Davide Boifava: «Feci piangere Merckx Sull’ammiraglia ero un re Visentini non fu tradito Che rimpianto Pantani»


Prometteva bene in bici: «In un Trofeo Baracchi il Cannibale mi chiese scusa». Poi i trionfi da direttore sportivo: «Con me Battaglin in 40 giorni vinse Vuelta e Giro, mai visto prima»

Eravamo all’avanguardia: noi negli Anni 80 al Tour con il camper e un cuoco, per avere un nostro piatto di pasta Fignon mi pregava

27 May 2025 - La Gazzetta dello Sport
di Pier Bergonzi
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Nei favolosi Anni 80, quelli di Hinault, di Moser e Saronni... prima dell’avvento di Indurain e Pantani, Davide Boifava era il re degli “ammiragli”, il numero uno dei direttori sportivi alla guida della Inoxpran di Battaglin e poi della grande Carrera di Visentini e Roche, di Chiappucci e Pantani... Lo chiamavano “Cardinale Richelieu” perché era un maestro di diplomazia, nella lunga avventura in ammiraglia ha dovuto anche domare l’incendio di Sappada, quando “litigarono” Roche e Visentini. C’è da ricordare che Boifava è stato un buon corridore anche in maglia Molteni e SCIC negli Anni 70. Passò nel 1969 come una delle promesse del ciclismo italiano. «Sì, perché avevo vinto il De Gasperi, una classica, ed ero stato maglia gialla al Tour dell’Avvenire. Sulla pista sterrata di Le Chaux de Fond avevo battuto Roger De Vlaeminck e Lucien Van Impe».

- Primo Giro d’Italia nel 1969: vince subito la tappa di Mirandola e veste la rosa per un giorno.

«Era la seconda tappa e partivamo da Brescia, tra i miei tifosi. Vinsi con una azione da finisseur. Quel Giro l’avrebbe dominato Merckx, se non gli avessero fatto il trappolone del doping di Savona. Eddy, il migliore di tutti e un vero signore, non se lo meritava».

- Ma è vero che in quel primo anno ha fatto piangere Merckx al Trofeo Baracchi?

«Correvamo in coppia, Merckx veniva da un infortunio e alla fine ebbe una crisi nera. Non andava avanti. Alla fine Eddy era in lacrime e mi ha chiesto scusa. Eddy che chiedeva scusa a me...».

- Quando passò dalla bici all’ammiraglia?

«Giro d’Italia 1978, tappa di Milano vinta da Gavazzi; mi avvicina Angelo Prandelli, patron della Inoxpran, che mi vuole nella sua nuova squadra. Io gli dico che voglio smettere e mi propone di passare come direttore sportivo. Chiedo consiglio a Giorgio Albani, il mio vero maestro, e accetto».

- Battaglin era il capitano della sua Inoxpran.

«Giovanni, grande corridore e uomo di qualità! Il primo anno andiamo al Tour come unica squadra italiana e Battaglin arriva sesto della classifica generale con la maglia a pois di leader degli scalatori. E due anni dopo, nel 1981, Battaglin vince la Vuelta e il Giro in 40 giorni. Qualcosa di mai visto prima. Per me giovane direttore sportivo un risultato pazzesco».

- Poi la grande Carrera.

«Grazie alla famiglia Tacchella costruiamo una squadra di respiro internazionale. L’unica italiana al via delle grandi classiche e del Tour. Ho avuto tanti campioni, da Visentini a Roche, da Bontempi a Ghirotto e Perini, Chiappucci e Pantani, ma se dovessi sceglierne uno solo direi Bruno Leali, un bresciano come me a cui ho voluto e voglio bene. Quella Carrera ha precorso i tempi: andavamo al Tour con un camper e un nostro cuoco, i tortellini che ci regalava Giovanni Rana e la pasta di Pietro Barilla, due grandi appassionati di ciclismo. Fignon, quando era nel nostro stesso albergo, mi pregava di fargli avere un “nostro” piatto di pasta».

- Visentini si presentò con la bici segata in un sacco.

«È successo dopo il Giro del 1984. Era sicuro di poterlo vincere, ma Torriani cancellò lo Stelvio e la maglia rosa finì a Moser. “Visenta” voleva smettere e mi restituì la bici tagliata a pezzettini...Poi è tornato sui suoi passi. E nel 1986 ha vinto un grande Giro d’Italia. Roberto aveva un talento pazzesco. Ne ho visti pochi così».

- L’anno dopo, però, Visentini si è sentito tradito da Roche...

«Visentini fa la vittima da 38 anni, ma le cose non andarono così. Lui aveva vinto bene la crono di San Marino ed era in maglia rosa, ma c’era la tappa di Sappada. A colazione ho invitato tutti a correre davanti e di stare attenti agli attacchi. Come è finita? Attacco dei Panasonic: Roche entra nella fuga, mentre Visentini si fa sorprendere. E sulla salita verso Sappada è lui che ha perso la testa. Io dovevo pensare all’interesse della squadra e Roche quel giorno è andato più forte. Non ci fu alcun tradimento. In quel 1987 Roche vinse Giro, Tour e Mondiale scrivendo la storia della Carrera. A Visentini piace pensare o sentirsi raccontare un’altra storia. Ma non andò cosi».

- Poi ci sono stati gli anni di Chiappucci.

«Chiappa, il Diablo! Aveva un’energia pazzesca e un carattere unico. Avrebbe potuto vincere il Tour del 1990, ma andò all’attacco quando era in maglia gialla nella tappa di Saint-Etienne e nel finale andò in crisi perdendo 4 minuti che gli sono risultati fatali. Aveva voluto strafare. Ma grazie alla sua esuberanza ha vinto anche la Sanremo del '91 e una leggendaria tappa del Tour al Sestriere nel '92».

- Il primo incontro con Marco Pantani?

«Correva sulle nostre bici Carrera alla Giacobazzi e sognava di passare al professionismo con noi. Poi vinse il Giro Baby 1992 e venne a firmare con il papà. Gli preparai un contratto ufficiale UCI con una cifra alta per un neoprofessionista. Mi chiese però un contratto a parte per i premi in caso di vittoria di Giro e Tour: “Perché un giorno io vincerò le grandi corse a tappe”. Io pensavo di avergli proposto un ottimo contratto, ma prima di tornare a casa lui mi guardò negli occhi e mi disse: “Guardi Boifava che l’affare lo avete fatto voi…”».

- Lei è stato anche l’ultimo direttore sportivo di Marco nel 2003.

«Mi chiamò Cenni, il presidente della Mercatone Uno, e mi disse: “Caro Davide, se non viene lei ad aiutarmi con Pantani, chiudo la squadra”. Io l’ho fatto per Marco e speravo di poterlo aiutare di più, ma aveva imboccato una strada senza ritorno. Eppure in qualche momento, al Giro 2003, avevo rivisto il “mio” Pantani. Ero anche andato da Gibo Simoni, il più forte in gara, per chiedergli di non rispondere ai suoi scatti. E invece, verso l’arrivo di Cascate del Toce, proprio Simoni andò a riprendere il Panta. Poi ho scritto e telefonato a Jean-Marie Leblanc perché ci invitasse al Tour e quel no è pesato molto a Marco. Chissà che una vittoria al Giro e la partecipazione a quel Tour 2003 avrebbe, magari, cambiato il finale della tragica corsa di Pantani».

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