Fiandre '85, l'educazione siberiana di Eric Vanderaerden


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per © Panache magazine

«Una Ronde leggendaria, di quelle che fanno scrivere Sport con la maiuscola. Un freddo come in Siberia, tutto il giorno pioggia a torrenti (regende het pijpenstelen) [...] In quello scenario apocalittico Eric Vanderaerden, che pareva battuto, ha rimontato e ha corso davanti da solo per venti km. Impressionante.»
- Rik Vanwalleghem, Het Wonder van Vlaanderen


La Sallanches del Fiandre. 
Questo e molto altro è stata la Ronde ’85, (anche senza) forse la più dura del dopoguerra. Solo in 24 (su 173) all’arrivo. Nove in più del mondiale ’80 dominato da Bernard Hinault, con Gibì Baronchelli e Miro Panizza cirenei alla sua ruota, su e giù per venti (!) volte sul Golgota de la Côte de Domancy. 

Ai mondiali come al Fiandre mai, in tempi moderni, ne sarebbero arrivati meno. 

Giornata terribile, quella prima domenica di aprile. Pasqua di tempesta, deflagrata ancor di più a metà corsa. «Una corsa da uomini», tuonò - più dentro che fuor di metafora, con un machismo politically incorrect figlio ancora dei tempi - la sempre immaginifica L’Équipe; che poi la riassunse così: 

«Dal Koppenberg in poi è stata una corsa uomo contro uomo. Nello sport, la cosa più bella, la più autentica. Nessuna tattica. Fortuna e direttori sportivi non c’entravano. Nelle ultime due ore di gara mai visto Peter Post [diesse di Vanderaerden alla Panasonic, nda]. Le condizioni meteo così estreme hanno fatto sì che, mai come questa volta, abbia vinto il migliore». 

Il migliore e (anche senza) forse il più forte. Alla lettera. 

La gara esplode sul serio quando, a tutta, se ne vanno in una quarantina prima di arrivare al «muro delle streghe», il Koppenberg, nella definizione-copyright del di lì a poco improbabile vincitore. 

Improbabile perché, a pochi chilometri dalla curva che dà il la all’impennata, il prode Eric fora. Il compagno Ludo De Keulenaer, pronto, gli passa la propria ruota. Anche se poi lo stesso Vanderaerden dirà che a passargliela era stato un altro “Panasonic”, il rosso (di capelli) olandese Bert Oosterbosch, sul quale il fato si sarebbe accanito, di lì a tre-quattro anni, con inusitata crudeltà. 


Eric Vanderaerden fora ai piedi del Koppenberg

Tirato da un altro dei suoi, quel Johan Lammerts vincitore a sorpresa l’anno prima, Vanderaerden rientra sui battistrada già dai primi tornanti del Koppenberg. «Per me, era un’impresa disperata - dirà a cose fatte - Ma mi ci sono buttato, un po’ come un acrobata senza rete al circo. Ho rimontato quindici-venti posizioni e fatto il buco». 

Ad aiutarlo, stavolta, era stato il caos in cima al “Muro delle streghe”, su quelle strettoie dove in diversi «avevano dovuto mettere giù il piede, anche se non erano in difficoltà. In quel momento nessuno ha reagito. Ero da solo a settanta chilometri dall’arrivo, cos’avrei dovuto fare? Potevo rialzarmi o andare a tutta. Sono andato a tutta e ho mantenuto il vantaggio. Ma poi è venuto a prendermi Hennie Kuiper». 

Uno che la Ronde, e a quella maniera, l’aveva vinta nell’81. Kuiper, ormai trentaseienne e fresco di un inopinato successo alla Sanremo, sua terza monumento dopo la Roubaix ’83 oltre a cinque tappe al Tour e il mondiale di Yvoir ’75, correva con la leggerezza del campione risolto. 

La tempesta screma a sei la quarantina, e ne restano solo califfi: dentro ci sono l’irlandese Sean Kelly, lo statunitense Greg LeMond, l’olandese Adrie van der Poel e Phil Anderson. Vanderaerden e Kuiper guidano l’inseguimento e passano al comando sull’Eikenberg. 

Kuiper attacca sul Berendries, a 28 km dal traguardo. E non solo riprende Vanderaerden, lo lascia lì. Guadagna un minuto, e dietro di lui ancora niente: nessuna reazione. Eric aspetta ancora un po’ che qualcun altro si dia una mossa, poi si rivolge all’ultimo dei mohicani “Panasonic”, Anderson, un australiano duro come l’acciaio. 

«Tocca a noi attaccare», gli intima Vanderaerden. 

«Vai prima tu» la serafica risposta di Anderson, che veniva sì dal Mondo Nuovo ma era nato (a Londra) e ciclisticamente cresciuto nel Vecchio, in Francia, nella “legione straniera” alla formativa école della ACBB da dilettante e della Peugeot nei pro'. Comprend moi.

Eric allora fa spallucce, e attacca in salita a Brakel. Phil lo segue. I due - compagni, lo ripetiamo - raggiungono Kuiper subito prima del Grammont. Il Muro per antonomasia. 

«Sapevo che il verdetto sarebbe arrivato lì - racconterà poi il vincitore - Ho dato tutto e ho vinto. E ne sono orgoglioso, perché in volata me la giocavo con tutti». 

Anderson, che sapeva di essere più veloce e di vantare maggior credito (per non dire merito), non la prenderà benissimo. Anche perché, dopo essersi portato a casa l’Amstel Gold Race ’83, sentiva di avere in canna un’altra classica, e finalmente la sua prima Monumento.

Eric, però, da buon belga, la vedeva in modo diverso: «Anche lui aveva una gran gamba quel giorno. Ma io sono passato primo sul Tenbossche e primo sul Grammont. Fine della discussione». 

E inizio dell’apoteosi. I suoi ultimi venti chilometri in fuga solitaria sono un instant classic nell'iconografia stessa della Ronde. Ai -4 km, Anderson attacca Kuiper, lo lascia a venti secondi e gli soffia il secondo posto. Ma 41” prima, a soli 23 anni, Vanderaerden era già diventato il più giovane vincitore del Fiandre nel dopoguerra. 

Rampollo di una famiglia di corridori (figlio di Lucien e fratello maggiore di Danny e Gert), Eric, classe 1962, era passato pro’ nel 1983 con il team belga Aernoudt-Rossin. 

Buon velocista di gruppo, cronoman formidabile sul passo e stupendo in bicicletta, chiuderà nel 1996 con 154 vittorie, 229 considerando anche le 61 nelle ultime due stagioni da dilettante e i titoli nazionali nel ciclocross e in pista. 

Non poteva competere sulle maestose salite dei grandi giri. E (anche senza) forse gli è pesato il fardello dell’ennesimo “nuovo Merckx”. 

Nel suo palmarès però spiccano la Gand-Wevelgem ’85, la Roubaix ’87, la maglia verde ’86 e cinque tappe al Tour. Compresa la crono di Villard-de-Lans nell’85 con 1’07” rifilati, nell’ultima recita in giallo, a sua maestà Bernard Hinault. L’alieno di Sallanches ’80. La Ronde dei mondiali.
Christian Giordano


Ordine di arrivo:
69ª edizione, 7 aprile 1985, Sint-Niklaas - Meerbeke (Ninove), 271 km, media 39,675 km/h 
1. Eric Vanderaerden (Bel) Panasonic 6h 49' 50" 
2. Phil Anderson (Aus) Panasonic +41" 
3. Hennie Kuiper (Ned) Verandalux +1'01" 
4. Noël Segers (Bel) Tönissteiner +2'03" 
5. Jos Lieckens (Bel) Lotto s.t. 
6. Claude Criquielion (Bel) Hitachi s.t. 
7. Greg LeMond (USA) La Vie Claire s.t. 
8. Walter Planckaert (Bel) Panasonic +3'46" 
9. Jean-Marie Wampers (Bel) Hitachi +3'48" 
10. Stefan Mutter (Svi) Carrera-Inoxpran s.t. 

I 12 Muri della Ronde 1985: 
  1. Molenberg 
  2. Oude Kwaremont 
  3. Koppenberg 
  4. Taaienberg 
  5. Berg ten Houte 
  6. Eikenberg 
  7. Varent 
  8. Keiweg-Leberg 
  9. Berendries 
  10. Muur-Kapelmuur 
  11. Bosberg 
  12. Flierendries 


Il bis al Fiandre (1979, '83) di Jan Raas, l'occhialuto del diavolo



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