MAESTRI DI CALCIO - Jackie Charlton, mio fratello è figlio unico


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di CHRISTIAN GIORDANO © - Guerin Sportivo ©
© Rainbow Sports Books

«Nothing is given to you. You’ve got to work for it.»
– Jack Charlton

Una carriera double face quella di “Big Jack”.

Da uomo all’ombra del (ben) più talentuoso fratellino Robert, a uomo che fa ombra, specie ai propri giocatori: per carisma, caratteraccio e statura, fisica e morale.

Da giocatore, ha vissuto nell’eterno complesso di inferiorità (tecnica) nei confronti di Bobby. Chiusa la parentesi agonistica, il Charlton non più famoso ma certo più acclamato è diventato lui, Jackie, l’unico inglese sopportato, e anzi amato, d’Irlanda.

John (Jack) Charlton nasce l’8 maggio 1935 ad Ashington, cittadina mineraria di ventottomila abitanti del Northumberland, a una trentina di chilometri da Newcastle, dove il nord-est dell’Inghilerra diventa, se possibile, ancora più nord-est.

La famiglia ha, come si dice, il calcio nel sangue.

Il fratello, di due anni più piccolo (11-10-1937), è stato forse il più forte calciatore inglese d’ogni tempo, di sicuro il più completo.

Gli zii Jack, George e Jim Milburn hanno giocato nel Leeds United e un altro, Stan, ha difeso i colori di Chesterfield, Leicester City e Rochdale.

Ma il più famoso, perlomeno fino all’esplosione di “Wor Kid” Bobby, è stato il cugino di primo grado di mamma Cissie, Jackie Milburn, leggendario centrattacco del Newcastle United (177 reti in 353 partite tra il 1946 e il 1957).

Il falso storico che vorrebbe la signora Charlton come primo “insegnante” di calcio dei propri pargoli va quindi sfatato: per loro stessa ammissione, al massimo una qualche influenza sportiva, zii a parte, l’ha esercitata il nonno.

Jackie comincia a giocare in una squadretta parrocchiale, l’Ashington YMCA (Young Men’s Christian Association, una sorta di Azione Cattolica Ragazzi anglosassone ma più potente e ben radicata sia nel tessuto sociale, sia nel territorio) nella quale, attraverso il calcio, i seguaci del credo di Sir George Williams, che fondò l’organizzazione a Londra il 6 giugno 1844, cercano di «costruire una comunità fatta di giustizia, di amore, di pace e di riconciliazione».

Nobili obiettivi, che però non sempre collimano con l’esigenza di un agonismo magari meno sano ma più competitivo avvertita dal primogenito di casa Charlton, che difatti presto passa all’Ashington Walfare.

A quindici anni, come gran parte dei giovani locali del tempo, segue le orme paterne andando a lavorare nelle miniere di carbone della zona.

Intanto, nel 1952 – grazie alle insistenze della madre e ai buoni uffici di cui gode ancora un monumento come l’omonimo zio, ottiene un provino al Leeds United.

Ad accompagnarcelo è proprio il celebre parente e stavolta le cose, nonostante un precedente rifiuto da parte del ragazzo, vanno in portos: il primogenito di casa Charlton lascia la miniera per firmare il suo primo contratto da calciatore professionista.

Il debutto avviene il 25 aprile 1953, tredici giorni prima del suo diciottesimo compleanno, contro il Doncaster Rovers.

Il National Service incombe, e gli tarpa le ali, ma una volta assolti gli obblighi di leva, Big Jack si conquista subito un posto da titolare al centro della difesa.

Stopper all’antica lungo (1,86 per 82 kg) e sgraziato, assai rigido anche nella corsa, fa coppia con il più tecnico Norman Hunter, così da permettere al fisicaccio del gallese John Charles, altro portento del gioco aereo, di poter andare a fare sfracelli in attacco. E se Billy Bremner è la pietra angolare della squadra, è il muro Charlton-Hunter a costituirne le solidissime fondamenta.

Quanto a fiuto del gol, però, anche Jackie non scherza, anzi. Strano ma vero, quando l’allenatore Don Revie, tra il 1961 e il 1962, lo schiera con la maglia numero 9, “la Giraffa” lo ripaga segnando 14 reti in 25 partite.

Con il Leeds (secondo nel 1956, primo nel 1964) conquista due promozioni nella massima serie, il titolo del 1969, la FA Cup 1972 e la Coppa di Lega 1968 sempre battendo 1-0 l’Arsenal, e due Coppe delle Fiere (1-0 e 0-0 al Ferencváros nel 1968, 2-2 e 1-1 con la Juventus nel 1971).

Inoltre, nel 1967 la Football Writers’ Association lo nomina calciatore inglese dell’anno.

Il Leeds della gestione-Revie è però anche una jellata macchina da secondi posti.

Nel 1964-65 regala il titolo (per differenza-reti) al Manchester United di Bobby, l’anno dopo finisce 5 punti dietro il Liverpool e l’agognato successo del 1969 viene poi scontato con tre crudeli piazzamenti alle spalle, nell’ordine, di Everton, Arsenal e Derby County.

Beffa delle beffe, nella prima stagione senza Charlton, 1973-74, il Leeds rivince il campionato.

In Coppa d’Inghilterra, la storia si ripete con tre sconfitte in quattro finali: 1-2 ai supplementari con il Liverpool nel 1965, 2-2 a Wembley e 1-2 nel replay all’Old Trafford con il Chelsea nel 1970, in entrambe le occasioni dopo l’extratime, e clamoroso 0-1 nel 1973 con il Sunderland, allora in seconda divisione.

Andò meglio in Coppa delle Fiere, l’antenata della Coppa Uefa: solo una sconfitta, nel 1967, contro la Dinamo Zagabria (2-0 e 0-0) delle stelle Filip Blasković e Slaven Zambata.

Per Big Jack fu più dolce il bilancio con la nazionale, seppure raggiunta a quasi trent’anni il 10 aprile 1965: 2-2 a Wembley contro la Scozia.

Caso volle, l’avversaria contro la quale, nel 1958, aveva debuttato Bobby (0-4 inglese all’Hampden Park di Glasgow).

Schierando finalmente entrambi i Charlton, l’Inghilterra trovava degli emuli dei fratelli Frank e Fred Forman del Nottingham Forest, in campo insieme nel lontano 1899.

Jack con i Leoni colleziona 6 reti in 35 presenze (nessuno del Leeds vi ha mai giocato tanto), e assieme al fratello-coltello Robert si laurea campione del mondo in casa nel 1966.

Come forse era inevitabile, i due hanno vissuto in una perenne ma sana competizione e solo in tarda età fra loro ci sono state frizioni, dovute però a vicende sì familiari ma extracalcistiche.

Nel libro Jack & Bobby – A Story of Brothers in Conflict, l’autore Leo McKinstry racconta che il maggiore non ha mai perdonato al più piccolo di non aver fatto abbastanza per mamma Cissie quando questa era gravemente malata.

Il 28 aprile 1973, venti anni e 772 partite (95 gol) dopo il debutto nel Leeds – record difficile anche solo da avvicinare – dice addio al calcio giocato e al club della sua vita.

Quello dal quale Bill Shankly, storico manager del Liverpool, aveva tentato in tutti i modi di strapparlo salvo poi ripiegare sul meno costoso Ron Yeats, scozzese del Dundee United già inseguito quando Shankly guidava l’Huddersfield.

Appese le scarpette, Jackie guida Middlesbrough (1973-77), Sheffield Wednesday (1977-83) e Newcastle United (1984-85).

A differenza del fratello Robert, che non riesce a salvare il Preston North End dalla retrocessione in Third Division, Jack la nuova carriera la comincia col botto.

Al Boro ottiene subito la promozione in Division One (centrata con il record di punti, 65, e di distacco sulla seconda, 15 al Luton Town) e la nomina di Manager dell’anno 1974.

La magica stagione è coronata dal cavalierato all’Ordine dell’Impero Britannico, ottenuto, per i servigi resi alla patria calcistica, lo stesso giorno in cui gli Ironsides battono, 0-1 all’Anfield, il Liverpool.

Vent’anni dopo però Bobby, già OBE nel 1969 e CBE (Commander) nel 1974, lo supereràdiventando il primo Sir, baronetto, per meriti calcistici dai tempi di Stanley Matthews.

Nel 1974-75, i rossi chiudono con un onorevole settimo posto in campionato e in Coppa di Lega cedono (0-1 col Birmingham) in semifinale.

Nel 1976, l’anno del centenario della società, a compensare il deludente tredicesimo posto in First Division e l’eliminazione in Coppa di Lega (1-4 complessivo dal Manchester City) provvede il primo trofeo conquistato dal club dopo il passaggio al professionismo: la neonata Anglo-Scottish Cup, “erede” della vecchia Texaco Cup ma non più allargata ai club irlandesi o nordirlandesi.

In finale il Boro supera (1-0 esterno su autorete di Les Strong, 0-0 ad Ayresome Park) il Fulham, dopo aver eliminato Sunderland, Carlisle United, Newcastle United, Aberdeen e Mansfield Town.

Archiviati il dodicesimo posto del 1976-77 e la sconfitta per 0-2 con il Liverpool nei quarti di finale di FA Cup, Charlton si dimette. Il suo sostituto sarà John Neal.

L’anno venturo scende addirittura in Third Division per rimpiazzare Len Ashurst allo Sheffield Wednesday.

Nel 1980 porta gli Owls in Division Two e dopo tre anni (chiusi al decimo, quarto e sesto posto) saluta la compagnia, ma sbaglia perché la stagione successiva la squadra, affidata a Howard Wilkinson, centra la sospirata promozione in First Division.

Trascorso un anno sabbatico, Charlton accetta la Sfida: allenare il Newcastle United, la squadra per cui da ragazzino, assieme al fratello Bobby, faceva il tifo dalle gradinate del St James’ Park.

Big Jack pare l’uomo giusto al posto giusto: è un prodotto locale, viene da buoni risultati con Middlesbrough e Sheffield Wednesday e ha il carattere necessario per reggere alle pressioni dovute al sedersi su una panchina storicamente bollente come quella dei Magpies.

Invece, dura poco più di un anno.

Nel febbraio 1986, tra la sorpresa generale, non ultima la sua, è nominato Ct dell’Irlanda.

Con lui alla guida la Repubblica, costruita attorno al nucleo ereditato dall’inesperto e poco fortunato Eoin Hand e nel quale saranno innestati la punta John Aldridge e il regista Ray Houghton ma non il talento mancino Liam Brady (che Charlton ritiene troppo portato a rallentare il gioco), conquista il primo trofeo della propria storia: un triangolare a Reykjavik con Cecoslovacchia e Islanda.

Il traguardo successivo sono le qualificazioni, quelle sì storiche, a Euro ’88 e ai mondiali del 1990 e del 1994.

Grazie agli straordinari risultati della Jacko’s Army, il calcio, nelle 26 contee del Paese, conosce un boom senza precedenti: in otto anni il numero di praticanti tesserati è quasi raddoppiato.

Le imprese raggiunte nel decennio con i Trifogli gli valgono la cittadinanza onoraria irlandese (onorificenza concessa appena sei volte) e, nel 1994, le chiavi della città di Dublino.

Per farla breve, è il primo inglese capace di conquistare il cuore degli irlandesi.

Di là delle facili etichette da grande antipatico e principe del non-gioco, Charlton piace perché non ha padroni.

La sua integrità, nonostante una certa disinvoltura nelle naturalizzazioni, è stata spesso scambiata per goffaggine, arroganza, inopportunità, mancanza di tatto, ma è il prezzo da pagare per restare fedeli ai propri convincimenti, tattici e no.

Per tutta la carriera, sia da giocatore sia da allenatore, ha dimostrato leadership, coraggio, abnegazione, lealtà. E ha sempre suscitato rispetto.

Lo testimoniano le parole che Don Revie gli scrisse per il program della partita d’addio di Charlton al calcio: «Gli sarò sempre grato e anche il Leeds United dovrebbe. Nessun altro club ha avuto un servitore più fedele».

Ormai ultraottantenne, Jackie passa il tempo dividendosi tra la caccia, la pesca, sua grande passione che spesso sposa con iniziative benefiche in favore dei disabili; i discorsi a invito.

È stato anche testimonial (fra le altre cose, anche di un’azienda di videogiochi legati al calcio) e ha assunto la carica di Deputy (vice) Lord Lieutenant del Northumberland.

Il 29 aprile 2004 il rettore della University of Leeds, in occasione del centenario dell’ateneo, gli ha conferito honoris causa la laurea in Legge.

Per farti uscire dall’ombra il calcio, come la vita e il cuore, a volte segue percorsi imperscrutabili. Specie se parti da dove il nord-est diventa, se possibile, ancora più nord-est.


La tattica
Irlandese onorario

Fino al 1921, anno in cui, separando l’Ulster, l’Inghilterra riconosce il regime di dominion allo Stato Libero dell’Irlanda meridionale (Eire), la Repubblica irlandese aveva un’unica rappresentativa calcistica.

La tradizione, oggi mantenuta solo nel rugby, ha avuto effetti nefasti per il calcio nel sud dell’isola, perlomeno nei risultati.

A parte le eccezioni del 1903 e 1914, quando vinse, a sorpresa, l’Home Championship, torneo riservato alle selezioni britanniche, l’Eire subiva sistematicamente la fuga verso nord dei suoi migliori talenti.

Poi, nel 1986, venne Jack Charlton.

Prima di Euro 88, tolti i quarti di finale all’Olimpiade parigina del 1924 (in cui fu eliminata dall’Olanda), la Repubblica d’Irlanda mai aveva partecipato ai grandi appuntamenti internazionali.

Al primo tentativo, i verdi invece sfiorano la semifinale (l’olandese Wim Kieft – già transitato per Pisa e Torino – segna all’82’ il gol-decisivo), ma soprattutto vincono il loro personalissimo “campionato” battendo (ed eliminando) gli odiati “cugini” inglesi.

Arrivare agli Europei fu un enorme passo avanti per un Paese dalle imprese pedatorie mai all’altezza del talento prodotto da un bacino di appena quattro milioni di abitanti.

L’alibi della scarsità della popolazione, infatti, non regge, perché mentre la ancor più minuscola Irlanda del Nord partecipava a tre Coppe del Mondo, i Southerners fallivano ripetutamente l’approdo a Europei e Mondiali.

Fu proprio in seguito alla fallita qualificazione per Messico 86 che a Jack Charlton e a Maurice Setters – due inglesi! – fu affidato l’incarico di rompere con il passato.

Puntando su uno stile di gioco – definito Under Pressure – che mirava a spegnere sul nascere la manovra degli avversari già nella loro metà campo, e anche approfittando di una certa “libertà di ordinamento” su vere o presunte ascendenze irlandesi di giocatori nati calcisticamente a Glasgow, Preston, Liverpool, Huddersfield e West Ham, i due Englishmen hanno poi scritto la storia del calcio irlandese degli ultimi anni.

Al debutto in panchina al Lansdown Road, lo stadio dublinese dove la nazionale allora giocava, Jacko era stato contestato perché aveva trascurato i più tecnici (ma forse troppo compassati) Liam Brady e David O’Leary.

Su un pennone fu issata una bandiera con un chiaro invito a «tornarsene a casa».

Dieci anni, un europeo e un paio di mondiali dopo, quella casa si chiama Irlanda.


La scheda
John (Jacky) Charlton


Nato: 8 maggio 1935, Ashington (Northumberland, Inghilterra); deceduto a Ashington, 10 luglio 2020
Ruolo: stopper
Club da giocatore: Ashington YMCA, Ashington Walfare, Leeds United (1952-1973)
Presenze (reti) in massima divisione: 629 (70)
Presenze (reti) con il Leeds United: 772 (95)
Esordio in nazionale: 10 aprile 1965, Londra, Inghilterra-Scozia 2-2
Presenze (reti) in nazionale: 35 (6)
Palmarès da giocatore di club: 2 promozioni in First Division (1955-56, 1963-64), First Division 1968-69, Coppa d’Inghilterra 1971-72, Coppa di Lega 1967-68, 2 Coppe delle Fiere (1967-68, ‘70-71)
Palmarès da giocatore in nazionale: mondiale 1966 (Inghilterra)
Riconoscimenti da giocatore: Calciatore inglese dell’anno 1967 (Football Writers’ Association)
Club da allenatore: Middlesbrough (1973-77), Sheffield Wednesday (1977-83), Newcastle United (1984-85)
Nazionali da Ct: Irlanda (1986-95)
Palmarès da allenatore: Division One (Middlesbrough, 1974), promozione in Division Two (Sheffield Wednesday, 1979-80)
Riconoscimenti da allenatore: Allenatore dell’anno 1974, Order of the British Empire (OBE ), 1974




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