Un salto per la donna italiana
Amicizia - Sara Simeoni dopo il salto d'oro nel 1980
e, a destra, anni dopo con l'amico Gian Paolo Ormezzano.
Il racconto dell'impresa di Sara Simeoni
La veronese come esempio di emancipazione femminile
GIAN PAOLO ORMEZZANO
La Stampa del 28 luglio 1980
Dal nostro inviato a Mosca - Seconda donna italiana a vincere un'Olimpiade di atletica, dopo Ondina Valla sugli ostacoli a Berlino 1936, Sara Simeoni, che ha pure il record mondiale e il titolo europeo, potrebbe, fatte tutte le proporzioni, imitare Fanny Blankers Koen, l'olandese detta «la mammina volante», che dopo quattro medaglie d'oro a Londra 1948 disse, in un'intervista, di Eva Curie, Maria Montessori, Katherine Mansfield e appunto Fanny Koen maritata Blankers che erano le quattro donne più importanti del secolo: nessuno rise o sorrise, tutti capirono che la mammina parlava di qualcosa allora ancora allo stato magmatico, per non dire aeriforme, e che si chiamava emancipazione femminile.
Sara Simeoni sta fra le quattro donne italiane più importanti del secolo, Maria Montessori a parte, visto che se l'è già presa la Blankers-Koen? E se ci sta, con chi la mettiamo, visto che lei non accetta di fare l'elenco? Con Grazia Deledda e con Nilde Jotti? Con Lina Merlin e con Emma Bonino? Se nessuno sorrise o rise allora, qualcuno sorride o ride adesso? Il giochetto ci pare insieme divertente e doveroso.
Sara Simeoni riassume in sé una lunga, laboriosa e didascalica esperienza di vita, sublimata nella chiave scelta, quella appunto sportiva, dalla grande vittoria di Mosca. Se fra un po' di anni tante, tantissime italiane faranno sport, e facendo sport eviteranno molti mali, fisici e anche morali, Sara Simeoni assumerà per tutti quella importanza straordinaria che, per chi capisce di sport e di vita legata allo sport, essa detiene. Possibile che Sara faccia fare alla donna italiana un bel salto, più alto dei 197 centimetri che sono bastati, a lei che ha già saltato due metri e un centimetro, per vincere il titolo olimpico.
La sua vita, i suoi primati, la sua gara di Mosca sono emblematici di una condizione di vita assunta con qualche difficoltà — lei, la ragazza timida di Rivoli Veronese, che «si mette» con Erminio Azzaro, un ex atleta, facendosene il fidanzato e l'allenatore, strappandolo, si dice, alla rumena Papa, sabato a Mosca impegnata nella finale contro di lei —, realizzata in pieno, difesa contro scetticismi e inviti a fare la calzetta, realizzata senza segreti.
A chi glielo ha chiesto, Sara ha anche detto, la vigilia della grande gara, che no, contrariamente a quanto le accadde nel 1978 a Brescia quando fece il record del mondo e a Praga quando vinse il titolo europeo, stavolta a Mosca non era nel periodo mestruale. La sua gara è stata un'esibizione di alta, cosciente femminilità.
Da due giorni Sara non mangiava niente, e l'emozione le aveva praticamente sospeso ogni funzione corporale. Ma in gara è stata perfetta, normale, sicura, dolce, e in prossimità dei salti decisivi ci è pure parsa bellissima, con i sorrisi giusti, le giuste paure.
Diciamo pure che Sara è una risposta molto latina, magari molto italiana, a chi sostiene che lo sport di altissimo livello emancipa e dunque cambia sì la donna, ma solo per farla simile all'uomo. Gran gara. Sei salti per vincere il titolo olimpico, prima nel sole e nel vento, poi nel freddo, col sole al neon delle grandi luci dello stadio Lenin.
Contro di lei la vecchia rivale Ackermann e la nuova Kielan, una ragazzina polacca alla quale Sara vuole molto bene. Subito la sensazione che non si avrebbe avuto il record del mondo, troppa la tensione. La Simeoni non ha voluto saltare gli 1,75 di apertura (si era qualificata il giorno prima con 1,88, al secondo balzo), ed è «passata» anche agli 1,88, lei sola, con un grande colpo di poker, per poi fare benissimo gli 1,91.
Ackermann, sempre liscia col suo stile ventrale (fosburyste le altre, tutte), si bloccava a 1,94, saltando, cioè non saltando, subito dopo Sara che invece ce l'aveva fatta al primo tentativo. Li si fermavano anche Stanton, bellissima australiana appesantita da un orologione al polso, e Sysoeva, sovietica appena bellina. La Germania Est aveva Kist, che era salita male a 1,91, la Polonia Kielan, Sara Simeoni stava già sicura del bronzo. Regolo a 1,97: tutte e tre fallivano il primo tentativo, Kist che è un donnone falliva anche il secondo, Sara riusciva, il regolo vibrava e sembrava quasi emettere un ultrasuono per lei, per noi, per gli amici suoi. Falliva Kielan, falliva di nuovo Kist, falliva di nuovo Kielan, Sara era campionessa d'Olimpia. Regolo a 2,02 per tre tentativi contro il record mondiale, è la prassi, ma Sara Simeoni ormai non c'era più, aveva cominciato a riposarsi dopo quindici anni di atletica su ventisette che ne ha. Piangeva, rideva, accarezzava un giudice, salutava la gente, esibiva occhiaie «sante», faceva yoga, e dopo la premiazione senza tricolore mostrava la medaglia, col gesto del bimbo che con lo specchietto fa la gibigianna, mentre i tifosi nostri allo stadio finivano di cantare «Fratelli d'Italia», che poi sarebbe «Sorelle d'Italia», a essere precisi. — © RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo l'articolo in cui Gian Paolo Ormezzano raccontava l'impresa di Sara Simeoni, regina del salto in alto, alle Olimpiadi del 1980 a Mosca, seconda azzurra della storia a conquistare un oro nell'atletica dopo Ondina Valla negli ostacoli nel 1936. Fu pubblicato il 28 luglio.
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