una risata può essere più efficace di una sudata». Una filosofia che dopo quattro mesi dà già i primi frutti, gli USA portano a casa la Gold Cup battendo ai rigori l’Honduras. L’anno successivo arriva la US Cup, a spese di Italia, EIRE e Portogallo, non proprio gli ultimi arrivati. Al torneo iridato, la selezione a stelle e strisce viene ripescata dal girone con Svizzera (1-1), Colombia (battuta 2-1 ed eliminata) e la Romania (0-1) e negli ottavi cede al Brasile poi vincitore. Per Bora, missione compiuta. 

Dopo due anni (’95-97) di ritorno all’ovile, come Ct del Messico subentrando a Mejía Barón proprio come nell’83, in vista di Francia 98 lo vuole la federazione nigeriana per affidargli una nazionale ricca di talento, ma storicamente ingovernabile a causa delle ingerenze politiche, dell’anarchia tattica dei giocatori e dell’esplosività dello “spogliatoio”. L’ambiziosa Nigeria batte Spagna (3-2) e Bulgaria (1-3), perde (1-3) con il Paraguay ma si qualifica per gli ottavi dove però l’ostacolo Danimarca si rivela troppo alto (1-4). Milutinovic, attaccato da molti giocatori, molla tutto e in settembre torna negli States, ai MetroStars della MSL, la nuova lega pro americana. Bora prende in mano la squadra da Alfonso Mondelo, esonerato dopo 6 sconfitte filate, e tredici mesi dopo la lascia a Fernando Clavijo, l’assistente allenatore che assume l’incarico ad interim. Per il Ct uscente, un bilancio in rosso: 7 vittorie e 25 sconfitte, 12 delle quali consecutive.

Riservati sussiegosi dinieghi al Paraguay del dopo-Cesare Maldini e al derelitto (sul piano tecnico-organizzativo) Perù, Bora prepara il colpo della vita, riuscire in un’impresa che la Cina insegue da sempre: qualificarsi alla fase finale dei mondiali. 

Autentico cittadino del mondo, parla sei lingue (serbo-croato, francese, spagnolo, italiano, inglese e tedesco, più qualcosa di russo) e ha allenato con successo in ogni dove. Ma per certa critica resta o un furbo mercenario dedito ai piaceri della vita, o un simpatico giramondo buono al più per un pezzo di colore sull’ereditiera che l’ha sposato. In realtà le lenti affumicate e il sorriso a 32 denti, il parlare ad alta voce, le movenze lente, celano la consapevolezza, a volte sbandierata all’eccesso, del vincente, l’intelligenza e le “pubbliche relazioni” necessarie per le grandi imprese.

Al presidente federale Nan Yung lo “zingaro” non piace: capelli troppo lunghi, troppe donne, troppo testimonial (elettrodomestici, grappa di riso), troppo lusso (anche nella scelta dei ritiri). Poi la suprema ragion di stato vince su tutto, Nan Yung si tura il naso e – previa emanazione di un “decreto-Milutinovic” che vieta agli stranieri di fare pubblicità, ma in cambio dovrà coprirlo d’oro – vota per “Mi-lu”, come il tecnico preferisce farsi chiamare dai cinesi, che, in difficoltà nel pronunciare la “r”, lo avevano già trasformato nel poco simpatico “Bola” (pallone, in portoghese).

Dopo le difficoltà iniziali («se fallisco mi buttano dalla Grande Muraglia»), nelle qualificazioni, anche se affrontando autentici nessuno (Maldive, Cambogia, Indonesia, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Uzbekistan), la sua squadra vola; 12 successi su 14 gare e il 7 ottobre 2001 come data storica: l’1-0 sull’Oman dà alla Repubblica Popolare la prima partecipazione al Mondiale e a Bora la certezza di vedere la Grande Muraglia solo da turista. Al torneo nippocoreano il gruppo con Costarica (0-2), il Brasile futuro pentacampeão (4-0) e la rivelazione Turchia (0-3) è troppo anche per lui, già contento perché «a prescindere dal risultato, l’importante è dimostrare che Bora è sempre Bora». 

Per la prima volta senza famiglia al seguito, Mi-lu la pianta con la vita da pendolare Città del Messico-Pechino e torna in America Latina per cercare, dal settembre 2003, un’altra qualificazione storica, stavolta con l’Honduras. Ai primi rovesci, viene «tratado como a un delincuente» e il 1° luglio 2004 molla tutto. In un messaggio al presidente della Federcalcio honduregna, Rafael Callejas, Milutinovic scrive che le «critiche da parte degli allenatori e della stampa locali hanno creato un’atmosfera che non mi permette di svolgere il mio lavoro». E a metterci il carico da undici aveva provveduto anche la locale chiesa cattolica che aveva criticato Callejas per il forte ingaggio concesso a Milutinovic: «I 50 mila dollari al mese corrisposti all'allenatore della nazionale sono uno schiaffo a tutti i poveri dell’Honduras». 

Adesso siede su una delle panchine dorate del Qatar, quella dell’Al-Saad. Non è detto però che da qui al 2006 non trovi un’altra nazionale da guidare magari anche solo nella fase finale. «El fútbol es mi vida, pero siempre tengo la maleta (valigia) preparada». Sì, Bora è sempre Bora.
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo


BORA FORZA 5: NESSUNO COME LUI
L’impresa è unica: 5 mondiali raggiunti con altrettante nazionali. Milutinovic comincia dal suo Paese adottivo, il Messico, che nel 1986 è l’organizzatore. Da Miguel Mejía Barón, ex compagno ai tempi dell’UNAM, Milutinovic eredita, forse, la più forte selezione messicana di sempre, con una prima linea che schiera “Hugol” Sánchez, all’epoca centravanti del Real Madrid, Manuel Negrete e Luís Flores. Eliminati Belgio (2-1), Paraguay (1-1) e Iraq (1-0) e, negli ottavi, la Bulgaria (2-0), i messicani escono ai quarti, ma solo ai rigori (4-1 dopo 120’ di 0-0), contro la Germania poi seconda. 

A Italia 90 la Costa Rica del serbo, subentrato a qualificazione acquisita, è la rivelazione del torneo. Col minimo scarto vince con la Scozia e perde con il Brasile più brutto della storia (quello “sacrilego” del Ct Sebastião Lazaroni, con Mauro Galvão libero), quindi batte la Svezia (2-1) e approda agli ottavi. Il sogno dei Ticos s’infrange (4-1) contro la Cecoslovacchia, ma il miracolo c’è tutto a meno di non voler considerare stelle il portiere Luis Gabelo Conejo e, in avanti, Juan Cayasso Reid e il velocissimo Hernán Medford.

Quattro anni dopo, ad avvalersi dei suoi servigi sono ancora gli organizzatori della Coppa del mondo, gli Stati Uniti, la Nuova Frontiera del soccer-biz. Nel girone incontra Svizzera (1-1), Colombia (2-1) e Romania (0-1) e per la seconda volta il vento di Bora spira sino agli ottavi, ma lì si placa: 0-1 per il Brasile prossimo Tetracampeão.

Alla vigilia di Francia 98 il regime totalitario nigeriano vuole riscattare la precoce eliminazione subita per mano dell’Italia a USA 94 e Milutinovic è una garanzia. Le talentuose ma anarchiche Super Eagles battono Spagna (3-2) e Bulgaria (1-0), perdono (1-3) con il Paraguay e accedono agli ottavi dove però la spunta (1-4) la Danimarca. 

Nel 2002 il capolavoro: il serbo regala alla Cina il debutto mondiale. Il traguardo, inseguito per 44 anni, viene centrato dopo due turni: a spese di Maldive, Cambogia e Indonesia nel primo; di Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar e Uzbekistan nel secondo. In Corea del Sud e Giappone, i cinesi, già entrati nella storia, escono subito dalla competizione subendo, senza segnare, 2 gol dalla Costa Rica, 4 dal Brasile futuro vincitore e 3 dalla rivelazione Turchia.

Con 5 partecipazioni consecutive con squadre diverse (4 delle quali portate oltre il primo turno), Mi-lu stacca Carlos Alberto Parreira (Kuwait ’82, Emirati Arabi ’90, Brasile ’94 e Arabia Saudita ’98) e insegue se stesso. Se dovesse arrivare la sesta, il processo di beatificazione sarebbe aperto d’ufficio. (chgiord)


La scheda di VELIBOR (BORA) MILUTINOVIC
Nato: 7-9-1940, Bajina Basta (Serbia-Montenegro)
Ruolo: centrocampista
Club da giocatore: Partizan Belgrado (Serbia-Montenegro, 1956-68), Monaco (Francia, 68-69), Nizza (Francia, 69-70), Rouen (Francia, 70-71), Winterthur (Svizzera, 71-72), UNAM (Messico, 72-77)
Club da allenatore: UNAM (Messico, 1977-81), San Lorenzo (Argentina, 1987), Udinese (Italia, 87-88), New York/New Jersey Metro Stars (Stati Uniti, 1998-99)
Nazionali da Ct: Messico (1983-86), Costarica (1990), Stati Uniti (1991-94), Messico (1995-97), Nigeria (1998), Perù (1999), Cina (2000-02)
Palmarès da giocatore: 1 Coppa di Jugoslavia (Partizan Belgrado, 1957); 1 campionato messicano (UNAM, 1976-77)
Palmarès da allenatore: 1 campionato messicano (UNAM, 1980-81); 1 Concacaf Club Cup (UNAM, 1981); 1 Copa Interamericana (UNAM, 1981); 5 partecipazioni Mondiali consecutive con 5 diverse nazionali: Messico (Messico ’86), Costarica (Italia ’90), Stati Uniti (Stati Uniti ’94), Nigeria (Francia ’98), Cina (Corea del Sud-Giappone 2002); campione ai Giochi Panamericani (Stati Uniti, 1991); 2 Gold Cup (Stati Uniti, 1991; Messico, 1996); 3 U.S. Cup (Stati Uniti, 1992; Messico, 1996 e 1997)


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