Italo Zilioli, il campion cortese


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per Rainbow Sports Books ©

«Cercavo la gloria in bici e nella vita, 
e quando rendevo di più, 
era perché avevo la gioia nel cuore» 
– Italo Zilioli a Marco Pastonesi, Tuttobiciweb 

La sua meravigliosa, cortese piemontesità. Niente descrive e riassume meglio e di più Italo Zilioli. L’ennesimo “nuovo” o “piccolo” Coppi. 
Merito o colpa, quei nick-anatema, del poker calato in fila nel 1963, al secondo anno nei pro’ e a tre dalla dipartita del Campionissimo originale: Tre Valli Varesine il 18 agosto, Giro dell’Appennino il 1° settembre, Giro del Veneto il 15 settembre e Giro dell’Emilia il 4 ottobre. 
Pokerissimo se si conta pure la Zurigo-San Gallo, prima tappa al Giro di Svizzera, il 13 giugno. Troppo e troppo in fretta per uno così «esile, incerto, sensibile ai turbamenti e alle emozioni come una fanciulla o un intellettuale tormentato», stando all’immortale epitaffio tecnico-esistenziale vergato da Sergio Zavoli al Processo alla tappa. 
Classe (da vendere) 1941, il torinese però le stimmate del campione, se non del fuoriclasse, le aveva già mostrate, e molto presto. 
Scattava come Bartali e andava via come Coppi, ma da ragazzo a Giuseppe Graglia – che da direttore sportivo alla Legnano guidò Gino e fece esordire tra i professionisti Fausto – ricordava più Giuseppe Martano, iridato in linea a Liegi 1930 e a Roma 1932 e secondo sia al Giro (1935) sia al Tour (1934). Non per caso, comunque uno più da corse di un giorno, o una settimana, che da grandi giri di tre. 
Nel ’58 Tolmino Gios era convinto di aver scoperto, appunto, il nuovo Coppi. L’anno dopo, a Sanremo, Italo vinse il tricolore Allievi. E alla già ingombrante etichetta si aggiunsero, belli pesantini, i complimenti del Campionissimo originale: «Ho sentito parlare di te…». 
Vincenzo Giacotto, che alla Sanson ciclisticamente l’aveva cresciuto, per lui stravedeva. 
Idem giornalisti (specie “Raro”, al secolo Ruggiero Radice), addetti ai lavori (in primis Biagio Cavanna) e semplici appassionati. Tutti ammaliati più ancora che dal talento da quel modo di correre generoso, a volte sin troppo istintivo da sbagliare tempi e modi, e mai calcolatore. 
Shakerate il tutto con quella sua meravigliosa, cortese piemontesità e otterrete il perfetto mix d’insicurezze, fragilità, timidezza, educazione, modestia, rispetto e lealtà che ne han fatto un simbolo: più che dell’eterno secondo (in tre Giri filati: 1964, ’65, ’66), del campione antidivo. 
Per “Sappada” vado a trovarlo un pomeriggio a casa, a Ruffia, nel Cuneese. Tra un caffè e un librone del suo idolo Merckx, scopro – nel suo piemontesissimo intercalare di “bon” e “va’ là” – che alle prime (e ultime) armi da diesse, alla Vibor, per Natale regalò al Visenta delle canottiere nella vana speranza che quello poi davvero le indossasse. Seh, ciao. 
Chiaro che uno di tanta e tale naïveté – che scollina molto oltre la semplice ingenuità – non fosse tagliato per quella giungla di pelosissimi stomaci. 
Meglio così, Italo. 
Al campion cortese, sarebbe stato brutto e impossibile smettere di voler bene. 


Ruffia (Cuneo), martedì 6 marzo 2018 

- Italo Zilioli, lei è stato il primo direttore sportivo di Roberto Visentini quando lui è passato professionista. Mi racconta quegli anni lì di voi due insieme, alla Vibor? 

«Io ho smesso di correre e questa squadra è nata appunto quando io ho smesso. E allora ho fatto il direttore sportivo, un’esperienza di tre anni. Poi è saltato tutto per dei problemi economici». 

- Il progetto iniziale era quindi di tre anni? 

«No, il progetto non era così però ho continuato per tre anni a fare il direttore sportivo. C’erano Visentini e Donadio, due giovani promettenti. Visentini si è confermato, Donadio un po’ ha fallito. Poi comunque c’era anche Panizza, che aveva vinto tappe al Giro. C’era Bitossi che, anche se più anziano di me, ha vinto ancora corse, anche quell’anno lì. Visentini ha cominciato lì a farsi notare. A parte che è stato campione del mondo juniores, perciò qualità le aveva. A cronometro se la cavava bene, in salita idem. E così ha confermato queste sue qualità. Abbiamo fatto assieme questi tre anni, l’ho conosciuto: un po’ particolare. Un carattere un po’ particolare. Non era proprio tanto facile a dover… Io cercavo di inquadrarlo un po’, di fargli capire le cose, un po’ il mondo nuovo per lui però… Era un po’ difficile, ecco». 

- Quali difficoltà ha incontrato? Erano legate più ai vostri caratteri o determinati aspetti del mondo professionistico? 

«Non so, lui aveva la passione, forse… Però il carattere in queste cose incide, lo so. Era sempre abbastanza teso. Se non gli andava bene qualcosa, anche con i suoi compagni di squadra, ma soprattutto con degli avversari non mediava mai. E allora, dopo l’arrivo, li attaccava. Ricordo una corsa in cui [Davide] Cassani, non so, non tirava, e lui, dopo, l’ho dovuto calmare. Era un Giro della Romagna». [sorride, nda] 

- Cassani quindi correva in casa e magari voleva vincere. 

«Forse sì. Per Visentini in salita aveva portato via un gruppetto, Davide era lì, lui allora… Mi ricordo che a Roberto dicevo: “Devi cercare anche di accettare queste cose. Per te magari non sarà corretto un comportamento così, però Cassani, se vuole, ti si mette a ruota e ti fa perdere le corse. Perciò, col tuo carattere, devi invece cercare di tener buoni un po’ tutti”. 
“Ah, no-no-nooo, ero là io…” [ne imita la cadenza bresciana, nda] 
Un po’ come reagisce ancora adesso. Ho saputo che doveva trovarsi con la Carrera, dopo tutti questi anni, invece non ci è andato. Proprio perché gli è ancora “calda” questa ferita…». 

- Sappada? Mai rimarginata quella vecchia ferita… 

«È così. Non gli passerà mai. È carattere. Carattere così, però… Però, la classe…». 

- Dell’aspetto caratteriale abbiamo parlato. Mi tratteggia invece un profilo tecnico del Visentini corridore? Che caratteristiche o particolarità aveva? 

«Come ho detto prima: salita, cronometro, mancava però di volata. Poi, non sapeva tanto gestire. Magari se fosse stato meno esuberante… Ci son dei momenti che tu devi stare anche più coperto. A parte che coperto lui non stava mai tanto…». 

- Ecco, infatti: mi spiega questa cosa della decima-quindicesima posizione a lato del gruppo, sempre col vento in faccia? 

«Sì. Fuori. Hai inquadrato bene la cosa. Non so, perché poi in discesa andava anche forte, perciò non è questione di paura, credo. Forse in gruppo aveva qualche problema a doversi infilare dentro perché… Perché è così. Eh, ma ognuno ha le sue caratteristiche. Però ricordo che in una cronometro al Giro arrivò secondo dietro a Moser [14ª tappa del 1978, la Venezia-San Marco di 12 km, Moser vinse a 44,490 kmh di media con 6” su Visentini, che quel Giro lo chiuse 15° in classifica generale e in maglia bianca, nda]. Ha lottato per l’alta classifica, poi aveva ceduto qualcosa verso la fine, quando era lì con me. Dopo, ne ha vinto uno e ha perso anche quell’altro lì [nel 1987, nda], ma io non ero più nell’ambiente. Però bisognerebbe chiederlo a Boifava com’è andata, ecco». 

- Chi glielo segnalò prima di prenderlo alla Vibor? Come ebbe la dritta? 

«Lì in provincia di Brescia c’erano i titolari di questa Vibor, e lui era di lì. E allora c’era ’sto ragazzo così promettente e, bon, poi probabilmente qualcuno magari gli ha anche sottolineato l’esperienza che avevo io, la correttezza che avevo io. Ancora adesso ci siamo sentiti, anche ultimamente». 

- Ah, davvero? 

«Sì, ci siamo sentiti. So che non è facile…». 

- Allora lei è uno dei pochi del ciclismo che ancora lui frequenta… 

«No. Frequenta, no». 

- Solo al telefono, quindi? 

«Sì, al telefono, ma ci siamo anche trovati. [Bruno] Zanoni [storico gregario di Baronchelli e, nel 1979, ultima maglia nera al Giro, nda] ci aveva fatti ritrovare un po’ tutti. Amici, ex compagni… Comunque, bon, lì, inaspettatamente, si è presentato». 

- Dove vi siete visti? 

«Zanoni [oggi affermato albergatore, nda] è di Laigueglia e siamo stati a una cena, lì nella zona». 

- E quindi Visentini è venuto apposta da Salò fino in Liguria? Quanto tempo fa? 

«Sì-sì-sì, ma è parecchio, eh. Saranno già sei o sette anni fa. Ci siam sentiti al telefono tramite un altro amico che lo frequenta, Roberto Maffezzoni. Non ricordi Maffezzoni? Maffezzoni è un allestitore che era al Giro quando c’ero io. “Egidio” [azienda di logistica dal nome del padre, nda] è l’azienda e poi naturalmente lì ci son sempre…». 

- E lui ha fatto da tramite? 

«Sì, be’, Maffezzoni abita lì a salò perciò si conoscono e si frequentano e fa dai sentiamo Italo, allora, ma allora lo senti che ha piacere, no?». 

- Un piacere anche per lui. 

«Ma penso proprio. Perché sennò lui non ti risponde, eh, magari…». 

- Chi ha chiamato chi? Ha chiamato lei? 

«No, no, era a casa di Maffezzoni: te lo passo che è qua, e allora…». 

- Dopo tutti questi anni… 

«Sì. Sì, sì ma lui la pensa sempre alla sua maniera su Sappada. E non la cambia. E bisognerebbe sentire Boifava un po’ perché forse potrebbe anche darsi che conoscendo un po’ questo carattere, queste sue “impennate” eccetera non desse tante garanzie. Può anche darsi che ne desse di più… Può darsi che sia questa la motivazione di Boifava». 

- Mi conferma quello che mi è stato raccontato da Renatino Laghi? Laghi, che era a fine carriera, ha un carattere mite, molto compagnone, classico romagnolo, in senso buono. Mi ha detto: io ero a fine carriera, Roberto che era sempre un po’ “esuberante”, diciamo così, iniziava, allora Italo ci ha messo in camera insieme così che io gli insegnassi i rudimenti del mestiere, ecco, da professionista… 

«Sì, sì, serve con uno d’esperienza, vicino, tranquillo». 

- Per dire però lei non gli ha messo vicino Panizza, gli ha messo vicino Laghi. Per compensare i caratteri… 

«Be’, sì certamente è indovinata, perché Panizza è un altro tipo particolare, sì, sì… [sorride, nda] Ricordo che c’è stata una tappa del Bondone dove ha vinto Panizza e Visentini ha fatto secondo, perché era davanti, Visentini, perciò gli bruciava un po’ questa… bruciava un po’ anche a me però…». 

- Perché? 

«In fondo, a me, però, bon, primo e secondo, guardiamo così, forse interessava magari di più alla squadra un nome come Visentini magari perché…». 

- Perché era più “futuribile”, diciamo così? 

«Eh, va là, però è andata così, ma comunque…». 

- Laghi mi ha raccontato un episodio: una sera, non so se dopo un allenamento o una gara, a cena, non vi servivano mai. Visentini si spazientisce perché ha fame e deve mangiare lui aveva la fissa degli orari. E a un certo punto prende per gli angoli la tovaglia e butta tutto per aria. Se lo ricorda? 

«No, questo non lo ricordo, può anche darsi». 

- Laghi ancora ride perché Visentini è andato in camera senza mangiare. È molto alla Visentini o è un po’ (troppo) romanzata? 

«Mezzo e mezzo, però un po’ ci sta ,un po’ di queste cose, di questi suoi…». 

- Mi conferma che lui dopo il primo anno non so se si era trovato benissimo, voleva andare con Boifava solo che Boifava smetteva o aveva smesso di correre voleva far la squadra ma non era ancora sicuro di farla e allora lui non essendoci quella di Boifava pronta e alla fine ha rifirmato per voi il secondo anno… 

«Sì, Boifava è uno che probabilmente gli ha fatto diciamo anche poteva promettergli anche forse dei soldi in più di quelli che potevo dargli io. E forse va a sapere perché... Lui poi aveva anche un po’ alti e bassi anche no? Perciò si era un po’ fatto convincere d’andare con Boifava». 

- Quindi voi lo sapevate che stava trattando con altri? 

«Mah, lo sapevate… L’ho saputo tardi. Perché io credevo di trovare vita più facile e invece…». 

- Da come me ne parla deve essere stato un primo anno piuttosto duro… 

«Mah, è stato l’anno poi o il terzo anno adesso non ricordo nemmeno più bene, comunque c’è stato questo episodio che io faticavo a trovare lo sponsor, non sapevo dove sbatter la testa e io corridori li avevo legati a me, però…». 

- Quindi lei si sentiva anche responsabile… 

«Eh be’, altro che responsabile. Era un gruppo di una dozzina di corridori più il personale eccetera. Come può succedere ancora oggi. Ma probabilmente io credevo bastasse così, la correttezza, essere uno affidabile, invece non basta. Bisogna anche avere un po’ di pelo [sullo stomaco]… È così». 

Questa la CBM Fast-Gaggia per la stagione 1979: 
1. Bertacco, Tullio 
2. Bertini, Maurizio 
3. Borgognoni, Luciano 
4. Colombo, Annunzio 
5. Dal Pian, Alfonso 
6. Donadio, Corrado 
7. Laghi, Renato 
8. Rocchia, Remo 
9. Tosoni, Angelo 
10. Visentini, Roberto 
11. Zanoni, Bruno 

- Anzi: per qualcuno è un difetto, è vero? Mantenere la parola data eccetera… 

«Sì, è così. Certe volte sì può esserlo. Va be’ comunque in poche parole avevo provato a sbattere la testa di qua e di là, e la sbattevo, cioè… avevo sentito anche Torriani che poi in fondo aveva conoscenze eccetera, no? Per carità… Perciò ma anche con lui niente da fare. E il tempo passava perciò eravamo già a Natale e avevo questo problema. A un certo momento invece mi dicono: ma c’è un signore di Varese che forse è propenso, è appassionato, allora subito a sentirlo. E questo è poi stato lo sponsor della CBM-Fast, una ditta di prodotti chimici che faceva, fra i vari prodotti, quella bomboletta gonfia-e-ripara, no? Che è stata una delle prime. È stata forse uno dei primi: Fast. E allora vai su. Ma non so se fosse già passato Natale, e allora corri su da lui - che non ricordo nemmeno più il nome eh, di questo signore… E allora, dopo i due anni della Vibor, prima della terza stagione, so che questo qua… “Mah, vediamo…”. Poi son andato a trovarlo a Laigueglia, aveva una casa a Laigueglia, vai a Laigueglia. Ricordo correre di qua e di là, sembrava abbastanza convinto e difatti a un certo punto mi dà la conferma;: d’accordo, ci sto, il budget è questo, tira di qua tira di là più o meno poteva quadrare. E allora appena lo so , telefono a Visentini naturalmente e dico: Guarda che è tutto a posto allora ci siamo, stavolta si può partire . E questo Visentini mi dice ma io però ho firmato per Boifava. Puoi immaginare?». 

- Senza avvertire? 

«E va be’, ma Boifava… Ma è normale, penso. Perché, a un certo momento, comincia a firmare poi si vedrà, sai come fanno, no? E allora, sorride, nda, son andato a casa sua, tutto agitato perché se saltava Visentini, se non c’era Visentini, saltata tutto. Avevo provato con la federazione poi dopo la Federazione mi ha dato una mano perché le ho poi scritto, così, cercando di sensibilizzarli su ’sto fatto che se salta la cosa, salta il lavoro di tutta questa gente e allora in poche parole Boifava si ritirò. E Visentini all’inizio si vedeva un po’ dalla faccia che faceva questa scelta…». 

- Era rimasto a malincuore…. 

«Eh, be’, sì, forse di là aveva avuto promesse, aveva avuto chissà cosa, no? E però dopo, alé, siamo partiti e va là. E poi bon poi è andata abbastanza bene anche la stagione, perché so che c’era una premondiale, adesso non so se lui ha fatto anche quei mondiali perché lui è stato anche campione italiano nell’inseguimento quell’anno lì, ’79… E allora non so se è andato anche ai mondiali su strada, comunque c’era una corsa che io gliel’ho fatta saltare perché il giorno dopo c’era una cronometro, eh no-no dai, ci prepariamo per quella dopo e lui la vinse perciò è stata una scelta azzardata però sapevo che aveva questi numeri che poteva farcela e via. E bon e poi la cosa diciamo che sul finale di quell’anno ci fu un buon rapporto fra noi, no? Forse lui ricorda proprio questo, che cercavo di pilotarlo per vedere di inserirlo perché la squadra non smetteva, no? Di inserirlo in qualche squadra buona, e allora lui aveva fiducia perché sennò non si confidava con me. Diceva: ma mi ha chiesto questo, mi ha chiesto l’altro… E allora cercavo di pilotarlo un po’ e però lui il Giro per chi l’ha vinto?». 

- Per Boifava, nell’86. 

«Ah, vedi poi, e allora lì però lui venne fuori un po’ anche lì un po’ dei problemi perché.,.. perché lui andò alla San Giacomo, anche lì problemi, ma forse con Visentini non so come sia andata, come gruppo sportivo non era il massimo. E so che a un certo punto lui mi diceva che questi qui l’avevano contattato e io gli dicevo: ma aspetta, siamo… era ancora abbastanza presto, la stagione era ancora non so se agosto, così, presto, tu puoi anche ambire a qualche squadra più bene organizzata eccetera e allora più aspettava, eh ma questi qui insistono, ma no, aspetta, sta’ tranquillo… E lui mi seguiva. Al punto che a un certo punto questi qua mi contattano me e dicono: ah noi vorremmo Visentini con altri due-tre corridori, lui è lì che tentenna ma noi prenderemmo anche lei. Allora parlo con Visentini molto chiaro e gli dico: Guarda, la cosa sta così… Questa non è una grande squadra, però tu sai che io sto dalla tua parte, se ritieni questi offrono anche a me un posto da direttore sportivo. E, se ritieni, potremmo andare lì. Se tu ti ritieni soddisfatto anche delle tue esigenze economiche eccetera. Allor la storia andò a finire così però, però, poi mi fecero saltare me. E allora lui restò lì coi suoi due-tre fedelissimi. E fecero saltare me, ho avuto dei problemi…». 

- E perché lei salto., alla fine? 

«Saltò perché lì mi fecero… venne fuori uno scritto, questo per dirtela chiara…». 

- Ma si possono raccontare o rimane tra me e lei? 

«Ma io direi di no. Lì venne fuori un biglietto, un foglio dove c’ea scritto che io sottoscritto lasciavo lì il gruppo sportivo san giacomo libero dall’impegno». 

- Ma lei l’aveva firmato ’sto foglio? 

«No». 

- Se lo sono “inventati” loro? 

«È venuto fuori un problema, così. Loro avevano un avvocato di mezzo, e lì ha conosciuto subito l’ambiente, no? di questa squadra. Occhio, Visentini: Roberto, stai attento…». 

- Ma loro come hanno fatto a fare la sua firma? 

«Eh io penso con un autografo su un foglio che poi gli han scritto su le cose». 

- Neanche nei film di spionaggio succedono ’ste cose. 

«Eh ma lì c’era una persona…». 

- Ma se lei fosse andato in causa, poi avrebbero dovuto dimostrare che lei aveva fatto la firma su quel foglio lì. 

«Eh, ma io l’ho fatta su quel foglio lì. Fammi un autografo, a qualcuno… dai qua e poi mettono: “…io sottoscritto…” con un’altra calligrafia. Una riga era con una calligrafia, una seconda un’altra calligrafia, la terza un’alta calligrafia… e poi però la firma e difatti…». 

- Ma a questi qua lei ha fatto causa? 

«No, no, no, perché l’avvocato m’ha detto: mi sono informato e meglio lasciar perdere con questa persona, perché…». 

- Perché era uno potente? 

«No-no, perché era uno già chiacchierato, losco eccetera, cioè… E allora lì ho lasciato e sono uscito dall’ambiente». 

- Un po’ schifato? 

«Mah sì, un po’ sorpreso, anche, di queste cose. Perché non te le aspettavi. E poi è venuto fuori, dopo poco, l’occasione di entrare alla Fiat, Sisport Fiat, e son stato dieci anni poi lì». 

- E lì cosa faceva oltre agli arrivi e partenze alle corse? 

«No, non c’entra, la Sisport Fiat era la società di Montezemolo che ha fatto con Fiat, aveva creato questa società sportiva, dove c’erano tutti, non so se 16 o 17 discipline». 

- E lei che ruolo svolgeva? 

«Ero direttore sportivo di questo gruppo. E di lì son passati corridori che han fatto anche abbastanza strada, perché c’era il più conosciuto c’era un certo Fedrigo, che ha vinto anche Giro d’Italia dilettanti, però poi c’è stato Alberto Minetti che è passato professionista dopo ha avuto un incidente. Lui ha poi lì sono passati professionisti, io nell’80, 79 è stato quell’anno famoso che adesso ho raccontato che ho fatto è l’ultimo ano nei professionisti, è saltato per me l’80 e però nell’80 sono entrato in questa Sisport e lì ho trovato Minetti e altri. Mi sono poi divertito anche». 

- Quanti anni ha fatto lì, una decina? 

«Dieci. Quell’anno Minetti con Ghibaudo andò alle Olimpiadi perché si vedeva che aveva i numeri. Aveva vinto il Giro delle Regioni, che era una delle corse più importanti, con i russi». 

- A Mosca '80, oltre a Stephen Roche, in gara c’era anche un corridore che ha corso col Visenta da esordiente, Marco Cattaneo, se lo ricorda? Fece 12°, primo degli italiani. 

«Amico di Minetti. Sì, sì. L’ho incontrato in qualche occasione Cattaneo. E allora ho fatto il numero di Minetti, per passarglielo, sono amici. Ci siamo trovati sulle Dolomiti con Cattaneo, è una persona in gamba. È uno in gambissima. E lui, olimpiadi e tutto, e allora sul finire dell’anno è passato professionista. E lui e Ghibaudo assieme son "passati" con Moser, più per Pezzi che con Moser. Però non si era ambientato granché bene lì, poi gli successe l’incidente grave. Sono io che l’ho accompagnato poi a Vienna a fargli fare... A vedere di… E di mezzo c’era anche la FIAT, che mi ha un po’ sostenuto in questo percorso, via. Poi si è fatto operare di un’operazione di dieci-dodici ore di chirurgia, pazzesco. Ma non ha recuperato niente. Peccato, perché secondo me, di quelli che ho frequentato e conosciuto, è stato il migliore in assoluto. E questo qui, secondo me, poteva… Perché era uno che era nel periodo di Argentin. E poi lui in salita andava, un corridore da tappe. Perché vincendo il Regioni dimostri già che - a tappe - vali. E e poi aveva vinto un’altra corsa internazionale a tappe, in Francia. Aveva fatto un numero…». 

- E lui come ha reagito dopo quella botta lì? 

«Bene, bene. Per questo dico che poteva diventare qualcuno. Proprio per come ha reagito». 

- E cosa è successo con l’altra grande promessa qui della zona? 

«[Corrado] Donadio. È successo che probabilmente, boh, non era maturo e non è mai stato…». 

- E invece Piero Ghibaudo? 

«Ghibaudo invece ha fatto i suoi bei anni però poi ha smesso anche perché aveva un mobilificio il papà però è morto già due tre anni fa. Ha avuto dei problemi, un po’… E anche un gran bravo ragazzo. È stato più con Moser in squadra, è andato avanti non so se cinque o sei anni». [Almese, 23 luglio 1958, morto a Rivoli il 6 ottobre 2015, professionista dal 1978 al 1986, nda] 

- Parliamo un po’ del Zilioli corridore? Chi non ha avuto la fortuna di vederla correre, lei che corridore è stato? Al di là delle etichette, “il nuovo Coppi”, i secondi posti, l’ansia… 

«Bah, io… Sì, sì, probabilmente avevo classe, numeri, ma un po’ istintivo, un po’ insicuro. Le corse me le giocavo, volevo giocarmele…». 

- Ma lei aveva poca fiducia in se stesso, tipo Simone Fraccaro per esempio? 

«Ma, non so, Fraccaro... Perché lo conosco un po’ così, senza granché… Mah, sì, cioè se andava male… Pativo la cosa e non reagivo come bisogna, via... Poi volevo cercare sempre i numeri, il numero, di arrivar da solo, difatti di quelle che ho vinto ne ho vinte forse quattro cinque o sei…». 

- Guardi che lei ne ha fatte di robe, eh… 

«Sì, be’ qualcosa ho fatto, vabbè però… bon, sì tre secondi terzi quarti e quinti d’accordo, però non ero un corridore da corse a tappe. Ero uno che fisicamente recuperava, avevo fondo eccetera però se ti manca la testa da saperti gestire eccetera. Difatti ho vinto delle Tirreno, ho vinto un’altra corsa in Spagna di una settimana, no?». 

- La Setmana Catalana. 

«Sì, bravo. Però lì se tu sei in condizioni e vai, vinci una tappa o due poi le altre ti controlli e finisci. Quelle di venti-ventidue giorni…». 

- Volevo chiederle se fosse un problema di tenere con la testa… 

«Nono non era la testa, la mia era sempre quella la testa però come ho detto prima per chiarire le cose se è una corsa di una settimana, vinci la tappa o due e poi le altre sei lì perché non so magari vincevi una tappa o due poi facevi terzo nell’altra e poi ti piazzavi secondo in un’altra ancora cioè eri sempre lì perché stavi bene. E però ne avevi. Perché poi alla Settimana Catalana c’era Ocaña, c’era Poulidor, eh... E invece 22 giorni, se non li gestisci bene oltre che avere quei limiti di sicurezza,. Di carattere un po’ che molla, sì, tieni duro tu, però se ti succede qualcosa sei fragile eccetera, no? E allora venti giorni se ti gestisci o che vuoi sempre o che hai paura magari di non farcela allora dici bah, proviamo nelle tappe, oggi è una bella tappa chissà mai e poi sto bene, vado. E invece no, stai lì e aspetti il momento buono. Cioè queste cose qua. Poi sono elementari, ma se hai un certo carattere…». 

- E qui non poteva agire magari in maniera diversa il direttore sportivo dell’epoca di volta in volta? 

«Ci ho già pensato, qualcuno me l’ha anche già detto. È vero questo. Però poi quando sei lì, adesso la ragioni e la vedo in questa maniera, tornassi indietro rifarei le stesse cose». 

- Ah, sì eh? 

«Eh, penso di sì». 

- Nel ciclismo di oggi dove conta molto la tecnologia, le radioline, l’srm, il wattaggio, secondo lei un Zilioli potrebbe fare qualcosa di più? 

«Ma potrei anche fare qualcosa. No, di più forse no, non so se di più… Però non di meno. Forse sarei uno che sarebbe adattato a questo tipo di corsa perché? Perché adesso arrivano in salita fanno il treno-il treno-il treno, poi c’è chi scatta a tre-quattro chilometri dalla punta, no? E io avevo un’accelerazione abbastanza importante, ecco». 

- E da direttore sportivo invece come si è trovato? Cioè supponendo di dover gestire uno Zilioli il Zilioli direttore sportivo come si sarebbe comportato, in quell’esperienza da diesse? 

«Ma io lì adesso intervengono tante persone, no? Una volta c’era il direttore sportivo, un meccanico, un massaggiatore o due, cioè il gruppo… adesso al Giro sono nove [dal xx otto, nda] corridori, ce ne saranno quindici che gli girano intorno. Perciò è tutto diverso. Io cercavo di fare al meglio. Bon, certamente grandi strategie o cose, da inventare i tranelli, forse non ero il tipo…». [sorride, nda] 

- Non era un ferretti nel bene e nel male? 

«Nel bene e nel male. Anche nel male. Sorridi, eh, bravo…». 

- Ci siamo già capiti. 

«Ci siamo già capiti. Bravo». 

- Ho già parlato con Baronchelli e volevo chiedere a lei la stessa cosa: il fatto che lei ha vinto la Tre Valli Varesine.

«Sì, sì, le quattro corse in fila, sì». 

- Pronti-via, “il nuovo Coppi”, l’etichetta le è pesata un po’? 

«Sì. L’ho già detto tante altre volte perché io ho già risposto che sentivo era impossibile, sentivo impossibile pensare di essere un “Coppi”. Però il sognare, che sono un po’ sognatore io, allora il sognare di esserlo». 

- È la cosa che più mi ha colpito al salone del libro di Torino, perché lei ha fatto un bellissimo intervento. Io ero col mio nipotino e cercavo di fargli capire chi fosse stato Italo Zilioli. E non è facile.

«Non è facile, bisogna scavare. Certo. Poi io ero uno di poche parole allora, adesso mi sono” normalizzato” un po’ però allora non avevo grande fiducia anche negli altri, giornalisti o cosa, allora sì sì, no no, domani cosa farà? Ma speriamo. Vinci? Mah si vedrà. Loro i titoli li sparavano comunque. Ma quel “Limone” che vedi là era andato a Tuttosport a quello più acido, c’era anche il premio Arancio, [a quello] che era più disponibile, io due anni, quello lì è uno degli anni». [ridacchia, nda] 

- Della sua esperienza di quando organizzava le partenze al Giro che cosa mi può raccontare? 

«Lì è quando a un certo momento inaspettatamente ha smesso la Sisport Fiat che era poi Fiat Agri, prima era trattori poi ha ripreso Agri. E ha smesso probabilmente ai vertici han detto basta col ciclismo, perché avevan tagliato anche tanti altri sport e poi è stata la volta del ciclismo. E allora son rimasto a piedi. E anche lì ho avuto fortuna perché mi telefonò Astori con che era dall’ufficio stampa della gazzetta della Rcs e con l’amico Della Torre che avevamo corso assieme, lì era Castellano direttore però mi chiamò della torre che era responsabile appunto degli arrivi, no? Che avevamo corso assieme alla Filotex un paio d’anni, e con Astori che sempre avuto un buon rapporto con tutti e comunque era anche uno che… Fulvio Astori. E così mi dissero mah se hai del tempo, qui sai cercheremmo qualche persona giusta adatta per inserirlo un po’ nell’organizzazione, se vuoi vieni a parlare su a Milano magari un appuntamento lo prendi con Castellano, vediamo un po’, che è direttore della… Allora son andato su e la cosa si fece. Anche perché ero rimasto a piedi con la Fiat. Perciò sono entrato, non sapevo nemmeno io come muovermi, non era nemmeno tanto discorso di partenze dopo qualche anno è diventato. Era un po’ di tutto. Allora prendevi il corridore, non so al mattino sì eri lì a cercare di ordinare un po’ le cose. A parte che non c’era tutto il Villaggio che si è creato dopo e poi allora andavi lì alla partenza cercando di ordinare un po’ il tutto. Dal caos che si crea sempre così. e poi andavi all’arrivo e anche lì allora prendevi il vincitore lo portavi in sala stampa, lo portavi, gli indicavi dov’era il controllo antidoping, tutte ’ste cose, ero lì io che correvo avanti indietro in queste cose qua. E poi dopo allora invece ci siamo infilati…». 

- Era un ruolo che le piaceva, che sentiva suo? 

«Sì, perché non c’è l’esaltazione degli arrivi. Poi avevo sentivo la parte del dover preparare per poi corridori un certo ambiente… proprio che non potessero criticare perché può succedere qualche inconveniente ma comunque… eri sotto pressione anche lì perché c’eran sempre poi, c’era sempre qualcosa che non funzionava. Quando ti sembrava che tutto filasse giusto invece… però dai…Un po’ di batticuore e poi via, dai». 

- Quando è cambiato? È cambiato un po’ con Mediaset con il villaggio di partenza? 

«Be’, Mediaset ha incrementato molto bene il tutto, perché ha messo la pubblicità, ha inventato lei tutti questi… stand… perciò vedevi funzionare molto bene il tutto, io penso, io son stato soddisfatto sicuramente, però lì ci son interessi di mezzo che io non c’entro proprio niente, perciò…». 

- Torniamo al ciclismo, che secondo me le piace di più. Mi racconta i campioni, i gregari della sua epoca, e via via quelli delle generazioni successive: lei che cambiamenti ha visto? Di quando era in gruppo lei e dopo? 

«Ma se non sei dentro non riesci tanto a dare giudizi. Io son partito che ti dovevi fermare ai bar a prendere da bere…». 

- E il rifornimento, se lo saltavi, non ce n’era un altro, dovevi tornare indietro… 

«O sennò lo saltavi, magari c’era qualcuno che diceva: “Daglielo a Italooo…”. E te lo prendeva lui, però, era tutto un altro ciclismo anche perché diciamo che sovente dieci chilometri prima del rifornimento andavano ai sessanta all’ora proprio per far succedere qualcosa, ecco. Adesso sembra che siano tutti d’accordo a dire: adesso sì, adesso no. Adesso vadano via in quattro al primo chilometro, poi dopo gli correremo dietro in tre o quattro squadre. Invece allora era proprio per andare a cercare i punti dove… E le cadute eccetera, adesso cadono…». 

- Per noi delle generazioni successive è difficile da capire perché quelle cose non le abbiamo viste: tutti mi dicono che il vostro era un ciclismo in cui erano consentite, non soltanto tollerate. Facevano parte del mestiere, diciamo così. 

«Sì, penso proprio. Però io ricordo che sono passato a fare, quando ho fatto il primo Giro d’Italia vedevo che tutti i capitani avevano i gregari di fianco e, sì, così si aiutavano. E ricordo – questa la racconto sempre perché… – e ricordo che allor a tavola una sera dico: Ah, però, porca miseria, io vedo che son tutti lì ad attaccarsi ai compagni di squadra e c’era in quadra Angelo Conterno e lui penso che l’abbia fatto così per dare una risposta: “…e attaccati anche te”. E finisce lì. Però il giorno dopo era una tappa che arrivava a Gorizia e io ho fatto mezzo Giro tribolando poi ho cominciato a… come fosse il motore in rodaggio, che poi ho cominciato a carburare, da metà in avanti, a far meno fatica. E difatti entravi nelle fughe, che prima invece guardavi solo di non perdere le ruote, di arrivare all’arrivo». 

- Conosco quella sensazione… 

«Ah, conosci quella sensazione? Prima di partire ce la farò oggi? Perché non mi sento bene stamattina, cominciavi a bagnarti alla fontana alla partenza, speriamo che non vadano forte, tutti questi “problemi” qua, no?». 

- Pensavo che uno come Zilioli questi problemi non li avesse, perlomeno non spesso… 

«Eh no, eh no, prima è andata così e poi dopo su di me dopo, siccome sono di carattere, chissà cosa, capito? Ecco… E comunque dopo comincio ad andare e allora c’è questa tappa di Gorizia, si passava da Trieste e dopo Tieste c’è quello stradone largo che porta su che si è poi fatta anche nei Giri d’Italia dopo, quando ero nell’organizzazione, han fatto una cronometro lì mi pare. E vabbè. In questa strada che si saliva e il gruppo andava a quella velocità dove stan tutti zitti e si sta uniti ma forte, no? e allora mentre che vado su, così, di fianco a me c’è Taccone e là ce n’era uno dei suoi e lui vedo che s’accende. Io guardo un po’ e dico porca miseria, poi non so mi viene un po’ da incosciente perché ho rischiato la vita quasi perché mi sono ricordato di Conterno che m’ha detto “attaccati anche te”, mi son appoggiato a Taccone, qua no?, m’ha guardato con… con gli occhi m’ha fulminato. Pah!». 

- Poi lui era un bel peperino… 

«Era uno che ti saltava addosso… come nei film da cavallo, è successo così al Tour quando ha menato lo spagnolo. E allora m’ha dato proprio uno sguardo che non so diecimila volt come se avessi toccato qualcosa che… e allora via. 

- Mai più… 

«Mai più, mai più un numero del genere, ma lì è incoscienza, perché il coraggio non l’avrei nemmeno avuto se ci pensavo un po’ su. E poi lui…». 

- Ma lui, al di là dello sguardo, non ha detto niente? 

«No, no, non ha detto niente perché è rimasto sorpreso anche lui, che cazzo fa questo qua? Giovane, giovane no, più o meno, perché lui è del 40, io del 41, però lui era già affermato eccetera. E avrà detto… M’ha dato un’occhiata che ce l’ho ancora negli occhi adesso. E poi dopo lì sono andato, sono entrato in una fuga, perché cominciavo ad andare, e feci terzo. Vinse uno della mia squadra[1], Vendramino Bariviera, io feci terzo. [ultima tappa del Giro ’66, Vittorio Veneto-Trieste di 172 km, Bariviera s’impose in volata sul belga Huysmans e Bailetti; in maglia rosa: Gianni Motta, per la terza volta in fila Zilioli chiude secondo, a 3’57”, Anquetil terzo a 4’40”; nda]. 
Era la prima volta che mi son piazzato. E poi mi son piazzato ancora dopo al tappone eccetera, il tappone che Balmamion staccò Adorni, che io dico staccò – Adorni dice che, vabbè Adorni si sa che è così, hai già inquadrato un po’ tutto, hai già capito, vabbè – Adorni dice che mi ha confuso perché ha visto una maglia bianconera, è Balmamion allora è lì e lo prendo, invece ero io… “Ho confuso Zilioli lì…”. Difatti, poi, finito il Giro, vado al [Giro di] Svizzera e vinco la prima tappa lì. E poi, dopo, c’è stata una tregenda lì, neve eccetera, su un colle, la Flüela , di 2300-2400 metri. Mi fermò Giacotto a cambiarmi in punta, perché ero intirizzito. E poi dopo ripresi ancora un po’ e feci, non so in classifica, un piazzamento, ma vinsi la tappa [Giro di Svizzera ’63, la Zurigo-San Gallo di 180 km, davanti a Loris Guernieri e a Vittorio Adorni, nda] eccetera. E poi arrivarono le altre corse a fine stagione. 

- Ma quella sera del numero di Taccone, dopo a Conterno gliel’ha raccontato? 

«No, no, nooo. E chissà come veniva fuori la cosa. Ma comunque, dai… Allora non so come raccontare, ci sono state due o tre trasmissioni per televisione che han dato… Anche durante il Giro d’Italia l’anno scorso, che vennero qui a fare un’intervista. Ha raccontato le cose. Ed è venuta fuori abbastanza chiara, con qualche risposta che adesso ho già dato. Comunque, è più che altro su di me ,il tipo che sono, io dico così: che ero estroso…». 

- C’è oggi un corridore che potrebbe somigliare, o ricordare, Zilioli? 

«Son passati tanti anni, è cambiato anche il ciclismo». 

- Come caratteristiche, non so uno che lei dice. Però, ’sto qua mi ci rivedo un po’ o no? Non c’è? 

«Non sto nemmeno lì a cercarlo». 

- E che le piace, anche se magari non le somiglia? 

«Adesso seguo un po’ i nostri, naturalmente Aru e Nibali. Nibali mi piace, sì. Lo vedo un corridore intelligente, qualità, perché difatti già da dilettante dei toscani che son venuti al Giro, mi dicevano: Abbiamo un corridore, un corridorino, da dilettante, in salita li stacca, a cronometro vince, vedrai, vedrai quello lì. È così, quello che vai a veder da giovane, poi lo sei». 

- Nibali è cresciuto nella Mastromarco di Carlo Franceschi, storico patron di quel gruppo sportivo. Da Messina alla Toscana, a 14 anni… 

«Che coraggio, eh». 

- Una sua grande dote è il recupero, lui dorme subito. E prima e dopo le gare e allora loro hanno capito che poteva avere un future, lui dormiva prima e dopo le corse. Anche in pullman: poi si svegliava e vinceva. 

«Ho già raccontato anche di questa cosa, son stato con Merckx un anno, io, in camera con lui. E lui alla sera a parte non poteva nemmeno uscire di albergo, perché figurati. Gli altri no, uscivano, ma lui no, lo faceva perché è uno che faceva il mestiere come si deve., e allora si stava un po’ lì con gli altri a far due chiacchiere, poi si andava in camera e si guardava il percorso del giorno dopo». 

- Professionista in tutto. 

«Sì, sì. Ma quello che deve fare un po’ quello un po’ giusto. Allora: calzini puliti sulla sedia, la maglia anche, metti il numero, queste cose qui, poi un’occhiata lì nel letto. Eri già lì, così, davi un’occhiata al percorso e poi, bon, dormiamo? Dormiamo. Buonanotte. Buonanotte». 

- Alle dieci spegneva la luce? 

«Sì, spegneva ma lo sentivi dormire dopo un po’». 

- E lei non dormiva? 

«E io non avevo niente da difendere però… lui aveva la maglia di questo la maglia dell’altro, magari il giorno dopo c’era anche una cronometro o una tappa importante e le vinceva. Però buonanotte e dormiva, lo sentivi dal fiato, dal respiro». 

- E invece Visentini non le guardava mai le tappe del giorno dopo, vero? Me lo conferma? Lui il Garibaldi neanche lo prendeva, lo buttava via… 

«Eh be’, sì…». 

- Me l’ha detto Cassani che era in camera con lui: Che salita abbiamo domani? Ma l’abbiam mai fatta? 

«Eh sì, eh be’ è il tipo, è proprio così…» 

- E invece mi dicono che nel lavoro, l’azienda di pompe funebri di famiglia, è molto rigoroso professionale molto serio. Molto discreto. 

«Mi fa molto piacere. Quando ci si trova così. Oh, ti prendo le misure. Invece, quando è lavoro…». 

- A Torriani diceva: guarda che per te ho un modello speciale… 

«Sì, sì… [Ride, nda] Li mandava tutti a quel paese eh, lui. Anche se era invitato la sera, d’inverno magari, c’è Torriani, c’è Raschi, che sono qui a Brescia, alla tal società, ti vogliono invitare anche te. “Ma sììì…”». 

- Lei che l’ha conosciuto bene: Sappada per lui è stata una scusa per poi non frequentare più l’ambiente? Ne sarebbe uscito comunque, vero? Perché “Sappada”, da sola, mi pare un po’ debole come pretesto, no? 

«Nei rapporti… Sì, forse è vero. Non so… Carattere, proprio, che non riesce tanto a legare…». 

- Ma lui le aveva queste battute dissacranti? Per esempio, quando i giornalisti gli chiedevano: ma perché non vai al Tour? “Eh, il Tour: tre funerali e mi son pagato il Tour…”. 

«Sono un po’ da lui, cioè io magari non me le ha dette e non le ho sentite. Però se me lo si dice, è lui, è lui… No-no, è lui è lui, sì-sì…». 

- Doveva essere stato anche divertente, se [quelle battute] non riguardavano te… 

«No, doveva vincere anche lui, invece ha vinto poi poco. Un Giro d’Italia è importante, ma con i numeri che aveva… Se era un po’ più…». 

- Due o tre poteva vincerli… 

«Giri ma anche altre corse, da gestirsi». 

- Era uno anche da Liegi, queste corse dure? 

«Eh, ma non sapeva gestirsi e lui le spendeva, forse il carattere stesso, perché lui in quella maniera secondo me voleva anche magari nascondere un po’ le sue paure». 

- Le insicurezze. Come un po’ tutti, ciascuno con le proprie, no? 

«Sì, e lui le tirava fuori in quella maniera, cioè: non si sentiva a suo agio andando qui o là. Lui ricordo che eravamo lì l’ultimo anno o non so quando, però sa, vieni con me a Limone, dai, era agosto, non so, fa caldo, vieni lì, ti seguo negli allenamenti, come fa un professionista. Così, al fresco e recuperi eccetera. Ed io quando… Parentesi: quando ero con Pezzi , che era uno preparato, in gamba, qualità, e mi chiamava per andare a Dozza, andavo, stavo là per una settimana, mi seguiva in ammiraglia, dava la borraccia, fai questo percorso, fai l’altro e allora io penso che più o meno debba essere così. e allora gli dicevo di venire su a limone. A forza di insistere una volta è venuto. “Ma sì, vabbè” [ne imita la cadenza in bresciano, nda]. È stato su cinque o sei giorni, però io avevo una moto allora e allora, “va be’, dai, fai un giro ma non è tanto indicata la moto perché è pericolosa, può succedere qualcosa”. Eh, ma poi dopo: “Ma son tutti vecchi qua…”. Lui era quello che aveva l’amichetta magari, o gli amici, sotto, al lago, perché lui sta un po’ più su. Andava giù in moto, senza… Ah, a Natale gli ho comprato delle canottiere. Una volta, a Natale…». 

- Perché, lui non le aveva? 

«No, perché non le metteva. No-no-no. Eh no, copriti, perché… Lu scendeva giù in camicia, tutta aperta, un bel ciondolo d’oro. Un po’ più o meno così…». 

- Da playboy di riviera… 

«Voleva imitarli ma non lo era, playboy. Per carità…». 

- Infatti, fra i tanti luoghi comuni che volevo sfatare è che siccome era bello, di famiglia benestante. 

«De Zan l’ha pitturato così». 

- Però così non era… 

«No, non lo era…». 

- Perché lui la vita d’atleta la faceva eccome. 

«Sì, sì, sì…». 

- E aveva i soldi eppure correva, ma per passione. E perché aveva questo dono. 

«Sì, va’ là… L’hanno messo lì, ha visto che vince e allora andiamo avanti, ma forse non gli era entrata dentro quella passionaccia proprio. Merckx ci va ancora adesso in bici. Io non credo che lui vada ancora». 

- Lui magari ogni tanto lo fa, si mette il berrettone, esce la mattina presto per fare una corsetta, non farsi riconoscere. La biciletta gli piace. Non gli piace l’ambiente del ciclismo. 

«L’ambiente. Ma il contatto, anche. Anche il contatto. Proprio il contatto degli altri. Non ha quel piacere di conoscere. Noi non ci conosciamo, però adesso ho visto, preparato. È okay, sì, va bene. E lui però non ha questa curiosità». 

- Un giornalista inglese che vive a Torino, Herbie Sykes, ha sposato un’italiana e scrive di ciclismo. 

«Sì, lo conosco». 

- Sykes è andato a intervistarlo e ha avuto proprio questa impressione. 

«Non lo sapevo». 

- Mi ha detto che Roberto non è una persona che riesce a instaurare un qualsiasi rapporto, anche “primordiale”, mi verrebbe da dire, se mi passa l’espressione. 

«Sì, bravo. Bravo. È così. E invece in questa telefonata, se ci lasciamo andare, tira fuori le sue cazzate». 

- Con qualche suo ex compagno della Carrera - Bontempi, Leali, Chiesa - con loro ogni tanto si vede alle cene. Ma sono cene che non hanno a che fare col ciclismo, loro sparano un po’ di cavolate, tra amici. 

«Sì, gli sta bene questo rapporto. Questa maniera». 

- E invece con altri, tipo Bordonali, che ha una testa un po’ diversa, e che è stato anche lui direttore sportivo, parlano si vedono magari un paio di volte l’anno, parlano del più e del meno ma è un rapporto sempre un po’ superficiale, capito?, non si entra in qualche questione… 

“Eh, come ti va il lavoro? Fatturi, non fatturi? Per dire, no? Per dire qualcosa». 

- Per non parlare del tempo. 

«O parliamo di ragazze». 

- Le chiedo questo, il Team Sky viaggia a 35 milioni di euro l’anno come budget, no? 

“Ho sentito, trenta-trentacinque”. 

- Che è un po’ un pianeta a parte, quindi lasciamo perdere quella che fa storia a sé. Però dire rispetto ai tempi della Vibor, quanto costava gestire una Vibor a fine anni Settanta? 

«120 milioni». 

- Proprio al pelo? Un Ferretti, per esempio, quanto aveva disposizione? 

«Lui forse non era ancora nemmeno direttore sportivo. Forse. Ma lui andava a cercare i grandi, i grossi. Io…». 

- Facciamo così, per capire: fra una Vibor e le grandi dell’epoca, quanto c’era di forbice? 

«Non sapevo. Non so perché non avevo la confidenza, o anche la faccia di chiedere…». 

- Quando lei cercava gli sponsor offriva un certo tipo di “prodotto”, di progetto, quindi… 

«Certo, andavo lì con il minimo indispensabile. Riusciamo a…». 

- Con le bici, per esempio, lei come faceva? 

«Le bici, avevo Pinarello. Mi dava in uso le biciclette e via». 

- E all’epoca contava "schierarsi" con Colnago o con Pinarello? Contava, anche in ottica nazionale (intendo come selezione degli azzurri)? 

«Mah, penso che… Colnago è uno che si…». 

- In nazionale contava se la squadra di un azzurro correva con bici Colnago o con altre? 

«Lui si infilava dappertutto». 

- È anche Cavaliere del Lavoro e Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica.

«Ah sì? E lui è capace di dar la bicicletta al diavolo e al papa. È di questi qua, non dice: No, io a questo… Se serve qualcosa... Ma un po’ tutti fanno così, eh. Colnago è unico. Non ce n’è un altro. Ma siamo tutti un po’ unici…». 

- Nel bene e nel male. 

«Sì, sì, dai…». 

- Ha anche dei buoni ricordi quindi del suo ciclismo, no? 

«Be’, dei ricordi io bei ricordi intendiamoci, di risultati, conta poco, per me, no? In quel senso lì. I ricordi sono con le persone che son rimaste. Cioè un’amicizia con Merckx è nata…». 

- È stato davvero il più grande che lei ha visto, sì? 

«Io ho visto anche Anquetil. Che m’ha battuto in un Giro. Ero anche tifoso io di Anquetil». 

- Ah sì? 

«Eh be’… allora io quando…». 

- Che cosa provava nel vederlo ritrovarselo in corsa. 

«Non potevo batterlo uno così, ero ammirato». 

- Questa perfezione da coppa di champagne fra le scapole. 

«Be’ lì qualcosa di vero ci poteva essere stato ma è molto romanzato anche quello, penso proprio. Difatti quando alla prima tappa, che partì il Giro di Motta, il mio terzo secondo posto in fila, che partiva da Montecarlo, la prima tappa facevamo il San Bartolomeo, scendevano giù a Pieve di Teco, venivano giù ad Albenga, allora lì si andava ad Albenga e si arrivava a Diano Marina [in realtà si confonde: era la prima tappa del Giro ’66, vinto da Motta su Zilioli e Anquetil: Montecarlo-Diano Marina di 149 km, vinse in volata Taccone davanti a Mealli e a Zandegù, nda]. Anquetil sul San Bartolomeo che si andava su molto forte ma non è una salita, poi era la prima, la prima tappa, però bisognava stare attenti naturalmente, però, non credo che lui temesse questa tappa. E c’era solo da stare attenti, e stare là davanti. E allora te chilometri dalla punta, un tifoso per dare la bottiglia – allora era di vetro – cade, la bottiglia si rompe, Anquetil fora tutte e due le ruote, no?, a tre chilometri dalla cima. Lì c’era qualcuno che faceva il gran premio della montagna, c’era solo da non perdere troppo e poi buttarsi giù. La discesa era una discesa tecnica, sì allor da San Bartolomeo, strada vecchia, da sopra, adesso han fatto le gallerie, no? E, bon, allora poi non so nemmeno se si saranno accorti, comunque, c’è stata questa accelerazione gli ultimi due-tre chilometri perché fan la volata eccetera allora stai lì, e ti butti giù. Io arrivo, son lì col gruppettino dei primi e in fondo vediamo che Anquetil non c’è, e allora, alé, a tutta a tutta, e allor Anquetil cosa ha fatto quando ha forato le due ruote? Un suo compagno di squadra gliele ha cambiate, ha perso… tutte e due le ruote pensa un po’ cosa può aver peso a cambiarle… e poi ha rimontato come fosse un moto però poi purtroppo in discesa lui non era un grande discesista, era uno che andava giù con controllo sempre, ma non era Merckx. E allora non è riuscito a stare attaccato ai primi. E mi dicono che ho fatto sette, otto o dieci km da solo con noi davanti a 150 200 metri cioè ha provato, però noi scatenati, figurati, la strada scende e vai a 60 70 all’ora verso Albenga e così lui h peso 3’-4’ subito. E i giornali dopo han detto che lui a Montecarlo, champagne, ostriche e varie cose, no? Ma la storia è quella. Un mio amico me l’ha raccontata, che era lì in quel punto dove lui ha forato». 

- No, volevo dire della perfezione dello stile che aveva in bici.

«Ah, in quel senso lì… Da ragazzino, avevo diciotto anni, credo… Ero un suo tifoso, t’ho detto, no? È lui, eh». 

[Italo va a prendere un librone su Merckx e mi mostra un disegno, nda] 
 
- Bellissimo. Deve farlo incorniciare prima che si rovini. 

«Eh sì, dovrei… Ma poi se mi vede Eddy che non c’è la sua…». 

- E allora deve fare un disegno anche per Eddy… 

«Qua invece quando mi batte al Blockhaus, nel ’67… invece questa qua di Coppi un mio dirigente della Gios mi fece fare una dedica: «a Zilioli con molti auguri», pensa te… questo è un reperto lo tenga da conto che i collezionisti glielo portano via… Questo tramite Ettore Milano che gliel’ha chiesto: qua per un ragazzino… Milano suo ex gregario e poi direttore sportivo di Zilioli, nda] che io ero allievo e lui correva gli ultimi mesi, io nel ’59 ero allievo…». 

- Che cosa ha provato a sfidare il suo idolo? 

«Era impossibile. No, non son tanto cambiato però…». 

- Si dice che non bisognerebbe mai conoscere i propri idoli, per non restarne delusi… 

«Ah sì? No, lui partiva, con la cerniera su. Non l’ho mai visto a bagnarsi con la borraccia…». 

- Io mi ricordo del pettine… 

«Sì, ma… Cappellino. Non aveva dei capelli arruffati. Io ricordo che l’ho incrociato un volta eravamo nello stesso albergo, esco dalla camera per far colazione, tutto assonnato e mezzo rotto perché il mattino devi riscaldarti prima di… almeno succedeva a me poi magai mi riprendevo, ma allora faccio il corridori, lui esce dalla sua camera, “Bonjour, Siliolì”, tutto pimpante, mi ha già ammazzato prima di partire [sorride, nda] Che son quelle cose che mi rimangono…». 

- …impresse? 

«Sì. E invece Merckx era. per me era tutto scontato. E difatti son stato in squadra con lui m credo di non aver nemmeno dato poi una grande mano, io. Lui mi lasciava muovere, come volevo, sì, gli ero lì vicino ma non come gli alti, no? Gli altri erano…». 

- Un po’ ai suoi ordini? 

«No, ordini non ne dava mica, lui, eh. Ah, no…». 

- E come trattava i suoi gregari? Perché Moser non li trattava bene. 

«Eh, be’. Ma sai, tante cose... Bravo. Mi fa piacere questo». 

- Mario Beccia non è ancora “guarito”, mettiamola così. 

«Mi fa piacere perché c’è qualcuno che, esaltato dal nome o qua o e là... Invece certe volte se c’è da far delle critiche, mia anche farle. Eh, ma diciamo che a Moser gli durava una settimana». 

- Ecco: non portava ancore. E un’altra cosa bella è che se ti prometteva tot, quello era. È uno di parola. 

«Sììì. Per quello, sicuro...». 

- Uno di carattere. Ti insultava anche, però… 

«Difatti, Minetti che è stato con lui ma ha avuto un rapporto un po’ conflittuale, anche se ha smesso a giugno per l’incidente però al Giro d’Italia mi telefonò Minetti: io me ne vado a casa con quello lì che mi insulta davanti a tutti… Stai lì, dai, un altr’anno cambiamo… Eccetera e via. Merckx invece non ha mai chiesto niente a nessuno. Erano gli altri che…». 

- Quasi onorati di essere… 

«Bravo: perfetto. Onorati di essere vicino a uno del genere. Perché, dico anch’io, perché qualcuno dice: Se non c’era Merckx chissà cosa facevo… Non è mica vero. A un certo momento, erano proprio onorati di stargli vicino. Io perché, quando io ho messo la maglia gialla, che ho vinto la tappa, il giorno dopo c’era una cronometro a squadre, be’, si vinse anche quella. Io andavo, perché quel giorno volavo, io son uno che l’ha sempre cercato “dall’esterno” il morale. Ecco un’altra cosa: parliamo di Italo [qui Zilioli parla in terza persona, nda], invece [il morale] bisogna saperselo trovare dentro. È normale, dico… Ma io non sono così, vabbè… E allora, quel giorno lì, andavo. Non meno di Merckx, quasi, no? E gli altri facevano quel che potevano. Era una girandola. Non è che tirassi. Sì, magari qualcosa di più io o Merckx, ma era un continuo girare, tirare a tutta al vento. Poi, hop!, e arrivava l’altro a tirare e poi girava, capito? Non c’era da star davanti e ti mettevi in fila, pensa. Ma tu e io. Quando giravo, che tornavo in coda, guardavo la faccia degli altri: mai visto soffrire così». 

- …sfatti. 

«Sfatti, così, per fare il loro dovere. Per lui. Ecco, questa è un’altra cosa che mi è rimasta». 

- Sono pochi quelli che hanno provato ad andar via dalla squadra di Merckx… 

«Forse [Roger] Swerts». 

- Uno di quelli che però forse non avevano le spalle abbastanza larghe per fare il capitano, vero? 

«Nooo, no, non aveva i numeri. Non aveva i numeri. Era uno che vinceva qualcosa però…». 

- E Merckx gliel’ha anche fatta pagare in un episodio… È vero che aveva la possibilità di farlo vincere e invece è andato a prenderlo apposta? 

«Questo non lo so...». 

- Un altro era Martin Van Den Bossche. 

«Van Den Bossche, quando fece quel numero di centocinquanta chilometri da solo, e voleva passare primo sulla salita, sui Pirenei o non su cosa… Ma al mattino gli aveva detto che sarebbe andato via, poi ha continuato, com’è andata, a fare un numero così…». 

- La voce del padrone, ma con le gambe non con l’arroganza. 

«Ma no, ma niente proprio. Difatti alla sera si rideva, si scherzava a tavola». 

- Si è sempre goduto la vita, in senso buono, con una battuta… 

«Sì, sì: è intelligente». 

- Mi è dispiaciuto leggere dei suoi problemi finanziari, da Merckx non te l’aspetti che sbatta il muso con la realtà industriale... 

«Ma adesso ne è venuto fuori. Il mondo è diverso. Lì sei forte. E qua, magari, hai sempre quello che…». 

- Ultima cosa che volevo chiederle. 

«Ci diamo del tu sennò mi fai sentire vecchio…». 

- Allora volevo chiederti: abbiam toccato tutti gli argomenti tranne uno. Con la stampa certe volte tu... C’erano però anche grandi giornalisti. Chi ricordi meglio, al di là del rapporto personale. 

«Io sono stato e sono ammiratore di Zavoli. Gli telefono. Per rispetto, per quello che mi ha trasmesso». 

- Ha anche contribuito, con il suo Processo alla tappa, ad alfabetizzare l’Italia del “ciao-mama-son-arivato-uno”. 

«Sì, sì. Questo, d’accordo. Ma è uno che ha saputo anche descrivermi meglio di tutti. Perché sennò la maggior parte… se perdi sei ignorante, e va’ là. E invece e allora lui l’ha anche detto, e proprio in quella trasmissione, l’ho iniziata: Italo Zilioli, così esile, incerto sensibile ha i turbamenti, le scontrosità le sofferenze gli entusiasmi di una fanciulla o di un intellettuale tormentato». [ride, nda] 

- Questa bisogna… 

«Sì, perché l’ha scritto in un libro, no? E allora… E sono io. A prima vista, non sembra nemmeno tanto adatto al mestiere che fa. Eppure – continua a scrivere lui, eh – questo mestiere a volte lo fa bene, da vero campione». 

- Con due pennellate t’ha sistemato, t’ha proprio fatto la cornice. 

«E poi gli altri…». 

- Con Claudio Gregori sei amico? 

«Con Gregori sono amico». 

- Io l'ho definito l’ultimo degli aedi, l’ultimo cantore di un certo ciclismo. 

«Certo. Anche se…». 

- Anche di cultura sconfinata, trasversale. 

«Ah, immagino. A volte persino troppo, troppo…». 

- …aulico? Troppo barocco? 

«Zavoli sta più coi piedi in terra quando è necessario stare coi piedi a terra. E allora ecco che…». 

- Eh, ma di Zavoli ce n’è stato uno. 

«Sì. Un altro che stimo è Pastonesi, Marco. Un altro che…». 

Un altro della pasta di Zilioli, il campion cortese. 
  
CHRISTIAN GIORDANO



NOTA:
[1] Nella Sanson del 1966, diretta da Antonio Covolo, Ettore Milano e Angelo Conterno, correvano anche Franco Balmamion, Claudio Michelotto e i due amici per la pelle, nonché futuri grandi direttori sportivi rivali, Carletto Chiappano e Giancarlo Ferretti. 

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